Si conferma in Umbria la presenza di BNI, uno dei business network di maggiore successo al mondo, che può vantare già oltre 10.000 membri in Italia.
Il 3 dicembre 2021, l’executive director di BNI Davide Venturi presenzierà, presso l’agriturismo Il Cantico di San Francesco di Palazzo di Assisi, l’inaugurazione di due nuovi capitoli della Region Umbria, quello di Minerva di Assisi e quello di Smile di Foligno. BNI è un’organizzazione di business networking professionale il cui primo obiettivo è scambiarsi referenze di affari qualificate. È l’organizzazione con il maggior successo in questo ambito, con più di 10.200 Capitoli attivi in 70 Paesi nel mondo.
Fondata nel 1985, BNI® è l’organizzazione di scambio referenze più vasta e di successo a livello mondiale. I membri sono professionisti e imprenditori che si aiutano reciprocamente ad aumentare il proprio giro d’affari grazie al Givers Gain® (chi dà riceve). Ogni settimana, in migliaia di gruppi in tutto il mondo, i membri si incontrano con altri professionisti e imprenditori per costruire e alimentare relazioni a lungo termine basate sulla fiducia reciproca e scambiare referenze di business di qualità. La partecipazione a BNI® permette l’accesso a formazione professionale erogata da esperti del settore e l’opportunità di fare networking e business con centinaia di migliaia di membri BNI® in tutto il mondo.
Negli ultimi dodici mesi, i membri BNI hanno scambiato più di 12 milioni di referenze, che hanno generato più di 18 miliardi di euro di business. Nei due nuovi Capitoli, che si vanno ad aggiungere agli altri quattro capitoli della Regione Umbria, sono già presenti oltre 50 aziende e professionisti, ognuno rappresentante di una diversa attività lavorativa; regola principale di BNI è infatti che all’interno di ogni Capitolo sia ammesso un solo rappresentante per specializzazione.
In particolare, la vocazione del Capitolo Minerva è fortemente orientata al Turismo e al Benessere, due temi essenziali per il futuro dell’Umbria.
19:20 Intervento executive director Davide Venturi
20.00 Apericena
N.B. è necessario prenotarsi al numero +39 348 3314376 o presso la segreteria dell’agriturismo Il Cantico di San Francesco di Palazzo di Assisi. Tel +39 075 9975721. Cell: +39 392 9976768
Ebbene sì, stiamo parlando proprio del castoro e non della nutria. Sì, proprio il castoro, quel simpatico roditore acquatico che ama abbattere i tronchi degli alberi per costruire delle vere e proprie dighe.
Ma facciamo un po’ di ordine. Dal mese di marzo 2021, anche se sono stati raccolti indizi che confermano la presenza della specie già nel 2019, è stata documentata la presenza di piccoli nuclei di castoro eurasiatico (Castor fiber) in almeno quattro aree non collegate tra loro in Toscana e in Umbria, oltre a sporadiche segnalazioni nelle Marche al confine con la Toscana e singoli segni di presenza in Emilia Romagna e Lazio.
Il castoro eurasiatico è un grande roditore, strettamente erbivoro, che può raggiungere quasi i 40 kg di peso, perfettamente adattato alla vita semi-acquatica. Vive in piccoli gruppi familiari, territoriali, composti da 3-5 individui che occupano tratti di fiume o di lago di lunghezza variabile. Abbatte alberi, scava buche e canali, accumula rami per formare delle dighe che aiutano a mantenere il livello dell’acqua al di sopra dell’entrata delle tane, ciò gli consente di mettersi al riparo dai predatori e di facilitare il trasporto dei rami pesanti e della vegetazione usata come cibo in inverno.
Tipico rosicchiamento doppio conico, Foto di Cristiano Spilinga
Anche se originariamente era distribuito in tutta l’Europa e l’Asia, all’inizio del 1900, a seguito di un’intensa attività di caccia che aveva lo scopo di recuperare la pelliccia, la carne e l’olio prodotto dalle sue ghiandole perianali, la specie sopravviveva con sole otto piccole popolazioni. Nel XX secolo la specie si è ampiamente ripresa in Europa grazie all’introduzione di norme di protezione, ai programmi di reintroduzione e alle sue capacità di dispersione attraverso la rete idrografica.
Nell’Alto Medioevo il castoro eurasiatico era ancora ben diffuso in Italia, in particolare nella Pianura Padana, da dove scomparve nel corso del XVI o all’inizio del XVII secolo.
Dopo quattro secoli di completa assenza in Italia, nel 2018 un individuo in dispersione naturale dalla popolazione austriaca reintrodotta è stato rilevato nella zona di Tarvisio e nel 2020 la specie è stata segnalata anche in Val Pusteria.
