Il sigillo di Federico II di Svevia

L’Archivio storico del Comune di Todi è nascosto dietro la chiesa di San Fortunato, un angolo silenzioso e appartato che occupa gli ambienti dell’antico monastero.

Sono andata lì per vedere un oggetto che mi incuriosiva e sono rimasta sorpresa dalla ricchezza del contenuto dell’Archivio. Mi ha accolto il direttore, il dr. Filippo Maria Orsini, che mi ha illustrato il contenuto dell’Archivio. Negli ambienti dell’ex monastero sono raccolti otto secoli di documenti inerenti la città di Todi che vanno dal 1200 al 1970. Tra i documenti importanti ci sono gli atti di sottomissione a Todi delle città di Amelia e di Terni, sono raccolte alcune bolle pontificie di Papa Bonifacio VIII e gli atti del processo della strega Matteuccia che risalgono al 1428.

Tra le carte che hanno suscitato il mio interesse c’è la lettera segnaletica che riguarda Giuseppe Mazzini: è datata 17 gennaio 1851 e allertava la polizia pontificia che Mazzini potesse transitare da Todi. In quel momento era ricercato da tutti gli Stati italiani per le sue attività rivoluzionarie e in particolare da Papa Pio IX a causa della fallita Repubblica Romana, che aveva costretto il Papa a scappare a Gaeta. La lettera segnaletica descrive Mazzini come un uomo alto e con la barba, esattamente come lo abbiamo visto in tutti i ritratti dell’epoca e nei libri di scuola.

Il dottor Filippo Maria Orsini con il documento di Federico II di Svevia

Ma il documento che più mi ha affascinato è stato il sigillo di Federico II di Svevia, che il dottor Orsini mi ha fatto vedere, ma non toccare. Il 13 maggio 1240 l’imperatore Federico II di Svevia, stupor mundi, si trovava in Umbria e si era fermato a Perugia, Spoleto, Montefalco e Todi; in questa occasione concesse il feudo di Santa Maria de Laurenzio, cioè Bevagna, a Napoleone Rinaldo dei conti di Antignano e Coccorone. L’imperatore aveva soggiornato qualche tempo nel paese di Coccorone, che in seguito cambiò il nome in Montefalco, probabilmente legato ai falchi dell’imperatore. Federico II di Svevia era figlio dell’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico VI di Svevia e di Costanza d’Altavilla, era re di Gerusalemme, re di Sicilia e Imperatore del Sacro Romano Impero. È passato alla storia per il ruolo svolto tra il papato e l’impero ma, in particolare, perché ha coltivato e stimolato la cultura e la scienza.

La concessione del feudo è scritta su pergamena e reca la firma dell’Imperatore e l’autenticità del documento è garantita dal sigillo imperiale; un sigillo che non poteva essere fatto di banale cera lacca, ma di un materiale ben più prezioso, la cera d’api. Anche le dimensioni sono ragguardevoli, è quasi quadrato e misura cm 8 x cm 8 ed è alto circa 2 cm.  Sulla faccia superiore è impressa l’immagine di Federico II in trono che con la mano destra regge lo scettro e con la mano sinistra il globo che ne indica potere. Un sigillo di cera d’api di quelle dimensioni nel XII secolo costava un’enormità ed era riservato agli imperatori e ai papi.

Un materiale prezioso

A quell’epoca la cera veniva usata anche come moneta di scambio, serviva per stampare gli ex voto ed era fondamentale per preparare i ceri pasquali secondo quanto richiesto da Santa Romana Chiesa. Le altre candele erano fatte con vari tipi di grassi ovini o bovini, costavano poco e puzzavano molto, invece le candele e i ceri pregiati venivano realizzato con la profumata cera d’api. Le candele e i ceri si facevano attaccando gli stoppini a una ruota che girava lentamente e a ogni giro si colava la cera calda lungo lo stoppino, perciò la candela era fatta per strati sovrapposti e più era grande e grosso il cero e più era alto il costo. Per vedere la realizzazione di queste candele basta andare a Bevagna durante la festa delle Gaite di fine giugno.

La realizzazione delle candele al Mercato delle Gaite

I documenti dell’archivio mi sono stati raccontati dal dottor Orsini, che mi ha permesso di vederli. Vedere questi documenti ha un interesse storico, ma è anche un’emozione, perché i racconti dei libri di storia diventano attualità e i personaggi emergono come se li avessimo davanti con la vita e i problemi di tutti i giorni.

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Renata Covi

Figlia del profondo nord, cresciuta a Roma, sposata con un meridionale. Laureata in Farmacia e in Scienze biologiche, ha lavorato a Parigi e in Inghilterra. Adora la storia, in particolare la storia della farmacia. Da quando ha raggiunto la pensione, scrive e gioca a golf.