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Firmato un protocollo d’intesa. Il primo passo è il ripristino della sentieristica con i suoi castellieri.

L’unione fa la forza. Lo sanno bene gli otto comuni –  Terni, Spoleto, San Gemini, Acquasparta, Castel Ritaldi, Massa Martana, Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria, che contano circa 172.000 abitanti – che hanno firmato un protocollo d’intesa per valorizzare il territorio dei Monti Martani. Già nel 2021 era stata sottoscritta simbolicamente la Carta dello Scoppio, nell’omonimo borgo umbro.

 

La firma del protocollo

 

«Vogliamo unirci in modo organizzato per salvaguardare e valorizzare i Monti Martani. Abbiamo già creato, con degli esperti, otto tavoli tematici che hanno come tema l’archeologia, la sentieristica, l’enogastronomia, la ricettività e altri. Il primo passo però è il ripristino della sentieristica: ogni comune metterà in rete i propri percorsi così da creare il Martani Tracking. È un progetto partito 35 anni fa e poi mai concluso. Il percorso, che ha la forma di un 8 orizzontale, ha al centro Scoppio, il borgo fantasma, e dà la possibilità di scoprire bellezze artistiche, monumentali, storiche e naturalistiche» illustra Guido Morichetti, assessore di Acquasparta e uno dei promotori dell’iniziativa.
I sentieri porteranno anche alla scoperta dei castellieri, fortificazioni che risalgono a 3000 anni fa. I Monti Martani erano infatti il passaggio per la transumanza così da evitare di percorrere zone di pianura, ben più pericolose. I pastori si fermavano nei castellieri – quelli che oggi chiamiamo motel – dove potevano rifocillarsi e riposarsi. Tra i più particolari – ancora oggi ammirabili – c’è quello di Monte Cerchio, vicino a Massa Martana, che ha la forma di un cerchio perfetto.

 

Alla scoperta del percorso

 

«L’iter istituzionale è stato fatto, ora vogliamo coinvolgere i cittadini, le associazioni, gli enti, le comunanze, le proloco, le scuole, le diocesi, le forestali e la Sovrintendenza. Tutti devono aderire a quello che sarà probabilmente il consorzio dei Monti Martani, con l’obiettivo di organizzare festival, eventi, promuovere il parco con la sua biodiversità e puntare sulla ripopolazione stagionale del territorio. Stiamo andando avanti passo-passo, anche creando un nostro logo e brand. È stata coinvolta Sviluppumbria e la Regione sa del progetto. La nostra volontà è unirci in una struttura organizzativa, per essere credibili nel chiedere i finanziamenti e per partecipare in modo più incisivo a bandi di concorso» spiega Morichetti.

A Pomonte viene prodotto, secondo la tradizione, il carbone vegetale. Un prodotto dei carbonari locali, che caratterizza questo borgo collinare circondato dai meravigliosi boschi che si affacciano sulla vallata del Puglia.

Pomonte, frazione del comune di Gualdo Cattaneo (PG), si trova poggiata sulle colline che guardano la valle del torrente Puglia, mentre alle sue spalle c’è la Valle Umbra. Il borgo ha una storia antica e sicuramente maggiormente conosciuta a partire dal Medioevo: il palazzo baronale, il castellaccio dell’Albornoz e il Forte di Gregorio XII sono i luoghi di maggiore interesse culturale.
Ma la produzione di carbone vegetale e la tradizione dei carbonari per cui Pomonte è stata famosa nei tempi passati, oggi rimane come fiera, memoria storica e usanza, da cui la celebrazione de La Cotta del Carbone, che si attua ancora oggi come rievocazione della generazione del carbone vegetale. Il carbone di Pomonte viene impiegato soprattutto in cucina per le sue pregiate caratteristiche chimico-fisiche e per le profumate e selezionate essenze lignee utilizzate: l’elce, il corbezzolo e l’ornello, che trasferiscono i delicati profumi ai cibi cotti con quest’antica tecnica di cottura, rendendoli sublimi al palato.
Gianni Della Botte, membro della Proloco locale ed esperto di questa metodologia carbonara tanto che organizza anche laboratori didattici, ci racconta: «Questa tecnica di produzione carbonara è antica, veniva praticata nei nostri boschi e il carbone vegetale prodotto veniva portato in molte cittadine umbre, anche a Perugia e Assisi. Era un lavoro importante che rappresentava un buon sostegno economico per le famiglie. Si costruisce una specie di cupola dove la legna, disposta in modo circolare e definito, viene ricoperta dalla terra. Terminata la preparazione si da fuoco alla cotta e, dopo qualche giorno di lenta combustione, si potrà recuperare il carbone vegetale così formato e pronto per l’uso».