Castoro eurasiatico (Castor fiber) ripreso con una fototrappola. Foto di Chiara Pucci e Davide Senserini
Ma allora… come ci è arrivato il castoro in Umbria?
Potrebbe non essersi mai estinto, anche se questa ipotesi è molto inverosimile visto che dove la specie è presente è facilmente rilevabile dai caratteristici segni, derivanti dal rosicchiamento doppio conico, lasciati sugli alberi. La seconda ipotesi, altrettanto poco probabile, è che la specie sia arrivata spontaneamente da altre aree. Poco probabile perché la distanza tra la Toscana e l’Umbria e le attuali zone di presenza in Francia, Svizzera, Austria, Tarvisiano e Val Pusteria è pari ad almeno 400 km e nel mezzo non ci sono evidenze di altre popolazioni.
Potrebbe esserci stata una fuga di individui dalla cattività, ma la presenza di segnalazioni in aree diverse della Toscana e dell’Umbria, implicherebbe diverse fughe di animali da varie strutture che li detenevano in cattività, oppure una fuga unica con successiva diffusione in aree diverse. Il tutto molto improbabile.
Particolare della coda del castoro eurasiatico (Castor fiber), Foto Chiara Pucci e Davide Senserini
L’ultima ipotesi, quella attualmente più accreditata dalla comunità scientifica, è che ci sia stato un rilascio illegale di animali in più aree. I teriologi, che sono gli zoologi che si occupano dello studio dei mammiferi, si stanno interrogando su come gestire questa situazione visto che nonostante il castoro eurasiatico sia una specie strettamente protetta dalla legislazione nazionale e internazionale, per la Commissione Europea, essendoci stato un precedente in Spagna, i nuclei originati da rilasci illegali non sono obbligatoriamente tutelati, almeno fino a quando non diano origine a popolazioni diffuse e naturalizzate.
L’Associazione Teriologica Italiana (ATIt) ritiene che i castori eurasiatici presenti in Italia centrale siano verosimilmente frutto di immissioni illegali e che comunque andrebbe predisposta un’attenta valutazione della fattibilità della reintroduzione in relazione alla sua capacità di produrre alterazioni positive e negative agli ecosistemi.
Qualsiasi ulteriore decisione sul destino di questa specie in Italia centrale sarà comunque subordinata a un’attività di monitoraggio su vasta scala per localizzare eventuali altri nuclei presenti e meglio chiarire la distribuzione attuale del castoro eurasiatico.
La stessa ATIt indica che nelle aree dove è accertata la presenza di castori dovrà essere definito al più presto un piano per la rimozione degli stessi, da comunicare adeguatamente alla popolazione per far comprendere la necessità di tali interventi.
Bibliografia
Mori E., Viviano A., Brustenga L., Olivetti F., Peppucci L., Pucci C., Senserini D., Sergiacomi U., Spilinga C., Roversi P.F., Mazza G. 2021. Distribution and genetic analysis of wild-living Eurasian beavers in Central Italy. Redia, Journal of Zoology 104: 209-215.
Posizione dell’ATIt sulla presenza del Castoro eurasiatico in Italia centrale. Documento approvato dal Consiglio Direttivo dell’ATIt il 18 novembre 2021.
La mostra agricola artigianale del Trasimeno, che si svolge ogni anno a Pozzuolo, nel Comune di Castiglione del Lago, il secondo fine settimana del mese di settembre, a causa della pandemia è stata sospesa nella sua formulazione tradizionale per due anni; nonostante ciò quest’anno non ha voluto far mancare il dibattito sui temi di attualità che interessano il settore agricolo ed agroalimentare. Infatti sabato prossimo, 27 novembre, nella prestigiosa cornice di Villa Valentini Bonaparte si terrà il convegno dal titolo Territorio Tipicità Turismo nel quale numerosi interventi di qualificata professionalità parleranno delle nuove risorse tra PNRR, PSR, MIPAAF e altro, in una interconnessione del settore primario tra innovazione, sostenibilità, salute e ambiente. Si affronterà, tra i temi il percorso che ha portato alla ormai vicinissima nascita dei due distretti del cibo agroalimentari di qualità Trasimeno-Corcianese e Area Sud Ovest Orvietana, che si costituiranno ufficialmente fra qualche settimana e che saranno i primi in Umbria a chiedere il riconoscimento, entro la fine dell’anno, per il tramite del soggetto proponente Gal Trasimeno-Orvietano. Infatti una intensa attività di animazione che è partita nella primavera scorsa ha prodotto un interesse generale delle imprese del settore agroalimentare nelle due aree di riferimento a questa nuova opportunità per l’agroalimentare in Umbria e su quale settore la legge finanziaria per il 2022 ha stanziato ben 120 milioni di euro sul piano nazionale.
