Intervista con il presidente del Comitato per la vita “Daniele Chianelli”. Una chiacchierata che va oltre la persona che in molti conoscono, uno spaccato anche della sua vita da giovane tra passioni e ricordi.
Tutti sanno chi è Franco Chianelli, presidente del Comitato per la vita Daniele Chianelli, ma in pochi conoscono Franco l’uomo, che da giovane suonava e giocava a bocce, che era attaccatissimo al padre e che oggi sogna di aprire un giardino sul tetto dell’ospedale di Perugia. Con la moglie Luciana Cardinali e altri 18 genitori – con cui aveva condiviso il dolore della malattia dei propri figli – ha fondato il 26 ottobre del 1990 il Comitato per la vita Daniele Chianelli in memoria del figlio di 10 anni morto, pochi mesi prima, a causa della leucemia.
In questi 34 anni tanti sono stati i progetti realizzati e portati avanti dal Comitato: fiore all’occhiello è il residence adiacente all’ospedale Santa Maria delle Misericordia (Perugia), con 50 appartamenti dotati di tutte le comodità. Ma non solo. Ha contribuito a realizzare il CREO (Centro di Ricerca Emato-Oncologico) e il Centro Trapianti Andrea Fortunato; si occupa del sostegno e dell’assistenza sociale e psicologica dei pazienti (bambini e adulti) ricoverati nel reparto di Ematologia e Onco-ematologia, nonché fornisce assistenza globale alle famiglie per tutto il decorso della malattia. Nel 2017 con Luciana ha ricevuto dal Presidente Sergio Mattarella, a nome del Comitato, il riconoscimento di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana: encomio che si aggiunge ai tanti ricevuti nel corso degli anni.
Questa lunga chiacchierata che ha fatto con noi ha delineato un uomo simpatico, disponibile e genuino – con quel tocco di dialetto perugino che certo non guasta. Ha ricordato la sua infanzia, Daniele e le storie che nel corso degli anni lo hanno toccato maggiormente.
Franco, qual è il suo rapporto con l’Umbria?
Mi sento molto umbro. L’essere nato lungo la riva del Tevere (a Ponte San Giovanni-Perugia) fa sì che sia anche etrusco. Devo dire che ho un buon rapporto con gli umbri e li voglio ringraziare perché, è anche grazie al loro aiuto che in questi anni abbiamo potuto realizzare due residence, una parte del CREO e del Centro Trapianti Andrea Fortunato. Il loro contributo è stato, ed è ancora oggi, fondamentale; partecipano numerosi agli eventi che organizziamo, insomma ci vogliono bene e noi ne vogliamo a loro.
Chi era Franco prima di diventare il presidente del Comitato Chianelli?
A 10 anni ho esordito come musicista con una batteria, una fisarmonica e un clarinetto, all’epoca funzionava così! Ho suonato finché non mi sono sposato. Poi ho giocato a bocce ottenendo buoni risultati: sono arrivato in serie A e mi sono piazzato al terzo posto al campionato italiano – certo, se arrivavo primo era meglio! (ride). Poi, giocavo a pallone nei campi non coltivati di Ponte San Giovanni e Balanzano.
Gioca ancora a bocce?
Oggi non ho molto tempo, sono impegnato con l’associazione, però devo dire che l’educazione che ho ricevuto da mio padre ha fatto sì che, fin da piccolo, pensassi agli altri: ed esempio, la metà dei soldi che vincevo giocando a bocce li regalavo all’Opera Don Guanella di Perugia.
Oggi quali sono i suoi hobby?
Ultimamente la mia passione è tutta rivolta all’agriturismo, alla campagna e all’allevamento di animali: faccio il vino, coltivo ortaggi e frutta anche se la vocazione numero uno resta sempre quella di aiutare le persone.
L’aiutare il prossimo è radicato in lei fin dall’infanzia?
Sì. Come le dicevo, ho avuto da mio padre un grande insegnamento. Ora le racconto una storia: lui era un norcino e a 9/10 anni mi portava dalle famiglie contadine a lavorare la carne, lo aiutavo a fare le salsicce. Aveva una cavalla nera con una stella bianca in fronte e sopra di lei, con il mantello nero, sembrava Zorro. Era un uomo dal cuore buono e quello che riportava a casa (per il lavoro non veniva pagato con i soldi ma con altri prodotti) lo divideva con i suoi fratelli e altri parenti. Mia madre però si arrabbiava e gli diceva: “Fortunato, tu lavori tanto e torni sempre tardi, quello che ti danno come compenso, tienilo per noi e per i tuoi figli”, ma lui le rispondeva: “Onè (si chiamava Onelia) non ti preoccupare, so io quello che devo fa’. Quello che riporto è per tutti!”. Ecco, questi scambi tra i miei genitori sono stati dei veri insegnamenti che ho portato dentro per tutta la vita. Ho voluto un gran bene al mio babbo e, quando è morto investito da un’auto (avevo 16 anni), per me è stato un duro colpo, ho dovuto persino smettere di studiare da geometra per andare a lavorare.