Il carbone vegetale prodotto a Pomonte ha delle caratteristiche uniche e speciali come l’altissimo potere calorifico, la bassissima percentuale di umidità, zolfo e ceneri nonché la mancanza di impurità e resine, rendono questo prodotto un’eccellenza umbra che purtroppo è in via di abbandono, se non per qualche eroe delle tradizioni ancora rimasto.

Il Comune di Gualdo Cattaneo ha attorno a sé un complesso difensivo di castelli e fortezze medievali che costituisce uno straordinario museo a cielo aperto. Con il marchio Castelli di Gusto, il Comune ha dato l’avvio a una rete enogastronomica a difesa del territorio e della salute, mettendo in campo le nuove teorie venute da lontano.

L’idea è partita nelle terre dall’altra parte del mondo ed è attecchita qui, nella verde Umbria. Dall’Australia all’Umbria, dall’ecologia integrata alla filosofia, dall’Università all’ambiente, dalla teoria alla pratica. Qui si parla di permacultura, tecnica teorizzata in Tanzania e in Australia dai professori Mollison e Holmgren e da loro esportata in tutto il mondo.

Che cos'è la permacultura?

La permacultura ha attraversato l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano, si è diffusa a est e a ovest, è approdata in Asia, in America e in Europa negli anni Ottanta. I due ecologisti/agronomi hanno pensato a un sistema di gestione del territorio per cercare di contrastare lo sfruttamento e la crisi del pianeta Terra. Hanno ideato un sistema integrato, attento alle risorse del sito, al suo ecosistema, al biotopo e al biotipo della zona per un ottimale utilizzo del territorio.
Permacultura è un neologismo che mette assieme la parola permanente con agricoltura, e unisce la coltura delle piante con la cultura di chi segue lo sviluppo dei vegetali. Sole, vento, acqua, insetti, vicinanza delle piante tra di loro: tutto contribuisce a favorire o a distruggere la crescita dei vegetali.
Questa tecnica è ormai ampiamente diffusa nel mondo e io l’ho vista messa in pratica nella città di Aarus (Danimarca). In un quartiere avveniristico, in mezzo ai palazzi, c’era una grande quantità di cassette di legno per la coltivazione di insalate e altri ortaggi. Era la permacultura, ma io non lo sapevo.

 