A portare i saluti saranno il Presidente della associazione Mostra dell’Agricoltura del Trasimeno, Cristian Giardini, il Sindaco di Castiglione del Lago Matteo Burico e il Presidente del Gal Gionni Moscetti, mentre il Direttore del Gal parlerà dei contenuti sia del Gal che dei distretti del cibo. Importanti relatori al tavolo del convegno tra cui Michela Sciurpa A.U. di Sviluppumbria, l’Assessore alle politiche agricole Roberto Morroni con le conclusioni affidate al sottosegretario del MIPAAF Sen. Francesco Battistoni. Prima delle conclusioni due testimonianze di imprese dell’eccellenza dell’imprenditorialità umbra, Dominga Cotarella della famiglia Cotarella e Sergio Rutili della CM – CentUmbrie Srl di Agello. Vogliamo tenere alto il dibattito sulle nuove opportunità per il Trasimeno e per l’Umbria – dichiara l’assessore del Comune di Castiglione del Lago Marino Mencarelli da sempre punto di riferimento importante per la mostra agricola – visto che il particolare momento di crisi dovuta alla pandemia ci dà anche la possibilità di avere finanziamenti importanti perla ripresa dell’economia. Abbiamo però il dovere – continua – di spenderli al meglio e di portare a conoscenza delle opportunità il maggior numero possibile di operatori economici. Da questo punto di vista la mostra agricola del Trasimeno vuole essere un laboratorio di idee progettuali anche in questa occasione.
«Sono onorato ed emozionato di essere presente in questa sala, nella quale mia madre ha dato molto. Penso che sia stata un modello per molte donne, la quale ha lavorato in questo luogo non solo con grande senso del dovere, ma con grande passione. Vorrei ricordare mia madre attraverso le parole di William Shakespeare: “Tu sei di tua madre lo specchio ed ella in te rivive”». Giovanni Zazzerini
L’archivio di Stato di Perugia ha dedicato l’inaugurazione della Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica alla Dott.ssa ClaraCutini, che per lunghi anni, dal 1994 al 2009, è stata direttrice dell’istituto dopo esserne stata reggente a partire dal 1990; l’Archivio di Stato ha così dedicato una targa commemorativa a Clara Cutini, posta nell’aula della Scuola da lei diretta fin dal lontano 1972; il luogo è un silenzioso portavoce delle persone che lo hanno vissuto, legando così il nome di Clara e la sua personalità all’importante e prestigiosa istituzione.
Clara Cutini (Perugia 30 aprile 1942-24 novembre 2019) laureatasi con lode in Scienze politiche presso l’Università degli Studi di Perugia inizia la carriera come archivista di stato nel 1968; è reggente ad interim della Sovrintendenza archivistica per l’Umbria dal 1975 al 1978; dal 1990 al 1994 è reggente dell’Archivio di Stato e delle sezioni dipendenti divenendone direttrice con la qualifica di primo dirigente dal 1994 fino 2009, anno del suo pensionamento. Grazie alla sua autorevolezza, al suo innato senso di responsabilità, conciliato da un lungo operato e da una grande e duratura professionalità, le è stato possibile individuare e acquisire le sedi monumentali per l’Archivio di Stato e per le quattro sezioni dipendenti: Spoleto nel complesso di San Matteo (1990), Foligno a Palazzo Deli (1998), Gubbio nel complesso di San Francesco (1999) ed Assisi nel Palazzo ex GIL (2005). Dalle commosse parole di chi la conosceva, Clara Cutini fu una donna di forte caratteree competenza, tali caratteristiche le consentirono di restaurare la sala, presso l’Archivio di Stato, dove si è svolta l’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola.
La figlia, Laura Zazzerini
Gli archivi sono la base della nostra memoria, devono essere protetti, tutelati, salvaguardati, valorizzati e Clara, grande appassionata di storia, vedeva quest’ultima come un punto di partenza e non come un nostalgico ricordo, è per tale motivo che ha sempre lavorato in questa direzione, sottolineando giorno dopo giorno, l’importanza di documenti e archivi, poiché la sfida dei nostri giorni risiede nel riuscire a innescare un processo di viva usabilità in modo che diventino fonte di nuova linfa in termini di approfondimenti, conoscenze, studio e creatività; sotto la guida della Dott.ssa Cutini, l’Archivio infatti si è aperto alla città, diventando da luogo esclusivo per pochi, ad ambiente vivo e facilmente accessibile, sede di mostre, convegni scientifici e iniziative culturali. La sua raffinata intelligenza la portava a orientarsi verso il futuro e aveva sempre nutrito grande stima e speranza nei giovani.
