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«L’olio e il vino umbro sono un nostro patrimonio culturale come il Pinturicchio e il Perugino»

Gianfranco Vissani non ha bisogno di tante presentazioni. È forse il primo chef apparso in televisione, quando ancora gli chef stavano solo in cucina. Esuberante, schietto e un vero umbro verace. E anche durante la nostra chiacchierata si dimostra tale: ricorda il padre quando ammazzava il maiale o quando preparava i liquori al sambuco e al muschio e alle tante cose che gli ha insegnato, o a quando guardava Goldrake. «Tu lo guardavi Goldrake? Forse sei troppo giovane!». Poi l’intervista si sposta sulla cucina umbra ed è palese il suo attaccamento a questa terra e a tutto quello che regala. «Il mio, è un vero rapporto col territorio».

Gianfranco Vissani

Qual è il suo legame con l’Umbria?

Ho origini maremmane ma sono nato in Umbria a Civitella del Lago in provincia di Terni, quindi il mio legame è molto forte. Al lago di Corbara mio padre ha aperto il primo ristorante quando ancora c’era poca corrente in zona e le strade erano poco praticabili. Da giovani cerchiamo e siamo attratti da tutto quello che è diverso, per questo – dopo l’istituto alberghiero a Spoleto – ho girato molto l’Italia: Venezia, Cortina d’Ampezzo, Genova, Firenze e Napoli, oggi invece tutto quello che c’è qui è la mia vita. Amo l’Umbria, ho con questa terra un legame molto radicato.

Se l’Umbria fosse un piatto, quale sarebbe?

Non sarebbe solo un piatto, ma tantissimi. Sarebbe la caccia, le lenticchie di Castelluccio, le patate di Colfiorito, il tartufo cavato e non coltivato, l’olio, i vini come il Sagrantino, la torta cotta sotto la brace, la maialata e il sanguinaccio, i tordi di Amelia e la palomba alla ghiotta di Todi. Siamo una piccola regione, ma molto importante e innovatrice in cucina.

Un ingrediente che non può mancare sulla tavola di un umbro…

Sicuramente l’olio, per le sue piccole dimensioni l’Umbria ne produce tantissimo, e il vino di Caprai e Lungarotti che sono stati dei veri innovatori. Questi due prodotti sono un nostro patrimonio culturale pari al Pinturicchio e al Perugino.

Quanto, e in che modo, questa regione ha influito nella sua cucina e nel suo lavoro?

Moltissimo. I prodotti umbri sono molto presenti nelle mie ricette.

Il suo ultimo libro La cucina delle feste ha come sottotitolo L’altro Vissani: chi è l’altro Vissani? Ne esiste un altro?

Sì, è un altro rompiscatole come me (ride). È un sottotitolo che mi piaceva mettere.

Un bravo chef è quello che cucina la miglior pasta al pomodoro o quello che crea un ottimo piatto mai fatto da altri?

Un bravo chef deve sapere fare entrambe le cose: partire dalla semplicità di una pasta al pomodoro per arrivare a un piatto più particolare e complicato.

Piccola curiosità: c’è un cibo che proprio non sopporta? E uno del quale non può fare a meno?

Non mi piacciono i crauti e non potrei fare a meno dell’olio o del prosciutto, ma di quello che non sa troppo di maiale.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Colline, paesaggi naturali e verde.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

La vita tranquilla e le viti d’uva.

«La musica rompe le barriere del linguaggio e va oltre le sovrastrutture, i giudizi o gli stereotipi».

Nil Venditti più che una promessa, oramai è una certezza della musica classica. Nata a Perugia, 23 anni fa, è una vera bacchetta magica. Nonostante la sua giovane età ha già diretto tante orchestre –  ultimamente ha fatto concerti con grandi solisti come Fazil Say al pianoforte e la Philarmonica di Ljubljana oppure Vladim Brodsky al violino e la sinfonica di Rossini – e nell’ottobre del 2017 ha vinto il secondo premio, più il premio speciale dell’orchestra al concorso Jeunesses Musical di Bucharest con Lup Octavian al violoncello. Ora frequenta il master in direzione d’orchestra alla Hochschule der Künste di Zurigo sotto la guida del Maestro Johannes Schlaefli, uno dei maestri più famosi per direttori d’orchestra del mondo.