Permacoltura ad Aarus

La permacultura in Umbria

In Umbria, dei giovani imprenditori di Gualdo Cattaneo hanno dato l’avvio a questa nuova pratica. Andrea, il filosofo, e sua sorella Irene, laureata in Scienze della Comunicazione, stanno sviluppando la policoltura degli orti, sfruttando le grandi cassette di legno adatte proprio alla permacultura. In queste cassette la terra respira ed è sminuzzata in modo che ossigeno e sostanze nutritive passino facilmente dal terreno alla radice della pianta.
Le cassette sono studiate anche per non sprecare nemmeno una goccia d’acqua, consentendone il lento assorbimento da parte del terreno, e per mantenere il giusto livello di umidità a favore di un migliore sviluppo delle piante. Lo scopo è quello di ottenere dei prodotti genuini e saporiti, evitando l’uso di sostanze glifosate e dei pesticidi. Questa tecnica si basa sul fatto che ci sono piante che vivono bene in prossimità e si sostengono vicendevolmente, sfruttando le condizioni di sole e ombra e difendendosi dagli insetti dannosi.
C’è da dire che la permacultura non si applica solo ai vegetali, ma anche agli animali e all’ambiente in generale. Infatti, il marchio Castelli di Gusto riunisce varie tipologie di prodotti: uva, formaggio, pecore, ortaggi.
Questa iniziativa si è sviluppata all’ombra della Rocca Borgia nella valle del Paglia. Diciotto giovani hanno stanno tentando di vivere e operare bene a casa loro, lavorando la terra e con gli animali. C’è chi ha lasciato il posto fisso e chi ha dato un diverso sviluppo alla propria laurea e ai titoli accademici conseguiti, chi ha valorizzato l’azienda ereditata dai nonni mettendo in pratica il meglio che la scienza moderna offre oggi, chi è tornato a casa per non lasciare la rete di affetti che lo lega al territorio. Un’umanità variegata, ma unita dalla voglia di tracciare una buona strada. I giovani imprenditori hanno riunito le loro aziende in una ATI (Associazione Temporanea di Imprese) per accedere al Piano Sviluppo Rurale o PRS, con il valido aiuto dell’avv. Elisa Benvenuta, vicesindaco di Gualdo Cattaneo.

L’Italia è considerata dall’UNESCO un museo a cielo aperto. Chiese, palazzi, antichità romane, greche, etrusche, arabe, longobarde, ponti, quadri, affreschi, statue. In Italia tutto è arte.

L’Italia nasconde un patrimonio artistico che pochi conoscono e che riassume in sé le storie di ogni epoca: le pietre. Le pietre sono ovviamente di pietra, non si muovono, ma parlano in silenzio. A modo loro narrano storie di viaggi, di tradimenti, di amori e di curiosità. Ci sono pietre lisce o scalpellinate e pietre con iscrizioni o ancora meglio con bassorilievi; pietre importate e pietre di spoglio e pietre su pietre. Poi c’è il colore, la grana e la tessitura. Insomma, quella che sembra un semplice pezzo di costruzione racchiude in sé una storia infinita.

Il colore delle pietre

Arroccate in cima alle colline del centro Italia, si vedono montagne di pietra a forma di paese e di città. Ogni regione ha un colore diverso. Si parte dal grigio della pietra serena in Toscana per arrivare al marrone del tufo nell’Etruria. Assisi è rosa come la pietra del Subasio che la sovrasta e anche l’altopiano di San Terenziano ha la sua pietra rosa. Poi, scendendo, c’è il travertino laziale e la bianca pietra leccese e così via. Semplice, basta sapere qual è la pietra della zona e non c’è altro da vedere. Non è così, questo è solo l’inizio.

 

Gualdo Cattaneo

La chiesa Madre

Cinema e tivù ci hanno fatto conoscere la Casa nella prateria o le villette americane a schiera rigorosamente fatte di legno, spazzate via dagli uragani o bruciate da cima a fondo. L’Italia, invece ha marmi e pietre che non bruciano, che non volano, che sono ancora in piedi da 2.000 anni e che sono state rimescolate e distribuite come un mazzo di carte. Per imparare a guardare e capire, è meglio iniziare da un paese piccolo come Gualdo Cattaneo, che si affaccia sulla valle del Puglia e spazia sulla valle Umbra. Dal mastio si vede Spello, Foligno e anche la rocca di Spoleto. Se vedi, sei visto – quindi sei ambito. Gualdo Cattaneo è stato l’oggetto del desiderio delle città guerriere della zona, e papa Alessandro VI Borgia l’ha acquistata per costruire la rocca. Punto forte, imprendibile dai temibili perugini. La salita, il mastio e poi la piazza e la chiesa Madre: il centro del paese è raggiunto.
Si inizia dalla chiesa, anzi dalle fondamenta della chiesa, che sono visibili dalla strada dietro l’abside. La chiesa posa su pietre gigantesche e pesantissime, portate lì dai mitici Ciclopi, così salde che nessun terremoto le ha abbattute. Difficile trovare fondamenta più solide. Erano le mura antichissime di Gualdo. Perché hanno edificato una chiesa sulle antiche mura? Perché non si butta via niente e perché se è solido e già pronto, lo si usa. Se è bello e decorativo, lo si sposta in altro luogo. Sulla facciata della chiesa si vedono i simboli dei quattro evangelisti. Due sono bianchi e due rosa. Tutta pietra importata: rosa da San Terenziano e bianca da Giano. Poi si entra in chiesa e si scende nella cripta.
La cripta, come quasi tutte, è costruita con materiale di spoglio. Colonne e capitelli che giacevano da qualche parte abbandonati, resti delle imponenti costruzioni di epoca romana ormai in rovina, sono stati riutilizzati lì sotto. Questo è il riuso migliore, perché i marmi romani, anche quelli imperiali, furono fusi per farne mattoni.