La Dott.ssa Cutini è stata direttrice dell’Archivio di Stato di Firenze, membro del comitato scientifico della Fondazione Aldo Capitini, del consiglio di amministrazione del Nobile Collegio del Cambio e del Nobile Collegio della Mercanzia. Vicenzo Ansidei di Catrano, Rettore del Nobile Collegio del Cambio e Giuseppe Severini, Rettore del Nobile Collegio della Mercanzia hanno ricordato il suo costante impegno in questi nobili e antichi collegi, nei quali non ha mai mancato di esprimere la propria opinione in modo pacato e puntale, solo dopo attente ricognizioni e precise perizie.
Fu inoltre socio ordinario della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, dell’Accademia di Belle Arti e della Società di Mutuo Soccorso.
L’amore per la sua città e la grande passione per il lavoro, vissuto sempre con il massimo impegno e onestà, ne hanno fatto una fine studiosa e autrice di importanti pubblicazioni; gli anni della sua attività infatti si sono contraddistinti da abbondanti occasioni di ricerca dando luoghi a numerose pubblicazioni edite con precisione e raffinatezza; tra i suoi scritti vanno ricordati i volumi: Uno schedato politico: Aldo Capitini (1998), Archivio del Collegio del Cambio di Perugia. Inventario (1992) dedicato a sua figlia Laura, Domus Misericordiae. Settecento anni di storia dell’Ospedale di Perugia (2006), Breve dell’Arte dei Calzolai di Gubibio (2012) dedicato ai suoi adorati nipoti Guido, Gloria e Claudia.
Un momento della cerimonia
Clara Cutini è stata insignita della Croce con corona dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta nel 2002 ed è stata Presidente del Club Soroptimist di Perugia dal 2004 al 2006; Gabriella Agnusdei, Presidente Soroptimist Club di Perugia, la ricorda attraverso commosse parole: «La sua eleganza e il suo profondo impegno nelle istituzioni le è valso l’affetto di molte persone. Clara è stata sempre innamorata della sua famiglia, del suo lavoro, della sua città, è stata sempre innamorata della vita. Concludo con le stesse parole con le quali abbiamo aperto questa giornata. Io auguro a tutti voi di specchiarsi in Clara».
È stata inaugurata la mostra “Leandra Angelucci Cominazzini. Una donna futurista” a palazzo Trinci, residenza della nobile famiglia che governò la città di Foligno tra il 1305 e il 1439; la mostra, promossa da CoopCulture in collaborazione con il Comune di Foligno, è dedicata alla pittrice futurista folignate per la ricorrenza dei quarant’anni dalla sua morte.
La mostra, occasione imperdibile per ricordare e far meglio conoscere l’artista folignate, sarà visibile fino al 24 gennaio 2022. Curata da Massimo Duranti e Andrea Baffoni, allestita nelle sale di palazzo Trinci e al piano terra della biblioteca comunale, è divisa per sezioni con circa novanta opere, fra dipinti, arazzi e manufatti in ceramica che documentano l’attività di Leandra Angelucci Cominazzini e da cui si ricavano interessanti notizie sul rapporto intercorso con Filippo Tommaso Marinetti e con i personaggi di spicco del panorama culturale italiano del periodo futurista.
La mostra è arricchita da una sezione documentaria dedicata all’artista, alle sue esposizioni e ai contatti che strinse lungo tutta la sua operosa vita, e una sezione bibliografica dedicata all’editore folignate dedito alla pubblicazione di opere futuriste Franco Campitelli, a cura di Antonella Pesola e Domenico Cialfi.
Le opere
La sua vita
Leandra Cominazzini (Foligno, 5 settembre 1890 – Foligno, 24 gennaio 1981), è stata un’artista di primo piano nella cultura futurista italiana: nasce nella città dei Trinci da una famiglia dell’alta borghesia e trascorre tutta la sua infanzia a Foligno. Fin da giovanissima fu mandata dalla famiglia, come era previsto per le donne, presso il Collegio Santo Spirito a Perugia, per continuare gli studi all’istituto magistrale, anche se il suo desiderio era quello di frequentare i corsi dell’Accademia.[1]
Iniziò a dedicarsi all’arte, la sua passione, appena diplomata, spaziando dal pannello murale, ai vetri dipinti a smalto e a olio, alle tele e alle mattonelle; sperimentò il campo della pittura non tradizionale con la creazione di arazzi, riprendendo un’antica tecnica usata dalle donne di Spello. Grazie all’esposizione dei suoi arazzi, vinse una medaglia d’argento, alla Prima mostra internazionale di Arte sacra a Valle Giulia a Roma nel 1930.
