«Il mio modo di manifestare l’Arte è per me una profonda riflessione sull’umanità dell’artista; dico spesso che è l’opera che fa l’artista»
Bruno Ceccobelli, allievo di Toti Scialoja, è un artista spirituale che ha sviluppato un linguaggio formale del tutto autonomo e scevro dalle influenze dettate dalla moda. Dalla seconda metà degli anni ’70 fa parte degli artisti che si insediarono nell’ex pastificio Cerere a Roma, nel quartiere san Lorenzo, gruppo poi divenuto noto come Nuova scuola Romana o Officina san Lorenzo. L’artista tiene la sua personale nel 1976 presso la Galleria Spazio Alternativo di Roma; successivamente espone a Parigi e New York. Nel 1984 e nel 1986 è invitato alla Biennale di Venezia ed espone in diverse mostre in Europa, Canada e Stati Uniti.
C’è stato un momento in cui ha capito che l’arte avrebbe fatto parte della sua vita e che lei sarebbe diventato un artista?
Beh, era il 1959 e frequentavo la prima elementare, vinsi un premio di pittura promosso dall’I.N.A.- Istituto Nazionale Assicurativo, un libretto di risparmio a mio nome; vivevo in campagna e i miei erano contadini: fu uno sconvolgimento per tutto il circondario. Dipinsi un pastorello che conduceva le pecore, prendendo spunto dalla raffigurazione pubblicitaria della scatola dei colori Giotto che avevano per icona emblematica Cimabue, il quale guardava con entusiasmo il piccolo Giotto, che diverrà poi suo allievo, mentre disegnava una pecora su una roccia. Mi ero così impressionato da quel romanzato episodio artistico che credetti nel sogno totalmente… e come Giotto anch’io stavo con le pecore, in fondo mi mancava solo un futuro maestro: già, d’altronde non si racconta anche nella Bibbia che «quello che credi ti sarà dato»?
Lei è stato un allievo di Toti Scialoja: questa relazione quanto ha influito sulla sua arte? Se vuole, ci può raccontare un aneddoto che ricorda con piacere?
Quattordici anni dopo aver vinto quel mio primo premio, all’Accademia di Belle Arti di Roma, Sezione Scenografia, arrivò il mio primo maestro, Toti Scialoja, un uomo coltissimo, pittore, poeta, già famoso per aver avuto allievi importanti come Pino Pascali, Jannis Kounellis, Giosetta Fioroni e Carlo Battaglia. Toti era un istrione, un perfetto narratore, un rigoroso insegnante e infine un bonario amico. Ricordo con piacere l’ultima sua lezione, che fece anni dopo la sua uscita dall’Accademia; per il suo ottantesimo compleanno organizzammo una festa di reincontro: lui e i suoi allievi più affezionati, pranzammo a San Lorenzo, al ristorante Pommidoro, per poi scegliere il mio studio all’ex Pastificio Cerere per un ulteriore saluto. Toti, emozionato, non si trattenne e si caricò per darci una sua definitiva prolusione sulla gnoseologia dell’arte; finito il discorso con applausi e commozione, io rimasi scosso perché, ancora una volta, non solo lo ritrovai empatico, ma quello che il prof. aveva appena detto era esattamente il mio pensiero sull’arte. Dunque, non ero io allievo che avevo un pensiero artistico originale, ma si ergeva in me lo spirito del maestro e ne fui felice.
L’arte è quindi il saper rappresentare la visione olistica-filosofica e ontologica dell’umana esistenza; infatti nelle sue opere è molto forte e preponderante l’aspetto spirituale, il modo di ricercare l’essenza attraverso l’arte. Ci può raccontare?
A diciassette anni, a Roma, incontrai il mondo della Teosofia grazie a Emma Cusani della L.U.T. – Logge Unite Teosofiche, così approfondii il pensiero filosofico di Madame Helen Blavatsky che tanto aveva influenzato pittori del Novecento come Hilmaaf Klint, Kazimir Malevic, Vasilij Kandinskij, Paul Klee e Piet Mondrian. Poi, nel 1985 fui uno dei pochi artisti italiani viventi a partecipare al Los Angeles County Museum of Art, quell’esposizione storica itinerante dall’America all’Europa dal titolo The Spiritual artabstract painting 1890-1985. Il mio modo di manifestare l’Arte è per me una profonda riflessione sull’umanità dell’artista; dico spesso che è l’opera che fa l’artista. Senza dubbio i miei dipingere e scolpire sono iconico-simbolici e i miei temi sono le profondità del cosmo e dell’anima.
Vorrei concludere chiedendole di lasciarci con una parola su cui riflettere; una parola che per lei rappresenti il connubio tra la sua arte e l’Umbria.
Sono nato a Todi, nel cuore dell’Umbria che è il cuore d’Italia. Mi sento fortunato, vorrei abbinare all’Umbria i miei quadri fatti con la parola cuore.
Giulia Venturini
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