Un tour tra le pietre

Povertà e religiosità fondamentalista hanno fatto dei danni incalcolabili. Abbiamo perso un numero infinito di opere d’arte, ma ne abbiamo ancora alcune, anche se smembrate. Lasciata la chiesa, si gira per il paese, guardando in alto e in basso. Si vedono finestre gotiche murate o modificate. Si vedono travertini, esistenti solo altrove – magari a Giano – inseriti come punto di sostegno nei palazzi. Qui e là si trovano pietre con iscrizioni di ogni epoca, da quella romana in poi, inserite perché mancava un mattone o semplicemente perché erano decorative; oppure perché erano il ricordo di un avvenimento. Si scoprono porte murate a un metro e mezzo dal suolo, ma con il piano di calpestio invariato. La paura dei topi faceva costruire in sicurezza. Si usciva scendendo da una scaletta di legno volante, che la sera si ritirava in casa. Un po’ come facevano i Walser, che abitavano le Alpi, e costruivano le loro case di legno su funghi di pietra.
Se volete avventurarvi in mezzo alle pietre, e saperne di più, vi potete rivolgere al comune di Gualdo Cattaneo, che organizza delle visite guidate sotto la supervisione del dottor Andrea Peruzzi, un vero esperto di arte lapidaria e di epigrafia. Vi divertirete!

La verde Umbria non conosce il mare, ma circa 30 milioni di anni fa il mare la sommergeva. Oggi le colline dell’Appennino circondano la regione da ogni lato e, come tutti gli ex-territori marini, nascondono tra le rocce le impronte dei suoi antichissimi abitanti.

I fossili Martani

L’altopiano di San Terenziano e i Monti Martani, appartengono allo stesso territorio e hanno conservato tracce importanti di fossili, in particolare Ammoniti e tra queste non si può non citare la specie Martanites. Sono i ninnoli che Mary Annings raccoglieva lungo le scogliere della Manica a Lyme Regis. Quella donna, geniale e poco erudita, ha cercato, studiato e classificato ogni genere di fossile e per vivere lì vendeva ai turisti. Allora si potevano vendere legalmente. Eravamo nel 1830. Oggi i fossili si guardano con interesse o con curiosità e si lasciano rigorosamente sul posto.
Ammoniti e simili sono ottimi fossili guida di un lasso di tempo enorme che va dal Paleozoico al Mesozoico. Sono uno strumento importante per la datazione dei rilevamenti biostratigrafici e per la datazione delle rocce sedimentarie che si sono depositate tra i 400 e i 30 milioni di anni fa.  Piccole o grandi che siano, le ammoniti sono delle vere opere d’arte, dove l’artista, cioè la natura, non ha lasciato niente al caso. Ogni segno ha un significato preciso e rappresenta una precisa funzione.