Il 1932 fu un anno fondamentale per l’artista, poiché questa data segnò l’incontro con Gerardo Dottori, firmatario del manifesto dell’Aeropittura e figura di punta del futurismo a Perugia. Profondamente legato a Dottori fu Tommaso Marinetti, fondatore del movimento futurista e ideatore della mostra Premio Golfo della Spezia, presso la quale Leandra Cominazzini presentò un suo dipinto. Dopo tale successo l’artista partecipò alle più importanti esposizioni italiane: la XX e la XXIII Esposizione internazionale d’arte di Venezia, nel 1936 e nel 1942, alle Quadriennali di Roma nel 1939 e nel 1943; espose inoltre a Napoli, Terni, Roma, Orvieto, Milano, Cremona, Bologna, Firenze e Foligno, inviando sempre le sue creazioni e non andando mai di persona.[2]
Fu un’artista poliedrica, non si dedicò solo alla pittura ma, nel 1939, si cimentò anche nella poesia, dedicando a Marinetti la raccolta di Aeropoesia futurista umbra, pubblicata poi postuma nel 1983.
La sua pittura subì un cambiamento radicale, quando, all’inizio degli anni Cinquanta, rimase vedova del marito Ottorino Angelucci, un industriale perugino; la sua arte mutò radicalmente, prediligendo soggetti come il cosmo, i satelliti e gli astri.[3] L’artista si spense nella sua città natale il 24 gennaio 1981.
L’affetto di Leandra alla città è dimostrato da un’opera raffigurante la pittura astrale del 1970, donata al Comune di Foligno e conservata nel deposito del museo di palazzo Trinci, ora esposta al pubblico.
L’artista donò, alla Biblioteca comunale Dante Alighieri della sua città nel 1979, il suo archivio, raccogliendo l’invito fatto dall’amministrazione di voler costituire un fondo documentario sugli artisti umbri, che si è arricchito poi di altre pubblicazioni entrate a far parte del patrimonio librario nell’aprile del 1981. La documentazione ricopre un periodo molto ampio: dal 1900 al 1981, che testimonia la varietà di stili e generi dell’artista poliedrica, dalle iniziali prove di disegni scolastici, all’Autobiografia manoscritta. Fondamentali sono le lettere di Gerardo Dottori, l’artista con il quale si è sempre confrontata dal 1932, quando iniziò a frequentare il gruppo futurista umbro con Alessandro Bruschetti, Vittorio Meschini e Giuseppe Preziosi.
La vita e la storia dell’artista è delineate nella mostra attraverso il materiale facente parte dell’Archivio Cominazzini, oggi digitalizzato. Dopo la seconda guerra mondiale infatti Leandra nella volontà di tenere desto lo spirito del Futurismo, cercò continui legami con gli artisti con cui condivise le rassegne espositive e l’idealità del movimento marinettiano; sono presenti infatti molti carteggi con alcuni esponenti, spicca infatti il forte legame di stima e amicizia con Giovanni Acquaviva ed Enzo Benedetto. Diversi documenti riguardano anche l’ultimo segretario di Marinetti, Luigi Scrivo con il quale Leandra ebbe un epistolario dal 1968 al 1975. Accompagnano il lungo percorso artistico numerosi ritagli di stampa, fotografie, un diploma di partecipazione e cataloghi delle esposizioni più significative; il ricco materiale testimonia la volontà di Leandra di aggiornarsi e per continuare a esprimere la propria arte. La mostra si completa con un catalogo edito da Coopculture con saggi dei curatori, approfondimenti di Emanuela Cecconelli e Lucia Bertoglio ed un aggiornato apparato scientifico a cura di Antonella Pesola composto da una dettagliata cronologia e bibliografia. Leandra Angelucci Cominazzini fu tra le poche personalità femminili che aderirono al Futurismo; il suo ruolo all’interno del movimento appare molto interessante se si considera che tale movimento aveva una visione dell’arte basata su valori come la forza, la velocità, la guerra, da cui il genere femminile era generalmente escluso; le donne allora reagirono ampliando gli spazi del movimento, diventando artiste a tutto tondo, impegnate così su più fronti artistici.
