«Dopo l’iscrizione all’Albo d’Oro del Comune di Perugia, voglio che il grifo mi accompagni nelle mie scalate. Voglio portare la peruginità in giro per l’Italia e non solo».
Con queste parole di Luca Panichi, nato a Magione 49 anni fa, spiega orgoglioso l’importante riconoscimento ricevuto. Lui è uno sportivo, un ciclista, uno scalatore. Uno che non si è mai arreso, nemmeno dopo l’incidente avvenuto nel 1994 quando aveva 25 anni: stava facendo quello che amava di più, la cronoscalata del Giro dell’Umbria internazionale dilettanti, quando un’auto lo ha travolto. Oggi con la sua carrozzina – fatta su misura per lui – scala montagne, porta in giro per l’Italia il messaggio che i limiti si possono superare, presiede associazioni ed è il vice presidente del Comitato Paralimpico Umbria. Ma soprattutto è riuscito a non abbandonare la sua passione: il ciclismo. Passione che si percepisce chiacchierando con lui, tanto che mi chiede: «Segui il ciclismo?» Ammetto di non saperne molto, ma che mi sono preparata per intervistarlo. La prima domanda è quasi scontata…
Come le è venuto in mente di scalare le montagne con la carrozzina?
Bella domanda! Subito dopo l’incidente sono stato in Germania in una clinica riabilitativa, lì andavo su in paese – che era in collina rispetto alla clinica – spingendo con le mie braccia la carrozzina. In questo modo mi sono accorto che potevo continuare a essere un ciclista anche stando su una sedia a rotelle. Quando vivevo a Firenze giravo tutta la città e tornavo a Careggi senza prendere mai un mezzo. Stesso discorso a Perugia: frequentavo l’università e non parcheggiavo mai nei posti riservati, lasciavo la macchina in via Ruggero D’Andreotto – vicino all’Hotel Giò – e salivo fino alla facoltà. Mi sono allenato sempre di più fino a che tutto questo non è diventato per me uno sport.
Qual è stata la sua prima scalata?
Nel 2009 ho scalato l’ascesa del Blockouse in Abruzzo, arrivo di tappa al Giro d’Italia: a pochi metri dall’arrivo fui intercettato da Cassani e Bulbarelli, che fecero in diretta la cronaca degli ultimi metri. Da questo episodio ogni anno individuo una tappa con arrivo in salita da scalare. In questo modo posso continuare a vivere la mia grande passione, il ciclismo e portare il mio messaggio: «Rompere il senso del limite».
Tre Cime di Lavaredo, Zoncolan, Stelvio e Gavia: c’è una montagna che le piacerebbe scalare?
La Marmolada e il Passo del Mortirolo, ma anche il Colle di Portet-d’Aspet, che è una tappa del Tour de France. In quel punto morì, nel 1995, Fabio Casartelli, proprio un anno dopo il mio incidente. Sono molto legato alla Fondazione Casartelli e ogni anno partecipo al Gran Premio di Capodarco, comunità che mi ha aiutato nel mio percorso riabilitativo, consegnando il premio all’atleta più combattivo della giornata.
Che sensazione si prova?
Mi sento ancora un ciclista quando salgo su per le salite. Per me non c’è stata frattura, è in continuità col mio sport precedente.
Cosa pensa quando è lì che fatica?
Quando mi alleno spesso mi capita di dire: «Ma chi me lo ha fatto fare!» Poi però penso alle persone che mi seguono, loro sono sempre uno stimolo. Sinceramente, per me sarebbe un sacrificio non fare quello che faccio. È una vera passione!
Prossimo traguardo?
Ad agosto parteciperò al Gran Premio di Capodarco, poi a ottobre rifaccio la scalata dello Zoncolan, ma in condizioni climatiche diverse rispetto alla prima volta.
Parliamo dell’Umbria: qual è il suo legame con la sua regione?
Ho un amore estremo per questa regione. Grazie alla bicicletta ho girato tanti borghi e abbracciato tanti paesaggi. È bellissimo conoscere altre comunità e scoprire posti che, magari, non visiteresti. C’è un ambiente bucolico che si fonde con la storia, anche dei personaggi che l’hanno vissuta: penso non solo a San Francesco, ma anche a Fra’ Giovanni da Pian del Carpine, nativo di Magione proprio come me, che è stato un precursore dei viaggi e di Marco Polo. In pochi lo conoscono!
Girare per Perugia o per l’Umbria – per un disabile – non è come scalare una montagna?
Sicuramente. I borghi umbri hanno una loro configurazione, ma col tempo sono stati fatti degli adeguamenti per renderli più accessibili, la stessa Perugia è diventata più fruibile in alcuni punti. Manca però ancora molto. Si possono fare passi avanti con la visibilità: la persona disabile deve dare il suo contributo, deve dire quello che va migliorato.
Perché è così difficile, secondo lei, rendere tutto accessibile?
È un problema culturale, ma penso che occorra anche un approccio più equilibrato: l’ostacolo va abbattuto, ma anche la persona disabile deve aiutare a migliorare. Occorre un adattamento urbano e un approccio reciproco da entrambe le parti. Le istituzioni vanno stimolate e va cambiata la mentalità con l’educazione, partendo proprio delle scuole. Su questo fronte, anche come vice presidente del Comitato Paralimpico umbro, sono molto attivo.
Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?
Romantica, affascinante e ironica.
La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…
Casa.
Agnese Priorelli
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