Ho letto che era titolare di una ferramenta a Ponte San Giovanni: le manca quel lavoro?
No, ma c’è un motivo. Ho affittato la ferramenta perché non avevo più la forza di entrare in quel capannone: Daniele mi aiutava nel negozio e, dopo la sua morte, lo vedevo muoversi tra gli scaffali. Non ce l’ho fatta, non ci sono più entrato. Mi sono ritirato in campagna e ho creato un agriturismo biologico nel comune di Gubbio, sull’Alta Valle del Chiascio.
Che bambino era Daniele?
Era un bambino molto intelligente, bravo e buono. Durante la malattia, per un periodo tornò a scuola e, anche se era debole, quando c’erano delle scaramucce tra i compagni si metteva in mezzo per difendere uno o l’altro. Aveva questo carattere. In ospedale, negli ultimi giorni della sua vita, se sentiva piangere dei bambini andava a vedere come stavano e a informarsi sulla loro salute. È sempre stato un bambino altruista.
Quindi sarebbe sicuramente contento di quello che avete fatto a suo nome…
Lui sarà più che contento. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che un giorno saremmo arrivati a realizzare qualcosa di così grande per aiutare le famiglie che vengono anche da lontano a curarsi a Perugia.
Da dove arrivano?
Da tutta l’Umbria, da diverse parti d’Italia – persino dal Nord – e dall’estero: il centro trapianti dell’Azienda Ospedaliera di Perugia è una vera eccellenza e ha una rilevanza internazionale.
Vi occupate solo di pazienti onco-ematologici?
No. Accogliamo tutti i bambini malati di tumore, non solo quelli ematologici. Mentre, per quanto riguarda gli adulti, solo chi è affetto da tumori del sangue: per i tumori solidi ci sono altre associazioni che offrono supporto, però se occorre e magari abbiamo qualche appartamento libero, ospitiamo anche malati oncologici, chi deve fare dialisi o chi viene da fuori regione e in quel momento ha un parente ricoverato. Quando abbiamo posto siamo aperti a tutti. In cambio non chiediamo niente, chi ne ha le possibilità, può farci un’offerta.
Ci racconti com’è stato ricevere al Quirinale l’onorificenza di Commendatore al merito della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella. Che vi siete detti?
Con il Presidente Mattarella ho un rapporto bellissimo. Gli scrivo a Natale e a Pasqua e lui risponde sempre; l’ultimo biglietto che mi ha mandato lo abbiamo decifrato in quattro, non riuscivamo a capire la sua scrittura (ride)! Questo fa capire che risponde di suo pugno. Ci siamo conosciuti nel 2016 quando è venuto a trovarci al residence; abbiamo fatto una lunga chiacchierata, ha incontrato i pazienti e ha apprezzato moltissimo il nostro lavoro e la sinergia con le istituzioni, l’Università e il mondo della ricerca. Ha detto che siamo: “un modello da esportare e un esempio per gli altri”. Poi, dopo una settimana, a me e mia moglie è arrivato l’invito del Quirinale e la nomina di Commendatori dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Anche in quell’occasione c’è stato uno scambio di parole. Pensi che un suo stretto collaboratore si è avvicinato e ci ha detto: “Spesso con il Presidente ricordiamo la giornata che abbiamo vissuto a Perugia al Centro Chianelli”. Sentire queste parole mi ha fatto un gran piacere.
Nel libro “Il coraggio di chi ha perso. La storia e i sogni di un pazzo visionario” (Prendinota editore) racconta la storia del Comitato. Ma lei si sente un “pazzo visionario”?
Le racconto com’è nata la storia del pazzo visionario. In occasione dei 25 anni del Comitato la professoressa Cristina Mecucci nel suo discorso definì me e il professor Massimo Fabrizio Martelli due “pazzi visionari”. Lui perché è stato il primo al mondo a estendere i trapianti di cellule staminali del sangue da donatori familiari solo parzialmente compatibili, io perché ho contribuito alla costruzione del Centro Trapianti Andrea Fortunato (un’area degenza destinata a trapianti e al trattamento di patologie acute, comprensiva di 40 stanze. Area poi completata dalla Regione), ho realizzato il residence Daniele Chianelli e costruito parte del CREO (Centro di Ricerca Emato-Oncologico). Essere paragonato al professor Martelli è stato un grande complimento. Ammetto però che un po’ folle lo sono: nel 2020, in pieno Covid, ho aperto un mutuo di quattro milioni di euro per ampliare il residence. Beh, ci vuole un bel coraggio! Che ero matto me lo disse anche l’allora assessore alla Sanità dell’Umbria, Nadia Antonini quando le presentai il progetto del residence, del CREO e del piano dell’ematologia. Lo abbiamo scritto anche nel libro.
