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«Ho vissuto la campagna in angolazione arcadica nella mia prima vita; con volontà di innovazione e soprattutto sotto un’impronta culturale nella seconda».

Maria Grazia Marchetti Lungarotti è una donna di vasta cultura: lo si capisce subito parlando con lei. È cortese e gentile da vera donna di altri tempi. La sua passione per l’arte e l’archeologia, per il vino e l’olio, e il rigore negli studi sono i cardini della sua vita. Una vita anch’essa fondata sulla disciplina: «Non ho mai lasciato molto spazio al divertimento e non sono mai stata una mamma latina. Ho sempre preteso molto dai miei figli e questo ha portato i suoi frutti». Già Benemerita della Cultura e dell’arte, nel 2011 è stata insignita della massima onorificenza conferita dal Presidente della Repubblica: Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
Nel 1987 con il suo secondo marito Giorgio Lungarotti (avevano già realizzato il Museo del Vino nel 1974) apre la Fondazione Lungarotti Onlus, di cui è direttore, fulcro culturale della più grande realtà vitivinicola umbra, per promuovere e valorizzare il binomio vino-cultura. Tra le attività della Fondazione, oggi è la gestione dei due complessi museali: il Museo del Vino e Museo dell’Olivo e dell’Olio, dedicati alla vite e al vino così come all’olivo e all’olio, musei privati costituiti da preziose raccolte d’arte e visitati da turisti di tutto il mondo.

 

Chiara Lungarotti, Maria Grazia Marchetti Lungarotti, Teresa Severini

Com’è nata l’idea di aprire il Museo del Vino e in seguito quello dell’Olio?

Ho unito la cultura e i prodotti umbri, un binomio che mi apparteneva. Sono una storica dell’arte e archivista: dai miei interessi in campo culturale è nata l’idea di affiancare la produzione di alta qualità – a cui mio marito, imprenditore illuminato, aveva dato inizio, primo in Umbria – con una apertura rigorosa quanto complessa sugli aspetti storici ed artistici legati al vino. Senza stretti confini: si parla di Umbria, ma soprattutto di Mediterraneo. Il secondo, il MOO, è stato aperto nel 2000, quando lui era già scomparso, e rispondeva alle stesse esigenze di uscire da una considerazione soltanto agricolo-produttiva. In entrambi, si può percorrere un vero e proprio viaggio nel tempo per scoprire origini, mitologia, immaginario, e i tanti volti dei due prodotti.

Il New York Times in una recensione ha definito Il Museo del Vino: «Il migliore in Italia». È stata una grande soddisfazione.

Non solo d’Italia, ma d’Europa. È una realtà insolita che propone un viaggio lungo 5000 anni attraverso collezioni d’arte tra coppe, boccali, anfore, vasellame, ceramiche medievali, rinascimentali e barocche fino a quelle contemporanee, antiche incisioni, oltre a raccolte etnografiche, a testimonianza di quanto l’apparato didattico dice in un excursus storico di entrambi. Musei a misura di famiglia grazie anche ai percorsi conoscitivi ad altezza di bambino.

Per il borgo di Torgiano rappresentano un vero fiore all’occhiello…

Sicuramente. Io e mio marito abbiamo voluto promuovere una zona dell’Umbria, molto bella a livello paesaggistico, ma poco conosciuta nonostante la prossimità a Perugia e Assisi. La realizzazione dei due musei è stata molto impegnativa, ma il risultato è oggi un polo museale specializzato che dà voce non solo al territorio, ma, posso aggiungere, all’Italia tutta del vino. Anche la parte recettiva che abbiamo creato sottolinea il potenziale turistico di questa terra.

Signora Lungarotti qual è il suo legame con l’Umbria?

Sono Umbra e non Etrusca – sorride – un’eugubina naturalizzata perugina. Con questa regione ho un legame molto forte, che si riconduce alla terra stessa, alla cultura e al vino, movente primo di quanto ho realizzato.

Come vede la realtà perugina e umbra, sia a livello sociale che artistico?

Vedo effetti concreti e interesse per l’arte, la musica e la cultura. L’Umbria è una terra interessante, purtroppo indietro rispetto ad altre regioni, la Toscana ad esempio. Abbiamo una storia bellissima e affascinante, di grande interesse storico, economico, artistico, come ad esempio l’Umbria Comunale, che proprio in questi giorni viene raccontata nella mostra Un giorno nel Medioevo. La vita quotidiana nelle città italiane dei secoli XI-XV esposta a Gubbio, alla quale abbiamo contribuito attraverso un consistente prestito di opere del MUVIT.