L’orbo veggente, 1936
[1] Massimo Duranti, Enrico Crispolti, Leandra Angelucci Cominazzini Futurista Onirica, Perugia, 1983. [2] Mirella Bentivoglio, Le futuriste italiane nelle arti visive, De Luca, 2008. [3]Voce Cominazzini Leandra in Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.
Al confine tra Umbria e Marche, in quella zona spartita tra il comune umbro di Foligno e quello marchigiano di Serravalle del Chienti, si estende un sistema di altipiani carsici circondato da una serie di rilievi. Prati fioriti che tendono periodicamente a riempirsi d’acqua, offrendo un paesaggio diverso in ogni stagione.
Ricciano, Arvello, Pian della Croce, Annifo, Colfiorito, Palude e Popola: questi i nomi di quegli altipiani posti a 750 metri di altitudine, residui fioriti di una palude carsica ormai da tempo prosciugatasi. Disperse ormai le esalazioni mefitiche, il terreno, l’altitudine e le variazioni atmosferiche fanno in modo però che si creino degli specchi d’acqua di particolare bellezza, dimora di numerose specie di piante e animali. Il Cavalier Francesco Santoni ne dà un’esemplare rappresentazione in versi.
Opere idriche sull’altopiano di Colfiorito
Il più famoso è senza dubbio il Lago di Colfiorito, dove l’acqua permane pressoché tutto l’anno, costeggiato da una pittoresca passerella di legno e già oggetto di opere di ingegneria idraulica dal 1483, quando Giulio Cesare Varano spinse per la costruzione di una galleria, conosciuta come La Botte o La Botte dei Varano, che convogliò gran parte delle acque stazionanti nell’altopiano nel fiume Chienti. Ambienti del genere, se lasciati a sé stessi, sono infatti soggetti a un graduale interramento, cosa che, una volta divenuta irreversibile, comporta la sparizione di quel particolare ecosistema che si era creato.
E come non pensare, allora, alle recenti vicissitudini di questi bacini d’alta quota? Si ricordi il canale artificiale, scavato tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, che permise di mettere in comunicazione la Palude di Annifo con quella sopracitata di Colfiorito: opera che, nel dicembre 2017, si è rivelata estremamente utile. Durante la torrida estate precedente, infatti, le temperature elevate avevano causato l’evaporazione totale della palude, lasciando cumuli di pesci prima a morire – e poi a marcire – sotto al sole. Selezione naturale, direte voi; ma la stessa natura ha pensato bene di rimediare creando un altro, nuovo, bacino nella Piana di Annifo, nel dicembre dello stesso anno. Il neonato lago, come in passato, potrebbe durare fino a primavera; così, una volta scioltisi il ghiaccio e la neve che glassano queste contrade, sarà possibile convogliare parte delle sue acque verso il martoriato Lago di Colfiorito, donandogli una seconda vita.
Museo Archeologico di Colfiorito
Natura e civiltà
Sarebbe un peccato, infatti, se questa zona umida – peraltro protetta da un parco regionale e dalla Convenzione di Ramsar – si alterasse a tal punto da sparire per sempre. Circondata infatti da boschi di cerri e agrifogli, la piana di Colfiorito ospita animali rari come il tarabuso, l’airone rosso e il tarabusino, così come pavoncelle, pittime reali, chiurli, germani reali, gallinelle d’acqua, poiane e falchi di palude. Allo stesso modo, vi crescono ninfee bianche, brasche d’acqua, millefoglio, il giaggiolo d’acqua, il ranuncolo, diverse piante officinali e la carnivora erba vescica. Nella zona occupata, fino al 1950, dalla torbiera, ormai esaurita, vi crescono pennacchi e orchidee acquatiche.
Nei pressi di questa magnifica porzione di terra, vi è anche il MAC, il Museo Archeologico di Colfiorito, che raccoglie le testimonianze di tutti quei popoli che, in queste zone di passaggio tra l’Appennino umbro e quello marchigiano, si sono avvicendati: i Romani, i Cartaginesi e, prima ancora, i Plestini, che conferirono alla zona il secondo nome di Altipiani Plestini.
Per chi invece voglia immergersi in un’atmosfera da Signore degli Anelli, ogni anno, ad agosto, la zona di Montelago è animata dal pittoresco Montelago Celtic Festival, evento imperdibile per gli amanti del genere.
Fonti: R. Borsellini, Riflessi d’acqua: Laghi, fiumi e cascate dell’Umbria, Città di Castello, Edimond, 2008.
Giovedì 18 novembre, si inaugurerà il II anno del corso della Scuola APD e verrà dedicata la mattinata al ricordo la dott.ssa Clara Cutini, per lunghi anni direttrice dell’Istituto e di cui ricorre il secondo anniversario della scomparsa.