Lei voleva intitolare il libro solo: “I sogni di un pazzo visionario”. È stata sua figlia a farle aggiungere “Il coraggio di chi ha perso”…
Sì, mi ha suggerito di aggiungere questa frase. Ho portato poi la proposta in assemblea e tutti (tranne me un’altra persona) hanno votato per questo titolo. Mi sono dovuto arrendere! (ride).
La perdita a cui si riferisce è quella di Daniele?
Sì. Perdere un figlio è qualcosa di indescrivibile.
Lei non si sente un perdente?
Assolutamente no. Abbiamo realizzato dei sogni che sembravano impossibili.
E a proposito di sogni, tutto è iniziato 34 anni fa e oggi, con il nuovo ampliamento, il residence conta 50 appartamenti con ogni comfort. Quali sono gli altri suoi sogni?
Mi piacerebbe creare sul tetto dell’ospedale un giardino dove i pazienti dell’oncologia e dell’ematologia possano prendere aria e godersi il panorama in tutta sicurezza e in un ambiente sterile. Inoltre, vorrei far sì che ci fosse l’assistenza domiciliare, soprattutto per i bambini – con medici, infermieri e uno psicologo – così da poter essere accuditi a casa e fornire un supporto alle famiglie. Noi lo facciamo saltuariamente, ma vorremmo che questa attività venisse incrementata. Abbiamo un gruppo eccezionale e multidisciplinare con psicologi, musicoterapisti, terapisti, fisioterapisti, assistenti sociali, animatori e mediatrici culturali di madrelingua per una tutela globale del malato e della sua famiglia.
Ci sono tantissime storie di pazienti che sono passati per il Chianelli: ce n’è una che non ha dimenticato e che per qualche motivo le viene spesso in mente?
Ce ne sono tante, ma la storia che mi ha lasciato un segno profondo, e lo ha lasciato anche al cardinale Bassetti, è quella di una famiglia venuta a Perugia dall’Abruzzo con un figlio di 12 anni malato di leucemia in fase terminale. Questa famiglia aveva già un grave lutto alle spalle: il fratello diciottenne era morto annegato in piscina durante una festa. Quando sono arrivati a Perugia la madre era incinta di tre mesi e non poteva assistere il ragazzino a causa delle radiazioni, l’assistenza spettava quindi al padre, ma i familiari volevano che lui tornasse in Abruzzo per lavorare (erano una famiglia contadina) e spinsero per far abortire la madre così lei avrebbe potuto occuparsi del piccolo malato. Mi arrabbiai e convinsi il marito a restare per assistere il figlio, così che la moglie potesse portare a termine la gravidanza. L’aborto avrebbe distrutto definitivamente questa famiglia: un figlio era morto e un altro aveva pochissime possibilità di sopravvivere. È nata così Benedetta, che oggi è una ragazzina e suona la fisarmonica, spesso vedo le sue foto nei social. Quando Benedetta aveva tre mesi abbiamo organizzato nel residence il battesimo e la cresima del fratello a cui ho fatto da padrino. È venuto a celebrare l’allora vescovo Bassetti ed è stata una cerimonia bellissima ed emozionante; il ragazzino si è divertito, rideva e scherzava. Proprio un bel giorno, anche se tutti sapevamo che gli restavano solo pochi giorni di vita: sorridevamo, ma il nostro cuore era colmo di dolore. I bambini malati non pensano mai che stanno per morire, o quantomeno non lo fanno capire. Dopo 20 giorni lo hanno rimandato a casa perché non c’era più niente da fare, dopo poco ci ha lasciato.
Queste storie a livello umano donano tantissimo…
Sì, è vero.
È vero che la scelta del simbolo è opera del Maestro Franco Venanti? Perché il gabbiano?
Lo ha deciso il Maestro Venanti. Ci serviva un logo per l’associazione e tramite conoscenze siamo andati nel suo studio – era pieno di carte, cartacce e quadri dappertutto – gli abbiamo fatto una presentazione veloce e chiesto ciò che volevamo. Lui ci ha guardato, ha pensato un po’, poi ha preso un cartoncino azzurro, un foglio di carta bianco e le forbici, ha tagliato un gabbiano e l’ha attaccato sopra il cartoncino azzurro: “Penso che questo potrebbe andar bene, è un simbolo che vola, vi proteggerà e aiuterà”.
Come se fosse Daniele…
Esatto. E se Franco adesso ci potesse sentire, sarebbe contento. Guai chi tocca questo logo (ride).
Per sostenere il Comitato per la Vita “Daniele Chianelli”
Via della Scuola, 147 – 06135 Ponte San Giovanni (Pg)
075 395257
infocomitatochianelli@email.it
www.comitatodanielechianelli.it
Agnese Priorelli
Ultimi post di Agnese Priorelli (vedi tutti)
- Sara Carletti: «Con la fotografia do voce e memoria ai luoghi abbandonati» - Gennaio 14, 2025
- Franco Chianelli si racconta: “Mio padre mi ha insegnato ad essere generoso” - Dicembre 19, 2024
- Dialetto di Amelia, un vernacolo ritrovato dove la T diventa D - Dicembre 10, 2024