fbpx
Home / Posts Tagged "Dante Alighieri"

Foligno, città dantesca grazie anche a un progetto innovativo e a percorsi urbani accessibili a tutti.

«Vien dietro a me e lascia dir le genti». Questa citazione dantesca (Purgatorio, canto V) è il leitmotive del progetto Divina Foligno, un invito rivolto direttamente al turista a immergersi in una esperienza suggestiva, alla scoperta di una città ricca di tesori artistici e culturali, spesso poco conosciuti.

Foligno ha presentato, lunedì 20 giugno, presso la corte di Palazzo Trinci questo innovativo progetto che punta su una sua caratteristica storicamente importante, quella di essere una delle città dantesche, caratteristica suggellata nel 2021 dal conferimento della medaglia da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

 

Gabriele Lena, Stefano Zuccarini, Michela Giuliani e Roberto Silvestri

 

Foligno è stata infatti sede, nel 1472, della stampa della prima edizione della Divina Commedia e, per celebrare questo importante evento, ha deciso di realizzare un progetto di promozione turistica e culturale collegando i suoi percorsi, in base alle caratteristiche salienti o a semplici suggestioni, alle tre Cantiche del poema dantesco attraverso un’applicazione digitale, a una nuova segnaletica urbana e a itinerari tematici urbani ed extraurbani in grado di fornire una visione completa ed esaustiva della grande offerta turistica del territorio.

Il progetto Divina Foligno è stato realizzato dalla rete di imprese Landmark Int.Geo.Mod, Corebook Multimedia & Editoria, Studio Naturalistico Hyla, Ing. Marco Zaroli –  e sviluppato in sinergia con il Comune di Foligno nell’ambito del programma  Agenda urbana di Foligno Smart community – Comunità, Sostenibilità – Foligno 2020, intervento OT.6 INT_01 Realizzazione della rete di attrattori culturali attraverso la realizzazione di itinerari culturali e tematici.

Circa dieci chilometri dei tre percorsi tematici e accessibili – Inferno, Purgatorio e Paradiso – partono dalle porte della città e attraversano il centro, snodandosi tra oltre ottanta punti di interesse identificati da targhe esplicative. A queste si aggiungono circa: centoventi pannelli con la segnaletica di accompagnamento, cinque leggii installati nelle piazze principali con spiegazioni anche in braille e cinque pannelli di grandi dimensioni posti nei punti di accesso alla città, che introducono il visitatore all’esperienza di visita e sui quali si trova il QR code per scaricare l’app e collegarsi al sito dedicato.

 

Inoltre, per chi volesse scoprire caratteristici e affascinanti itinerari esterni alla città, sono disponibili 13 itinerari extraurbani, pensati per essere percorsi a piedi o in bicicletta, che toccano i più suggestivi luoghi del territorio folignate, tra paesaggi unici, borghi antichi, parchi naturali e archeologici ed emergenze naturalistico-ambientali.

L’assessore al turismo Michela Giuliani, dopo aver ricordato la grande sinergia che ha reso possibile il raggiungimento di questo importante obiettivo e che ha visto partecipi varie aree dell’amministrazione comunale, coordinate dall’architetto Roberto Silvestri, ha sottolineato l’importanza del progetto che consente al turista una fruizione innovativa attraverso una segnaletica moderna e coordinata, un’applicazione tecnologicamente avanzata e una minuziosa attività di censimento dei siti di interesse che sono finalmente messi in rete e agevolmente fruibili.

Un progetto inclusivo che non dimentica le esigenze delle persone con disabilità motoria e sensoriale che, come poi approfondito da Gabriele Lena, rappresentante della rete LandMark, possono fruire dei leggii accessibili sopra menzionati, e di un sistema di notifiche automatiche da parte dell’applicazione che dopo l’avvio iniziale, si attiva autonomamente ogni volta ci si trovi nei pressi di un sito d’interesse.

Il sindaco di Foligno, Stefano Zuccarini, ha espresso: «Grande soddisfazione per il risultato raggiunto». Ha sottolineato come finalmente anche Foligno possa disporre di una segnaletica turistica adeguata al luogo e ai numerosi attrattori che caratterizzano la città, una segnaletica che mancava ma che è di fondamentale importanza e che, integrata alla nuova APP, rappresenta «un passo ulteriore attraverso le nuove tecnologie per valorizzare ancora di più la città di Foligno».

Questo progetto è un motivo in più, non solo per i turisti ma anche per gli umbri, per visitare Foligno e scoprire la città, come non l’avete mai vista.

“Uno sguardo su Dante. La tradizione della Commedia e il mito del Sommo Poeta a 700 anni dalla morte”. A cura di Paolo Renzi. Accademico properziano. Assisi, Palazzo del Comune, Sala della Conciliazione, venerdì 22 aprile 2002, ore 16.30.