Interverranno Leonardo Varasano, Assessore alla Cultura del Comune di Perugia. A seguire, Alberto Grohmann, emerito dello Studium, Giuseppe Severini, magistrato e Rettore del Nobile Collegio della Mercanzia, e Vincenzo Ansidei, Rettore del Cambio. È poi il turno di Mario Squadroni, ex Soprintendente Archivistico e attuale Presidente della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria. Chiude Gabriella Agnusdei, Presidente del Soroptimist di Perugia, Associazione alla quale Clara era orgogliosa di appartenere. Successivamente, nell’aula didattica della Scuola, sarà scopertura una targa che ricorda la presenza e l’opera di Clara Cutini in quel luogo.
Probabilmente non tutti sanno che uno dei padri della grafica italiana era umbro, in particolare orvietano.
Si tratta di Piergiorgio Maoloni, un designer visionario che è stato in grado di anticipare i tempi e di realizzare, grazie al suo talento e alle sue intuizioni, il restyling di alcuni fra i più importanti giornali italiani fra cui, per citarne alcuni, «La Stampa», «Il Messaggero», «L’Unità», «Avvenire».
Piergiorgio Maoloni, foto di Orvietosi.it
Questo personaggio, che è stato in grado come pochi altri di dare forma alle notizie, nacque a Orvieto il 9 giugno del 1938. Definito l’architetto dei giornali, amò molto Vienna e New York e fu in grado di guardare con attenzione a ciò che accadeva nel resto del mondo, annotando evoluzioni ed esperienze e traendovi ispirazione per il suo lavoro.
Con la sua opera è stato in grado di elaborare un nuovo equilibrio fra contenuti e spazi, ha esaltato l’utilizzo delle immagini, ha dato respiro alle pagine dei giornali che, insieme a lui, si sono liberate da schemi opprimenti e antiquati. Il suo contributo all’evoluzione della graficaeditoriale è stato determinante, la capacità di mettersi in ascolto delle esigenze comunicative delle redazioni, ha fatto sì che la grafica diventasse un elemento fondamentale nella valorizzazione ed enfatizzazione dei contenuti, assumendo così un ruolo da protagonista nella divulgazione della notizia.
Scomparso Maoloni nel 2005, il suo importante e ricchissimo archivio professionale, costituito in anni di lavoro, raccolta e ricerca, è stato donato dalla famiglia di Maoloni al Comune di Orvieto che nel 2018 ha avviato il progetto Da Orvieto al mondo. Piergiorgio Maoloni a 80 anni dalla nascita per valorizzare lo straordinario lascito. Il percorso per rendere fruibile l’archivio – attualmente conservato al secondo piano di Palazzo dei Sette – e metterlo a disposizione della comunità non si è ancora concluso, ma è intenzione dell’amministrazione comunale spostarlo al Centro Studi per aprirlo finalmente al pubblico.
In occasione della serata di quel 22 dicembre 2018, data di presentazione del progetto Da Orvieto al mondo. Piergiorgio Maoloni a 80 anni dalla nascita, Angelo Rinaldi, art director de «La Repubblica», dichiarò: «Il piccolo passo fatto dall’Amministrazione Comunale di Orvieto, ovvero una serata in ricordo di Piergiorgio Maoloni in cui si presenta l’idea di un progetto che valorizzi un Maestro della grafica italiana, è una cosa che trasformerà questo settore professionale in quanto Piergiorgio era molto conosciuto e apprezzato a livello mondiale, quindi rendere fruibile il suo lascito culturale al grande mondo di studenti, professionisti e appassionati non solo italiani ma anche stranieri è una intuizione felice».
Aspettiamo allora con ansia di poter visitare questo tesoro per rendere ulteriore merito a un umbro che, con il suo lavoro, ha fatto davvero la differenza e che può ancora regalare spunti e ispirazione alle giovani generazioni di grafici.
Archeologia è una parola altamente evocativa. Quando, negli anni Cinquanta Ceram pubblicò un libro di grande successo dal titolo “Civiltà Sepolte”, migliaia di persone scoprirono il fascino dell’archeologia.
Tutti sognarono di ritrovare civiltà remote, come fece Schliemann riportando in luce Troia, oppure rischiare la maledizione del faraone, come Howard Carter che entrò nella tomba di Tutankhamen, o ancora immaginare l’emozione di Evans che individuò il labirinto di Cnosso.