 

Ammonite

Molluschi marini

L’ammonite era un mollusco marino, della famiglia dei cefalopodi, che si muoveva attaccato al suo guscio, come le lumache. Il mollusco abitava solo la parte anteriore del guscio, il resto serviva per muoversi ed è solitamente ciò che noi vediamo come calco interno fossilizzato. Il guscio era diviso a setti di cui sono rimasti visibili i segni che si susseguono. I setti si riempivano di gas o di acqua per permettere al mollusco di salire in superficie o di sprofondare fino in fondo al mare. Il gas o l’acqua erano pompate nei setti da un sifone che correva attorno al guscio. Il solco dove passava il sifone addetto alla regolazione dei settori è talvolta ben visibile. Sulla superficie è possibile riscontrare dei piccoli grafiti a forma di foglioline. Invece, sono le tracce delle linee si sutura che erano il punto di aggancio dei setti.

Alla scoperta della Zona Rossa

Frammenti di queste meraviglie si posso vedere sopra San Terenziano dove inizia la passeggiata verso il Trocco del Lupo che si snoda attraverso i boschi di monte Pelato, ricco di fiori e di varietà arboree e zona conosciuta dagli amanti del trekking. Il Trocco del Lupo, che non è altro che una grande pietra concava che raccoglie l’acqua piovana, secondo una leggenda locale serviva a dissetare i lupi.
Per trovare la Zona Rossa è indispensabile affidarsi ad un geologo o a un gruppo trekking che volentieri accompagnano i curiosi.
Io mi sono affidata al dottor Edelberto Santini che è il geologo che mi ha accompagnato fino al sito indicato dove mi ha mostrato le tracce ammonitiche che abbiamo fotografato.
I vicini Monti Martani offrono a loro volta un trekking ricco di curiosità, dove si possono vedere doline, un lago e tante varietà botaniche. Ma, per restare in ambito geologico, sul monte si trova un’altra Zona Rossa di importanza internazionale, dove il prof. Venturi nel 1977, ha individuato e classificato la Martanites, una particolare varietà di ammoniti rosse. Per fare una passeggiata guidata, alla scoperta di monte Pelato ci si può rivolgere all’ Assessore alla promozione del territorio del Comune di Gualdo Cattaneo.

Si sentono le chiarine e il rullo continuo dei tamburini. Gli sbandieratori avanzano adagio facendo volare in cielo i loro drappi. Gli armigeri indossano delle corazze di cuoio. Ecco i cavalieri alti e belli. Poi avanzano madonne e messeri nei loro costumi eleganti. Sono i signori del castello con il seguito di amici e vassalli.

Sembra di assistere a una sfilata medievale, ma l’asfalto rovente che abbiamo sotto i piedi e i telefonini pronti a fotografare ci dicono che siamo nel presente. Mi sono sempre chiesta come facciano a sfilare e a non svenire dentro quei vestiti lunghi di velluto quando il sole d’agosto non perdona. Quest’anno la vampa sembra essere ancora più calda. Siamo nella festa agostana di Grutti e della sua Gemella.

Le donne, i cavalieri e le audaci imprese

Grutti e Altdorf di Baviera sono due paesi lontani, separati dalla catena alpina, ma accomunati dalle prime tracce storiche: 1126 il primo, 1129 il secondo. In tempi remotissimi sono state sotto lo stesso governo, quello del Sacro Romano Impero. Tempi lontani, tempi di guerre, ma anche tempi di cavalleria e di tornei. Di quel medioevo, Grutti e Altdorf hanno saputo catturare l’allegria, i tornei e le grandi mangiate.
Ogni anno, a fine agosto, sotto il sole cocente dell’Umbria, si incontrano Le donne i cavalieri l’ arme e gli amori, le cortesie e l’audaci imprese. Tutto il repertorio medievale viene rispolverato. Dopo la sfilata ci sono i giochi e l’accanita sfida tra contrade. Se a Siena sono 17, qui sono appena 4, ma caricate dello stesso spirito campanilistico.
Poi tutti a tavola, dove si mescola la porchetta di Grutti con i piatti medievali e la cucina dell’altopiano. Il tutto annaffiato da birra tedesca e vino locale. Non possono mancare gli spettacoli e il ballo. Prima di andare via si può dare un’occhiata alla sagoma massiccia del castello.