L’incontro, organizzato dall’Accademia Properziana del Subasio nell’ambito delle iniziative culturali denominate I Venerdì dell’Accademia, è stato concepito come evento conclusivo delle celebrazioni per il VII centenario della morte di Dante Alighieri.

Oggetto di discussione sarà anzitutto la fortuna e la tradizione editoriale della Commedia, illustrata attraverso la disamina di alcuni fra i più importanti codici manoscritti e libri a stampa esposti nella mostra bibliografica recentemente allestita presso la Biblioteca Augusta di Perugia. Nella circostanza, oltre ai materiali bibliografici presenti nelle collezioni della biblioteca (a partire dai tre preziosi codici trecenteschi, gli incunaboli, le edizioni aldine, numerose edizioni dal XVI secolo a oggi) sono stati esposti anche frammenti di manoscritti ed edizioni antiche eccezionalmente concessi da istituzioni pubbliche e da privati dell’Umbria e della Toscana.

La fortuna della Commedia, la cui prima edizione a stampa vide la luce a Foligno nel 1472, coincide con quella della figura di Dante, che muta fortemente nel tempo e che, a partire dal Risorgimento, si connota di caratteristiche mitiche, acquistando dapprima una valenza politica in funzione della costituzione dello stato unitario, quindi diventando un simbolo della lingua e della cultura italiana nel mondo. Ancora oggi Dante e la sua opera sono di estrema attualità e il loro valore, oltre che in ambito nazionale, è universalmente riconosciuto in tutte le culture come patrimonio dell’umanità.

Paolo Renzi, nato a Terni, archeologo e bibliotecario, Accademico Properziano, lavora dal 1999 come Istruttore culturale presso l’Ufficio Fondo Antico della Biblioteca Augusta del Comune di Perugia. Nel 2020-2021 è stato uno dei curatori della mostra bibliografica Dante a Porta Sole. Dai manoscritti a Dante pop e del relativo catalogo edito da Bertoni.

«In forma dunque di candida rosa che si mostrava la milizia santa (…) nel gran fiore discendeva che s’addorna di tante foglie, e quindi risaliva là dove ‘l suo amor sempre aggiorna». (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXI, vv. 1- 2 e 10-12)

I rosoni, veri ricami di pietra posti sulle facciate delle chiese, attraverso i loro decori filtrano la luce divina, trasformandosi in fasci colorati che illuminano le navate.
Il rosone è una ruota a raggi che simboleggia, secondo la tradizione cristiana, il dominio di Cristo sulla terra. È presente sull’asse della navata principale, talvolta anche di quelle secondarie o in corrispondenza di cappelle o bracci trasversali. La forma circolare e la gamma cromatica hanno permesso ai maestri vetrai di creare opere d’arte sacra raffigurando, sotto forma di icona, i passi più significativi del Vangelo. Il rosone rappresenta la ruota della Fortuna: Dante stesso la definisce come un’Intelligenza angelica che ha sede nell’Empireo e che opera fra gli uomini attraverso un progetto divino. Il rosone «esplicita chiaramente la ciclicità della fortuna umana e confina il tempo degli uomini nell’incommensurabilità del tempo di Dio».[1]

 

Basilica di San Benedetto, Norcia, prima del terremoto.

 

Il suo nome, in uso dal XVII secolo, è un accrescitivo del termine di derivazione latina rosa, che ne suggerisce la somiglianza con la struttura del fiore. La rosa, la cui freschezza e bellezza suggerisce un simbolo etereo, richiama inoltre il calice di Cristo.[2]
Nella Divina Commedia, nel XXXI canto del Paradiso, Dante evoca la rosa celeste che raccoglie in paradiso la cerchia dei beati ammessi a contemplare Dio. Il rosone è in stretta relazione con il cerchio, simbolo di perfezione e quindi di Dio, ma allo stesso tempo è anche il simbolo del labirinto, il quale è creato dai tanti motivi vegetali presenti al suo interno. Il labirinto richiama la ricerca interiore e il viaggio iniziatico. Esso così rappresenta un anello di congiunzione tra il mondo umano e quello divino.

Chiesa di San Francesco. Norcia

Un percorso attraverso la Valnerina

L’Umbria, terra di profondo misticismo e spiritualità, cela nel suo territorio le orme dei santi che hanno cambiato il volto del Cristianesimo. Fu infatti, sulle verdi colline e altopiani di Norcia che trovò la fede San Benedetto. Nel centro storico della città sorge la Basilica di San Benedetto, costruita presso la casa natale del santo e poi ampliata nel XIII secolo. La facciata, con un profilo a capanna, presenta nella parte inferiore un portale strombato ed è arricchita nella parte superiore da un rosone, decorato con foglie di acanto e accompagnato dai simboli dei quattro evangelisti. Purtroppo la basilica è stata profondamente danneggiata durante il terremoto del 2016, ma facilmente si può intuire il suo antico splendore.
Di notevole interesse artistico e architettonico è la chiesa di San Francesco a Norcia, edificata interamente in pietra bianca e portata a termine dai francescani conventuali. Pregevole è il grande rosone che domina la facciata: una cornice realizzata con rosette e archi a tutto sesto, come un vero ricamo, trafora la dura pietra, rivelando il suo profondo significato attraverso il vuoto della materia ma pieno invece della luce divina.
A pochi chilometri dalla patria di San Benedetto, a Preci, si erge l’Eremo di Sant’Eutizio.