C’è un progetto della Fondazione Lungarotti a cui tiene particolarmente?

Ne abbiamo tanti tra mostre e convegni. Un’idea che vorrei realizzare è quella di dare maggior spazio espositivo al periodo etrusco.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

Assisi e San Francesco che l’hanno resa famosa, ma l’Umbria deve essere più valorizzata anche in campo storico come artistico. Il che, vista la difficoltà nel raggiungerla, suggerisce attenzione massima ai trasporti.

«L’emozione di vincere un’Olimpiade può essere superata solo dalla maternità»

Diana Bacosi ha iniziato a vincere medaglie nello skeet (specialità del tiro a volo) nel 2004 con il primo argento agli Europei e da lì non si è più fermata. Un successo dopo l’altro, fino ad arrivare alla medaglia d’oro alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016. Diana Bacosi è una donna, una mamma e una campionessa olimpica, che ha imbracciato il fucile per la prima volta quando aveva quattordici anni. «Ora mi aspetta Tokyo 2020. Dopotutto questo è uno sport che non ha grandi limiti d’età».

medaglia d'oro

Diana Bacosi

Diana, qual è il suo legame con l’Umbria?

Sono nata in Umbria a Città della Pieve e ho sempre vissuto a Cetona in Toscana, al confine tra le due regioni. Ora sono dieci anni che vivo a Roma, ma mi alleno in Umbria e spesso ci torno per rilassarmi.

È cresciuta in provincia di Siena, si sente più umbra o toscana?

Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre: mi sento italiana.

Ho letto che ha preso in mano il primo fucile a quattordici anni: cosa spinge una ragazzina a iniziare questo sport?

Papà andava spesso al campo da tiro e io per stare con lui lo seguivo. Le prime volte stavo seduta da una parte e segnavo i punti, poi un giorno mi ha detto: «Diana vuoi provare?» E da quel momento non ho più smesso di sparare. Mi è subito piaciuto ed è diventata la mia passione.

Crede che avrà degli eredi umbri?

C’è un ragazzo di Spello, Emanuele Fuso, che sta emergendo e nei prossimi mesi vedremo dove potrà arrivare.

È stato più emozionate vincere la sua prima gara in assoluto o la medaglia olimpica?

Il vincere una medaglia olimpica è un’emozione unica a mondo. Anche perché ci arrivi dopo una lunga preparazione.

Più emozionate che diventare mamma?

No, quello è sopra tutto e tutti. Ma l’oro viene subito dopo.

Come ci si prepara per affrontare un’Olimpiade?

È un percorso che dura oltre un anno. Passo dopo passo, gara dopo gara si arriva all’Olimpiade. C’è una preparazione fisica e mentale con esercizi di respirazione, controlli cardiaci e tecniche per controllare l’ansia che può presentarsi durante la gara. Poi c’è una pianificazione delle gare per l’intera stagione che precede l’Olimpiade: se ne fanno poche, sempre con la stessa arma e le stesse cartucce. Insomma, tutto è finalizzato a preparare la gara olimpica. Ad esempio, per prepararmi a Rio de Janeiro, nel mio campo di allenamento ho ricreato gli stessi colori che avrei trovato lì: il colore della pista, di ciò che ci sarebbe stato intorno. In questo modo ho abituato gli occhi a quei colori.

Cercate di prevedere tutto, ma i fattori atmosferici sono imprevedibili. Come li affrontate?

Quelli non si possono prevedere, ma cerchiamo di essere preparati, allenandoci anche in pessime condizioni e sperimentando tutti i fattori climatici. Io ad esempio, preferisco una bufera di vento alla pioggia. Una mia compagna invece adora sparare con la pioggia.

C’è una situazione ideale?

Sì, non troppo sole, il cielo azzurro e uno sfondo pulito senza rilievi – montagne o colline – di nessun genere.

Una piccola curiosità: dove la tieni la medaglia?

In una cassetta di sicurezza in banca.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Serenità, bellezza e ospitalità. La gente umbra mi è sempre stata tanto vicina.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

I boschi e il verde.