Nil Venditti, 23 anni

Qual è il suo legame con l’Umbria?

Ho avuto la fortuna di nascere nella splendida Perugia in una maniera un po’ particolare: mia madre è di Ankara, Turchia, è venuta a Perugia per studiare l’italiano all’Università per Stranieri. Mio padre, ciociaro, nato a Roma, è venuto a Perugia supportato negli studi dall’ONAOSI. Si sono incontrati di fronte alla fontana Maggiore, in piazza IV Novembre, e lì è cominciata la loro storia d’amore.

Ha iniziato studiando e suonando il violoncello, quando ha pensato di diventare direttore d’orchestra?

Più che sceglierlo ci sono stata indirizzata. Suonavo nella JuniOrchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e un giorno il direttore, Maestro Simone Genuini, ha deciso di far dirigere alcuni di noi orchestrali, per scopi didattici. Deve aver notato qualcosa di interessante nei miei gesti perché mi ha indirizzata verso le migliori scuole e i migliori docenti italiani per quanto riguarda questa materia.

A 23 anni ha già diretto un Concerto di Natale alla Camera dei deputati e uno al Quirinale e, nel 2015, è stata insignita del premio Abbado istituito dal Miur: dove vuole arrivare? Qual è il suo sogno?

Sembra forse banale, ingenuo, stupido, anche un po’ naïf, ma il mio sogno più grande è sempre stato quello di cambiare il mondo attraverso la musica. La musica ha un potere soprannaturale, capace di rompere le barriere del linguaggio e comunicare direttamente con quella parte di noi che non dipende da sovrastrutture, giudizi o stereotipi.

Come si fa a farsi obbedire da un’intera orchestra?

Più che farsi obbedire da un’orchestra direi che sarebbe meglio se la si riuscisse a sedurre. Se si sale sul podio con tanta umiltà verso persone che hanno indiscutibilmente molta più esperienza di me, e con tanta voglia di fare musica, si incontreranno sempre occhi sorridenti e, oserei dire, persone pronte a darti una mano nella riuscita di un ottimo concerto!

E soprattutto come si trasmettono le proprie idee, la propria visione della musica agli altri componenti?

La prima regola per trasmettere le proprie idee è avercele in testa. Più chiara è l’idea musicale nella mente, più sarà facile trovare un gesto che la esprima in tutti i suoi più piccoli particolari. Poi è chiaro che quando il gesto non basta si può ricorre all’uso della parola, ma questo di solito si verifica di rado.

Una caratteristica fondamentale per un direttore d’orchestra?

Empatia. Chiunque può studiare per anni e anni la musica in ogni suo più piccolo particolare. Chiunque può allenare l’orecchio e sentire se gli accordi sono giusti, chi è calante e chi crescente. Ma ciò che non si può imparare è la capacità di poter comunicare con più esseri viventi in pochi millesimi di secondo e riuscire a creare un ambiente di lavoro sereno e produttivo.

I gesti che fa un direttore, per chi non è del mestiere, sembrano quasi fatti a caso: quanto feeling ci deve essere con l’orchestra?   

Ogni più piccolo movimento di un direttore d’orchestra è sempre un concentrato di informazioni per uno o più strumentisti. Non esistono movimenti che non vogliono dire niente. In generale si usa la mano destra per dare informazioni riguardanti il ritmo, mentre la mano sinistra per curare l’espressività e l’interpretazione del brano che si sta eseguendo. L’orchestra bisogna pensarla sempre come una famiglia e il direttore d’orchestra come un estraneo, un ospite che entra a far parte di quella famiglia per un paio di giorni. È chiaro a questo punto che, non con tutte le orchestre ci sarà sempre lo stesso feeling ma in ogni caso bisognerebbe riuscire a stabilire il miglior contatto possibile così da esser liberi di eseguire il concerto senza stress o ansie varie.

Gli umbri, e soprattutto i perugini, hanno la fama di essere chiusi: si riconosce in questa caratteristica?

Ci sono nata, cresciuta e ho imparato ad amarla. Chiaramente avendo viaggiato tantissimo, ormai non mi riconosco più così tanto in questa caratteristica e non saprei dire se sia un vantaggio o uno svantaggio.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Verde, calda, protetta.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

Le meravigliose colline umbre in estate, coperte di quel verde particolare che abbiamo solo noi nella nostra bellissima regione.