Archeologia però non è solo sinonimo di pietre sepolte o antiche iscrizioni perché esiste anche un’archeologia legata alle piante. Non stiamo parlando di foreste fossili, bensì di alberi e di frutta. E non parliamo neppure della meravigliosa frutta di cera di Francesco Garnier che si vede a Torino. Qui si tratta di alberi vivi e di frutti commestibili. Ci troviamo davanti a un luogo di archeologia botanica dove vengono coltivate molte varietà di frutta che non sono più sul mercato e che se si perdono lo sarà per sempre.
Dr. ssa Isabella Dalla Ragione
Il luogo in questione è Archeologia Arborea onlus: un frutteto a San Lorenzo di Lerchi, al confine tra Umbria e Toscana, coltivato e studiato dalla ricercatrice dottoressa Isabella Dalla Ragione che dice: «Dalla lunga ricerca è stato creato a San Lorenzo di Lerchi, in un paesaggio agricolo storico, il frutteto da collezione, straordinario patrimonio genetico e culturale».
In questo frutteto che, per inciso, è anche un angolo di Umbria molto romantico, sono riunite e curate 600 piante da frutto di 150 varietà. Ci sono pere, prugne, mele, ciliegie, mandorle e anche i merangoli, cioè arance amare, e le prugne mirabolane, tanto usate nella farmacia rinascimentale.
Le usanze passate
Pomi e peri coti, si sentiva gridare d’inverno per le calli di Venezia, in Piemonte e in Val d’Aosta in autunno si mangiavano le pere cotte Martin Sec, a Roma quelli che andavano il giro con il calderone della frutta cotta li chiamavano Peracottari. E non era un complimento. Cambiava la città ma il problema era lo stesso: d’inverno la frutta era poca e si mangiavano cotti solo i frutti che resistevano. Era un modo per mangiare e scaldarsi le mani. Arance e mandarini erano solo al sud, e non ovunque, il resto del Paese si accontentava di mele e pere che si potevano conservare. Il boom economico ha fatto sparire i venditori di mele e pere cotte, sostituendoli con le merendine confezionate. Nemmeno nei ristoranti si trova più la frutta, né fresca né cotta.
Archeologia Arborea
Visitando il giardino di Archeologia Arborea si incontra una quantità insospettabile di varietà di frutta e si scopre che ogni frutto ha un’indicazione precisa. Noi, condannati ad andare per supermercati, entriamo in contatto al massimo con 5/6 varietà di mele, mentre fino agli anni Cinquanta del secolo scorso erano molte decine e ogni orto aveva la sua specialità. Le mele che crescono nel meleto archeologico sono varietà che provengono dalla zona di Città di Castello, dalla vicina Toscana e dalla Romagna, hanno tutti i colori della tavolozza e le forme più svariate: quelle Nasone e quelle Muso di Bue, oppure schiacciate, oppure tonde. Ogni mela ha un’indicazione precisa. La mela Pagliaccia o rotolona (il nome indica la sua forma) è una mela autunnale che si poteva conservare in inverno; la mela Muso di Bue, si mangiava fresca o come confettura; le mele Nasone erano solo verdi e croccanti; la mela Rosona si cucinava invece con le carni. Quando non c’era il frigorifero la frutta era legata ai cicli delle stagioni e, se si poteva, andava conservata.
Fino alla prima metà del ‘900 la frutta raramente veniva consumata a tavola mentre era molto gradita cotta assieme con le carni, per assorbire i grassi. L’arista di maiale con le prugne o il vitello con le mele o la cacciagione con i lamponi sono dei must della cucina italiana. Tutte le piante che crescono in Archeologia Arborea erano già coltivate nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, come verificato personalmente dalla dr.ssa Dalla Ragione.
Invece di servirsi della macchina del tempo, Isabella Dalla Ragione è scesa a valle e ha fatto uno studio approfondito degli affreschi nei palazzi signorili dell’Alta Valle del Tevere, ritrovando dipinta la frutta che lei coltiva. Gli artisti, in particolare i pittori, hanno sempre lavorato copiando dal vero perché la natura ha offerto tutti i colori e le forme che cercavano. Cornici fiorite o canestri di frutta o giardini trompe l’œil, sono stati dipinti basandosi sempre su modelli reali. Perché lavorare di fantasia quando basta guardare fuori dalla finestra per avere una gamma infinita di colori e forme?
Visitare l’arboreto di San Lorenzo equivale quindi a tuffarsi con salto carpiato e con avvitamento in un mare profondo e pieno di curiosità, ma per fortuna, la dottoressa Dalla Ragione ci aiuta a stare a galla. L’arboreto è visitabile e si può anche adottare una pianta.
Indirizzo: San Lorenzo di Lerchi (Città di Castello). tel + 39 335 61284 info@archeologiaarborea.org