L’imponente guardiano

Il castello di Grutti domina dall’alto la Val Tiberina e, per quanto se ne sappia, non è mai stato conquistato o distrutto. È ancora lì, imponente, con quell’unica torre che incute rispetto. Un castello grande e austero che sarà stato frequentato da contadini e soldatacci, ma anche da dame e cavalieri, vestiti con l’eleganza trasmessa dalle miniature, e riproposta alla festa. Altdorf di Baviera, invece, porta a Grutti i suoi armigeri, coperti di corazze e di scudi di cuoio, a memoria di tutte le lotte che l’hanno coinvolta.

Un’antica storia

Grutti, come tutto ciò che ha un lunghissimo passato dietro le spalle, ha i suoi misteri che sembrano veri quando si parla di un passato remoto e incerti quando ci si avvicina ai nostri giorni.
Le storie iniziano dal nome stesso di Grutti, che è la deformazione della parola Grotte, presenti nella zona. Dove? Chissà. Si parla di cunicoli e grotte dove si sarebbero rifugiati i primi cristiani – dopo l’uccisione del loro vescovo San Terenziano – per pregare e per sfuggire alle persecuzioni: questa è la certezza.
Si dice che durante la Seconda Guerra Mondiale questi stessi luoghi siano serviti come rifugi antiaerei. Si dice, ma non si sa: incertezza dell’attuale.
Altdorf, la gemella tedesca, è giovanetta, certamente ha 1000 anni di storia dietro le spalle, ed è stata sede di un’importante Università, dove hanno studiato il grande filosofo Leibniz e il condottiero Wallenstein: pensiero profondo e guerra spietata.
Da tanto tempo l’Università è stata chiusa, ma la memoria storica non si è spenta e il ricordo dello studente Wallenstein, prima massacratore e poi salvatore, è rimasta. Comunque, guerre e dolori passati vengono accantonati per dieci giorni ininterrotti di feste che iniziano il 17 agosto con la celebrazione del ciccotto di Grutti e si concludono domenica 26 con il corteo storico e la grande disfida.

 


Per maggiori informazioni: Agosto a Grutti

Prosegue il viaggio alla scoperta dei castelli e delle fortezze nei borghi umbri. Frontignano, Petroro, Barattano e Cisterna custodiscono secoli di storia e conservano le gesta di antichi condottieri.

castelli umbri

Il castello di Cisterna

Grandi Castelli

Frontignano è imponente, si vede anche dalla terrazza di Todi. La torre quadrata del XIII secolo si fa notare da lontano. Era così importante da richiedere l’intervento di Cesare Borgia e poi quello di Giulio II per assicurarne il possesso alla Chiesa. Anche Todi ha messo del suo e ha lasciato la sua aquila sopra la porta. Il castello è fronte strada, ma il bello viene girando dietro dove inizia la sua unica strada, chiusa tra due mura altissime, dove il sole penetra male, tanto che le scalette sono coperte di muschio.
Torri ricorda un po’ Frontignano, ma ha più torri, da cui è derivato il nome. Sul davanti, dove si lascia la macchina, si elevano queste mura altissime e tutte forate per alloggiare i colombi. Poi, seguendo il sentiero ben lastricato, si gira attorno fino alla porta con l’aquila. L’interno è in disarmo, ma ci si sente proprio dentro un castello. A Torri, nella chiesetta è stato allestito un bel museo di farfalle insetti e minerali.

