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Opera lirica in Umbria: mai esistita, gravemente malata o già deceduta?

Abbiamo ricevuto in redazione questa lettera firmata dalla signora Manuela Molinelli, che porta alla luce le difficoltà che ruotano intorno al mondo della lirica e lo scarso interesse che gli viene riservato in Umbria e in Italia.

Durante la pandemia del Covid19, tra melomani, appassionati di Opera Lirica e addetti ai lavori circolavano soventi frasi condite di speranza, mista a sconforto: “Speriamo che l’Opera sopravviva, speriamo di uscirne presto. L’Opera va vista in teatro, speriamo che le limitazioni vengano abolite per tornare alla normalità.” In verità, almeno per quanto riguarda la nostra serafica regione, la pandemia ha semplicemente svolto il ruolo di capro espiatorio per consentire ai quattro che maneggiano l’intera macchina e ai dieci che ne tirano i fili, di tergiversare e di nascondendosi dietro al nulla.

 

 

Quali sono i veri e propri fatti che ci spiegano come funziona la realtà operistica umbra, se tale si può chiamare?

Senza citare Istituzioni o persone, analizziamo punto per punto lo stato attuale, partendo da coloro che rendono l’Opera in grado di esistere, cioè gli spettatori. Da chi è composto il pubblico umbro appassionato di Opera Lirica? Ebbene, si tratta di persone per lo più over cinquanta. Vuoi per la pandemia, vuoi per altri fattori, nel pubblico non si è verificato un cambio generazionale, che sarebbe stato necessario per la sopravvivenza vera e propria di quest’arte. Il risultato è evidente: a spettacoli e concerti vi sono praticamente sempre numerosi posti invenduti. Quasi del tutto inutile per gli addetti ai lavori sprecar soldi in pubblicità perché, gran parte dei giovani, non conoscendola, se ne frega altamente.

Non si tratta della questione del prezzo dei biglietti, a cui spesso si dà la colpa – perché per andare al concerto del Måneskin i giovani pagano fior di quattrini senza batter ciglio – si tratta proprio di disinteresse totale. A cosa è dovuto questo disinteresse? All’ignoranza più totale riguardo al suddetto argomento.

Vi faccio un esempio concreto: provate a chiedere a un qualsiasi universitario se preferisce la regia di Carsen o di Livermore, e vi guarderà come si guarda un alieno. Facciamone uno più semplice: chiedetegli qual è la sua Opera preferita di Puccini, il 99% rimarrà a bocca aperta come un baccalà. Senza offesa per i pesci. Mentre di giorno in giorno la situazione peggiora e la barca continua a imbarcare acqua, cosa si fa per porre rimedio a questo problema?

Nulla. Oppure si ridicolizza l’Opera, abbassandola a un livello amatoriale, travisandola e offendendola. “Tanto nessuno la capisce! Tanto chi fa caso ai tagli? Tanto chi si accorge che il cantante ha fatto cinquanta stecche e che l’aria non sembra manco lontanamente simile a come è scritta? Tanto che importa se non si capisce nulla della trama? Tanto che importa se non ci sono archi nell’orchestra? Tanto che importa se il direttore salta come un grillo e sembra stia ballando la Macarena, invece di dirigere? Tanto che importa se la regia è praticamente inesistente?”

Non importa nulla! Tanto il pubblico è composto solo da parenti, amici e affini che non sono mai andati all’Opera e che quando usciranno diranno a tutti che è stato bellissimo e che hanno ascoltato un’esecuzione stupenda, quando in realtà a essere vittima di un’esecuzione è stata solo l’Opera stessa. E magari il giorno dopo usciranno articoli fantastici scritti da amici di amici di amici che osanneranno gente che in realtà ha cantato, suonato e diretto in maniera vergognosa, degna nemmeno di un saggio di fine anno delle scuole elementari. Per fortuna non esistono più i terrificanti loggioni come fu a suo tempo quello del Regio di Parma, quindi tutti usciranno felici e contenti dallo scempio, mentre il povero compositore si rivolta nella tomba.

