Non c’è nulla di scontato, soprattutto per chi in un solo giorno ha visto la propria vita drammaticamente cambiata per volere altrui. La crudeltà e la violenza sono le protagoniste di queste righe, che sono riportate nei racconti di chi le ha tragicamente trascorse, insieme a dei valorosi atti di coraggio. Le testimonianze sono state raccolte direttamente dalle loro voci o da chi ha vissuto con loro o da chi ne ha competenza. Questa è la prima parte di una raccolta di racconti, che si concluderà il 27 gennaio “Giorno della Memoria”.
La vita, nelle sue declinazioni e per sua conformazione, varia e dipende da situazioni che ci si trova improvvisamente ad affrontare. I piccoli gesti quotidiani, la ritualità, l’abitudine e le liturgie ci accompagnano e danno i tempi ai nostri comportamenti. Così come le generalizzazioni spingono verso giudizi comuni e vengono utilizzate per classificare, catalogare, etichettare individui includendoli superficialmente in una categoria di persone, senza che si conoscano realmente le loro specificità e identità.
Si fa presto a giudicare e a collocare le persone in ruoli e categorie di presunta appartenenza. Infatti la nostra vita ci potrebbe riservare delle sorprese… potrebbe cambiare da un momento all’altro, in modo perlopiù inaspettato e imprevedibile e talvolta non agognato. Come a chi, ed è accaduto drammaticamente qualche decennio fa, è andato a letto come bambino e si è svegliato deportato.
Storie successe e ripetute in un periodo storico che è lontano nei ricordi e nel tempo, ma pregno di insegnamenti e riflessioni di cui molti giovani dei tempi moderni non sono consapevoli, se non per sommi capi fatti di «mi pare», «mi sembra», «ho letto»… Queste sono alcune delle risposte ricevute da qualche giovane interpellato in merito ma, a dire il vero, ci sono state anche le dovute eccezioni. Dalle risposte dei ragazzi, immediatamente, si è avuta la sensazione di una superficiale consapevolezza e di una parziale conoscenza di quello che effettivamente è successo nel secolo scorso. Nelle generalizzazioni, senza utilizzare un linguaggio di precisione, le informazioni e le sensazioni appaiono smorzate o depotenziate del loro valore, slegate dal reale accadimento – basato sui fatti e non sulle opinioni.
Una persona si sente coinvolta quando prova e nutre dentro di sé l’argomento, facendolo proprio, anche se questo processo potrebbe essere mitigato dal mutare dei tempi e del coinvolgimento personale nel racconto. Questo è il punto: se le coscienze devono fremere e ribellarsi di fronte alle atrocità perpetrate da chi ha avuto un forte disprezzo della vita e delle opinioni altrui, allora bisogna andare diritti e decisi al punto, senza mediazioni, e superare la paura di offendere o di impressionare troppo impetuosamente le coscienze.
Bisogna dare un messaggio forte, diretto, come se fosse un simbolico pugno allo stomaco delle persone, in particolare dei giovani; un messaggio che sia denso di emozioni, sensazioni, paure e disprezzo per ciò che si vuol dire e trasmettere, senza filtri di sorta.
Perché queste drammatiche vicende storiche sono nate senza filtri e gentilezze, come quando quel bambino la sera si addormenta tra le braccia di Morfeo e al mattino si risveglia in un mondo che gli dà un diabolico buongiorno. Un infinito e irreverentemente drammatico pugno allo stomaco, senza capire il perché l’abbia ricevuto.
Per esempio, con l’avvento delle leggi razziali italiane monarchico-fasciste nel 1938, i bambini e i giovani ebrei italiani furono esclusi dalle scuole e università; per non parlare del lavoro legato all’apparato statale, precluso alle persone ebree, così come tanti altri provvedimenti durissimi che negarono ai cittadini italiani di credo ebraico sia i diritti politici sia quelli civili. O ancora, si pensi alle due donne innocenti che avevano la sola colpa di avere un parente partigiano, che sono state arrestate e portate in un campo di concentramento nazista, vivendo tra sofferenze e crudeltà quotidiane.
I pescatori del Trasimeno
Due donne dall’animo umiliato e ferito, con la voglia di dimenticare la terribile esperienza vissuta.
Così come bisogna mettere in risalto il coraggio e l’umanità di un sacerdote e di alcuni pescatori del lago Trasimeno che, a rischio della loro vita, misero in salvo, con un’iniziativa temeraria, ventidue prigionieri ebrei confinati sull’Isola Maggiore, che stavano per essere trasportati nei campi di concentramento nazisti. Il parroco isolano, Don Ottavio Posta, coadiuvato da 15 pescatori del luogo, riuscì a far evadere gli ebrei detenuti nel Castello Guglielmi.
Nelle notti del 19 e 20 giugno 1944, con cinque barche condotte da valorosi ed esperti pescatori e dopo una traversata di qualche ora, i prigionieri ebrei furono messi in salvo. Infatti sbarcarono presso la località di Sant’Arcangelo di Magione, dove erano da poco arrivati i militari inglesi e lì furono consegnati alle Forze Alleate, che avevano liberato quella parte di territorio lacustre dai soldati tedeschi. Qualche sera prima, un gruppo di partigiani della Brigata Risorgimento che operava nel territorio di Castiglione del Lago, durante un’incursione al Castello Guglielmi di Isola per prendere le armi al drappello di guardia, liberarono quelli disponibili a seguirli. A loro si unì una famiglia di religione ebraica, internata nel Castello.
Allora senza mezzi termini, proprio per consapevolizzare maggiormente i giovani d’oggi della loro identità, andiamo a dare questo pugno simbolico agli stomaci: per ricordare, per far riflettere, per magnificare il rispetto verso il cambiamento.
La premessa è doverosa proprio perché la testimonianza diretta di chi ha vissuto quel periodo si è voluta raccogliere in tutta la sua inclemente crudezza, affinché possa dare uno scossone alle coscienze.
Marco Pareti
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