Un luogo romantico: il castello di Petroro

La strada che sale verso Petroro segue a ritroso il tracciato della via che percorrevano i pellegrini che scendevano da Nord per andare a pregare sulle tombe di Pietro e Paolo e di Gesù, e strada facendo si fermavano a pregare nelle piccole cappelle dedicate ai martiri locali. Gente di tutte le età che sapeva che difficilmente sarebbe tornata a casa, ma che partiva con entusiasmo per andare a pregare sulla tomba di colui che avrebbero incontrato in cielo. Viaggi di una fatica inimmaginabile, che richiedevano luoghi di sosta e anche di cura.
Uno di questi era Petroro, un piccolo borgo fortificato con un grande cortile interno e lo stemma di Todi sulla porta d’ingresso. Era nascosto tra gli alberi, dove tutto era silenzio e pace e i viandanti trovavano da mangiare da dormire e, se serviva, anche assistenza medica.
Nel 1499 l’attività si fermò. Arrivò Cesare Borgia per scatenare le sue truppe contro i seguaci della famiglia Atti, signori di Todi, che si erano rifugiati proprio a Petroro. Fu una strage senza prigionieri.
Il tempo ha completato la devastazione, ma il castello è tornato a nuova vita. Dopo i danni causati dal terremoto del 1997, è stato restaurato con maestria. Oggi è abitato dai monaci ortodossi martiniani che hanno ridato nuova vita al borgo e dove si accolgono i moderni pellegrini come anticamente si accoglievano e curavano i romei che attraversavano la zona. In estate nel cortile del castello si svolgono spettacoli teatrali messi in scena da Todi Festival.

 

Il castello di Barattano

L'aquila fuori posto

Barattano era un luogo militare come testimoniano le grandi torri di difesa ancora in piedi. La guarnigione che abitava il castello doveva essere numerosa perché sono rimaste tante case alte e fortificate. In quelle strade non entra molto il sole e non ci sono panorami sulla valle. Tutto è richiuso su se stesso. Il castello è passato attraverso varie signorie ma più a lungo è rimasto sotto la giurisdizione di Todi, che l’ha segnato con l’aquila, che però non si trova sopra la porta. Basta cercare fuori dalle mura per vedere che la solita aquila di travertino non ha mai abbandonato il castello.
Cisterna. Campi, olivi, colline, viti e finalmente Cisterna. Un cassero con merli guelfi che domina la valle, una stradina ed è tutto. Cisterna vecchia fu rasa al suolo da Federico Barbarossa mentre Braccio da Montone e i suoi uomini risparmiarono la Cisterna di oggi. Todi la prese sotto tutela del suo arcivescovado e naturalmente c’è l’aquila ma anche a Cisterna non è al suo posto. Cercare e trovare. Durante la seconda guerra mondiale Cisterna ha nascosto dei rifugiati e la signora Adriana vi mostrerà il luogo dove erano nascoste queste persone e il passaggio segreto che conduceva fuori dal castello.
Questi sono solo alcuni dei castelli dell’altopiano di San Terenziano e che appartengono al comune di Gualdo Cattaneo. Ce ne sono ancora tanti altri, ma accanto a questi rimangono castelli importanti, che sono borghi abitati, come Marcellano o lo stesso Gualdo Cattaneo, che meritano una visita in occasione delle feste che organizzano in estate e anche in inverno.

 

Inseguendo l’Aquila – I parte


Ruggero Iorio, Le origini della diocesi di Orvieto e Todi, alla luce delle testimonianze archeologiche (1995) 
Emore Paoli, Marcellano indagine su un castello medievale umbro (1986) 
Vincenzo Fiocchi Nicolai, Umbria cristiana, dalla diffusione del culto al culto dei santi (2001) 
Atti del convegno internazionale e studi sull’alto Medioevo
Paolo Boni, San Terenziano e il suo altopiano 
www.isentieridelsilenzio 
Maurizio Magnani, Il signore di Collazzone (2010) 
Italia – Umbria: Istituto geografico de Agostini (1982) 
Alexander Lee, Il Rinascimento cattivo 

È meglio iniziare dal panino con la porchetta oppure dal panino con il Cicotto? Dubbio amletico. Io penso che sia meglio iniziare dal sapore delicato e morbido della porchetta, e domani passare al sapore più intenso e ricco del Cicotto, godendosi il piacere succulento dei panini senza pensare a colesterolo e affini. Per un giorno possono stare a riposo.

