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Covid, la convivenza forzata che sfocia in violenza

La violenza di genere è una situazione complessa, dove il contesto sociale può facilitare o condizionare ogni singolo episodio. Ci sono donne e giovani che subiscono violenza psicologica, fisica e sessuale e non hanno la forza di denunciare.

Nel periodo di emergenza sanitaria legata al COVID-19, dove si è dovuti stare a casa, la convivenza forzata nello stesso luogo per lungo tempo potrebbe aver innescato discussioni e litigi e portato ad atti di violenza. Per molti la propria casa vuol dire protezione e sicurezza, in particolar modo in questo periodo, in cui bisogna stare lontani dal contagio del Coronavirus. Purtroppo, in alcuni casi, le mura domestiche rappresentano un inferno e una prigione dove regnano paura, isolamento, abusi e maltrattamenti e le donne, gli anziani e i bambini sono le figure maggiormente esposte a violenze. Ne parliamo con la Dottoressa Lucia Magionami, psicologa e psicoterapeuta, esperta in violenza di genere. Lucia è un’umbra che opera a Perugia e a Firenze e collabora con le forze dell’ordine e con le associazioni che si occupano di casi specifici di violenza. Nell’intervista, con la sua consueta pacatezza, ci racconta questo tema molto delicato.

 

Dott.ssa Lucia Magionami

Che cos’è la violenza nelle relazioni intime? C’è differenza con la violenza di genere?

La violenza nelle relazioni intime è caratterizzata da una serie di azioni ripetute nel tempo, fisiche, sessuali e psicologiche che hanno luogo all’interno di una relazione affettiva attuale o passata. Proprio in questi giorni l’Ungheria ha bocciato la Convenzione di Istanbul ritenendo il trattato pericoloso nello sviluppare le ideologie di genere, ritenute perfino distruttive. La bocciatura risulta quantomeno sorprendente. La Convenzione infatti è il primo strumento giuridico internazionale che crea, dopo una lunga e meditata gestazione, un quadro completo per proteggere la vittima e perseguire l’abuser. Mentre per violenze di genere s’intendono tutti quegli atti di violenza compiuti dagli uomini sulle le donne.

In questo periodo di lockdown c’è stato un maggior numero di violenze domestiche? 

Sicuramente il confinamento di questo periodo ha reso ancora più difficile il rapporto di coppia in cui sia già presente violenza. Mentre nei primi giorni di lockdown i dati riferiti dai centri antiviolenza hanno evidenziato un calo di richieste di aiuto da parte delle donne del 55%, dopo alcuni giorni sono nuovamente risalite al 75%. Questa oscillazione va imputata alla difficoltà delle vittime di chiedere aiuto telefonico al numero 1522 poiché sottoposte al controllo incessante del partner durante il confinamento. Inoltre, credo che nei primi giorni di pandemia l’abuser abbia vissuto una specie di altra realtà in cui, potendo esercitare il massimo controllo sulla sua partner, ha sentito abbassarsi le tensioni interiori. Poi, con il passare del tempo trascorso a casa, i meccanismi sono mutati e, come ci insegna E. Walker nel Ciclo della violenza, la tensione è risalita, e senza una reale giustificazione è scoppiato l’episodio di violenza. Anche i femminicidi sono stati numerosi: ben 11, da marzo a oggi, le donne uccise per mano di uomini che dicevano di amarle. Per cercare di fermare questo fenomeno, che è l’ultimo atto di un rapporto malato, la soluzione ci viene dalla Spagna, dove basta andare in farmacia e chiedere una Mascherina 19; in Italia invece si deve chiedere una Mascherina 1522 indicando cioè il numero di telefono nazionale contro la violenza. Un modo strategico per denunciare cosa si vive all’interno delle mura domestiche e chiedere aiuto.

Perché le donne rimangono in una relazione violenta?

Non tutte le donne, ovviamente. Quando accade, la donna tende a restare nella relazione violenta non solo in forza della spirale del ciclo della violenza, ma anche per l’incapacità di vedersi e riconoscersi vittima di violenza dovuta a una lettura culturale che la società prevalentemente maschilista le ha inculcato. Vi sono comunque anche motivi molto concreti, spesso, come la presenza dei figli e la paura di vederseli sottrarre, la mancanza di una rete sociale cui affidarsi e di risorse finanziarie come il lavoro; questi sono tutti fattori che legano e trattengono la donna incatenata alla coppia. Non va mai dimenticato che la violenza sulle donne nasce all’interno di una storia che credevano d’amore, e rompere quel pensiero romantico non è mai facile, anche se sarebbe indispensabile per avviare un percorso di uscita dalla violenza.

Chi sono i maltrattanti?

Gli uomini che agiscono maltrattando. Sono definiti insospettabili. Non si tratta di persone malate, ma di persone che vivono una forte fragilità, una scarsa educazione emotiva, una debolissima o perfino assente empatia. Vivono un complesso di frustrazioni mai risolte e mai gestite; l’incapacità di elaborare le frustrazioni gli impedisce di contenere l’impulso ad assoggettare la partner e a punirla violentemente per qualsiasi fantomatica colpa. Perciò sono soggetti molto controllanti, provano una dilaniante gelosia nei confronti della donna, sono convinti che la partner sia di loro proprietà, tanto da poter disporre di lei, in qualsiasi modo, fino a toglierle la vita. Un’altra caratteristica da tenere presente è quella della de-responsabilizzazione delle loro azioni: “non è colpa mia” è l’affermazione tanto più ricorrente nei maltrattamenti.

Le parole di Lucia Magionami, mi fanno venire in mente un pensiero espresso da Martin Luther King: Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l’indifferenza dei buoni.

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Marco Pareti

Giornalista pubblicista, si definisce etrusco, in quanto nato nella Capitale da padre umbro di Tuoro sul Trasimeno e madre toscana di Cortona. Appassionato di foto, cinema, storia e viaggi, è attratto dalla cultura enogastronomica dei luoghi visitati e dagli usi e costumi locali. Laureato in Pedagogia, ha scritto libri, ideato e organizzato eventi e mostre. Per AboutUmbria Magazine scrive di eventi e territorio.