Vi svelo un segreto… non c’è nulla da essere orgogliosi nell’aver prodotto mediocrità! Nulla. E la mediocrità non dovrebbe essere ammessa né scusata in nessun luogo, dal grande teatro al giardino di un paesino medievale. Quando riusciremo a convincere pubblico e autorità che, per non far morire l’Opera Lirica, l’unica cosa fondamentale è mettere la musica, quella vera, in primo piano, senza svilirla crudelmente affidandola nelle mani di incapaci?

La diffusione della mediocrità, seppur compiuta sotto la spinta di nobili intenti, non permetterà alle immortali melodie dei nostri compositori d’insediarsi nei cuori della gente! La mediocrità annoia e non emoziona, la mediocrità può ottenere un momento di gloria momentanea ma niente più. Per riportare davvero in auge l’Opera Lirica sono necessari ARTISTI (lo scrivo in maiuscolo), oltre a persone che comprendano davvero la problematica della morte dell’Opera. Per presentarla a chi non la conosce ci vogliono persone che la amino e la conoscono davvero e soprattutto che non pensano solo ai loro interessi personali.

L’Italia è la patria di Giuseppe Verdi, Gioacchino Rossini, Gaetano Donizetti, Vincenzo Bellini, Ruggero Leoncavallo, Pietro Mascagni e Giacomo Puccini. Solo questo imporrebbe che maestri e professori, come accade in Germania o Austria, conoscano e insegnano fin dalla scuola primaria la bellezza dell’Opera ai propri studenti. Certamente è difficile farla amare a bambini che poi tornano a casa da genitori impreparati cresciuti a merendine e Grande Fratello e convinti che sia una noiosa zuppa per vecchi decrepiti. Si dà la colpa alla pandemia, alla mancanza di denaro, ma all’atto pratico non si sta facendo nulla per il pubblico di domani. Al di là di questo, la situazione in generale, è a dir poco surreale. Associazioni che non pagano o che lo fanno in tempi improponibili, che offrono ai cantanti professionisti 300 euro per sei prove e una recita a un’ora di macchina da casa.

Ma veniamo al punto dolente di questa riflessione: vi sono tantissimi cantanti validi che non cantano mai perché non hanno la fortuna di essere simpatici a quei quattro tizi che gestiscono un po’ tutto. Alcune associazioni presentano opere e mettono in locandina gente che in realtà non è stata nemmeno contattata, servendosene come specchietto per le allodole. Ci sono cantanti che dopo un anno dalle recite non hanno visto il becco di un quattrino, mentre chi li ha chiamati vanta rinascite e fantomatiche riprese in fantomatiche arene. Ci sono cantanti, e questo capita in tutta Italia, che vengono contrattati per 1000 euro lordi in luoghi lontani da casa: se facciamo due conti e togliamo le tasse, l’alloggio e il vitto da pagare, in tasca non rimane nulla. Ovvio che poi decidano di dedicarsi ad altra professione, visto che questa non porta a nulla.

La conclusione che se ne deduce – e dico questo premettendo che ci sono rare eccezioni – è che l’ambiente musicale nella nostra regione sia gestito unicamente da soggetti che pensano solo al proprio orticello avuto in concessione da amici fraterni. Da questi orticelli si ricavano verdure che non vengono divise con chi aiuta a zappare, ma vengono tutte cucinate e mangiate da questi pochi individui.

Quando, chi di dovere si accorgerà di questa situazione? Quando cambierà questa triste realtà? Forse mai. Le cose qui non si fanno seriamente, mi dispiace dirlo ma è così. E allora sapete cosa penso… meglio non far più nulla piuttosto che illudersi di poter vivere in questo posto con musica e cultura. È con molta amarezza che affermo queste cose ma vi assicuro che non sono solo provocatorie (solo un pochino) ma principalmente vengono dal cuore. Perché credo che non ci sia nulla di più crudele e meschino che illudere chi veramente ha dedicato la propria vita all’arte e ci crede.

 

 

Manuela Molinelli