 

Una porchetta non è altro che un maiale arrosto. Ma c’è maiale e maiale, porchetta e porchetta. Quella che tre famiglie producono a Grutti, sull’altopiano, è divina. Benedetti, Biondini e Natalizi hanno ormai la preparazione della porchetta nel loro DNA e seguono la tradizione elaborata dai loro antenati. In un mondo sempre più industrializzato, dove ogni articolo possibile si compra su Amazon, la porchetta di Grutti è preparata a mano, tagliata a mano, ogni panino è farcito a mano ed è venduta dal furgone della ditta in giro per la regione.
Ho visitato il laboratorio Benedetti: mi aspettavo un ambiente orrido con schizzi di sangue ovunque. Invece mi sono trovata davanti a un locale pulito come una sala operatoria. Pareti bianche, pavimento bianco, tavoli operatori puliti, scarti di lavorazione infilati negli appositi secchi. Nessun odore sgradevole, si percepiva solo il profumo delle erbe aromatiche e del pepe. Le erbe che aromatizzano la carne del maialetto sono raccolte in zona e tritate a mano per non perdere nemmeno una molecola di aroma. È un lavoro lungo a cui si dedica una persona per due giorni a settimana. Una quantità di erbe enorme, ma giusta per aromatizzare le 20-25 porchette che servono a farcire circa 2500 panini che i Benedetti vendono ogni settimana. L’unica spezia a non essere a chilometro zero è il pepe in grani, che arriva dall’India. Tutte le porchette nascono, crescono, sono lavorate e vendute in un raggio di 40 chilometri dal punto di partenza.
Se poi moltiplichiamo per tre la produzione – Benedetti, Biondini e Natalizi – sembra che gli Umbri dell’altopiano e della valle abbiano crisi d’astinenza se non mangiano almeno un panino con la porchetta a settimana.

 

panino-porchetta

Il classico panino, foto via Facebook

Ristoro per gli affamati

Come si è arrivati a tanto? Fino alla Seconda Guerra Mondiale, il maialino era presente in ogni casa per gli usi privati – salsicce, carne, grasso e altro – e la porchetta era preparata solo per le feste, le sagre e i matrimoni. Poi dopo la guerra, la fame ha cominciato a mordere e i soldi erano pochi, allora i porchettai di Grutti hanno lasciato che i paesani andassero a raccogliere il grasso che colava sotto lo spiedo durante la lunga cottura della porchetta. Tutto gratis. Il grasso serviva per condire le minestre, per cuocere e anche per inzupparci dentro il pane. Nel frattempo stava arrivando il boom economico, durante il quale il camion ha sostituito il carretto con l’asino e la porchetta è diventata una presenza abituale in tutti mercati settimanali.

Il Presidio Slow Food

Fin qui la porchetta. Ma Grutti vanta anche un Presidio Slow Food, di origine antichissima e adesso vera ghiottoneria che si chiama Cicotto, deformazione di una parola latina che indicava il cosciotto del maiale. Partendo dal principio che del maiale non si butta via niente, i porchettari recuperano anche le parti di scarto. Orecchie, zampetti, lingua, stinco e trippa, dopo essere stati accuratamente puliti e lavati, sono posti nel recipiente sotto lo spiedo e cuociono nel forno assieme alla porchetta. Lo spiedo gira lentamente per 12 ore, lasciando che il grasso che sessanta anni fa veniva regalato scenda e nobiliti anche gli scarti, creando uno stracotto ricco di aromi e profumi che vanno a impregnare il panino rotondo.
I Grutticiani sono così sicuri della bontà del loro prodotto che ogni anno portano in piazza la porchetta e cicotto, e fanno festa per tre giorni. A Porchettiamo sono presenti anche i produttori di porchetta di altre regioni e si trovano gli stand di tanti tipici cibi da strada.

 

Porchettiamo è giunto alla 10° edizione

 


Scopri Porchettiamo, dal 18 al 20 maggio