La parte più antica dell’abbazia risale al IX secolo e nel 1190 fu completata per volere dell’abate Tendini I. L’abbazia ammalia lo spettatore poiché è interamente edificata su un terrazzamento tra la scogliera e la vallata sottostante. Il rosone, vero gioiello della scultura, prevale sulla struttura della chiesa. È un grande cerchio contornato dai simboli degli evangelisti, tipico dell’architettura romanica, ma in se reca anche frammenti scultorei altomedievali.[3]

Abbazia Sant’Eutizio. Preci

Non molto distante da Norcia un altro eccelso rosone, più minuto dei precedenti, sovrasta e domina la facciata della chiesa di Santa Maria Assunta a Vallo di Nera. La chiesa risale al 1176 e presenta una facciata con pietre conce tipicamente romaniche. A contraddistinguerla è un portale gotico a ogiva ornato da capitelli e fregi e nella parte superiore un rosone scandito da dodici colonnine perfettamente in linea, il quale sembra essere riassorbito nel paramento murario.

Città profondamente legata alla spiritualità, ma anche al simbolo del rosone e quindi alla rosa è sicuramente la città di Cascia, centro religioso legato alla figura di Santa Rita. Si erge in questo borgo la chiesa di San Francesco, presso la quale nel 1270 fu sepolto il Beato Pace francescano. Elemento di spicco della facciata, opera di maestri comacini, è il raffinato rosone, molto particolare poiché è dato dall’ingranaggio delle due ruote contrapposte che creano un effetto dinamico di rotazione. È composto da diciotto colonne con capitelli e diciotto archetti trilobati, i quali convergono verso il centro nel quale è presente la Madonna con il Bambino. Tutto intorno foglie d’acanto richiamo motivi classici. La delicatezza

Chiesa di San Francesco, Cascia

dell’intarsio rende questo rosone un vero capolavoro dell’arte scultoree regionale.

L’Appennino umbro è il custode silenzioso delle tracce di santi e pellegrini fondatori di eremi e cenobi ispirati alle regole della povertà, solitudine e semplicità. A Sant’Anatolia di Narco la leggenda narra che passarono san Mauro, suo figlio Felice e la loro nutrice. Visto la loro condotta di vita, la popolazione gli chiese aiuto per essere liberati da un drago che infestava quei luoghi. San Mauro, grazie all’aiuto divino, affrontò e uccise il drago. L’episodio della liberazione è raffigurato nel fregio della facciata. In essa è presente anche il rosone, tra i più interessanti esempi di scultura romanica umbra, a due ordini di colonne, iscritto in un quadrato con i simboli apocalittici. Il quadrato è delimitato da una fascia a mosaico a stelle. La simbologia della facciata è esemplare: il rosone rappresenta Cristo che porta luce nel mondo, identificata con la Chiesa, attraverso la voce dei quattro evangelisti che ne hanno permesso la conoscenza.[4]

Infine, un rosone molto particolare è sicuramente quello della chiesa di San Salvatore di Campi di Norcia, una delle testimonianze più importanti del territorio della Valnerina. I tragici eventi sismici del 2016 hanno portato al crollo di gran parte dell’edificio e alla distruzione del campanile risalente al XVI secolo. Le pareti rimaste sono state consolidate per rimettere in sicurezza le porzioni di affreschi che verranno reintegrate nelle parti recuperate. La chiesa, immersa nelle colline umbre, è un raro esempio a due navate, con due porte di accesso e due rosoni, oltretutto non allineati rispetto alla linea del tetto. Particolarmente interessante è la grande ghiera esterna del rosone, scolpita con tralci d’acanto disposti secondo un sinuoso movimento rotatorio a spirale.

 

Chiesa San Salvatore. Campi

Basiliche, abbazie e piccole chiese, immerse in vallate verdeggianti tipicamente umbre, luoghi magici e mistici allo stesso tempo, ma anche guide essenziali che aiutano il visitatore, spettatore o eremita a cogliere la parte più pura e profonda dell’Umbria. Questi e tanti altri luoghi restituiscono gioielli preziosi di un tempo passato.
Purtroppo molti di essi sono stati profondamente colpiti dal sisma di alcuni anni fa, ma molto spesso l’arte e la bellezza vincono il silenzio che scende sulle macerie, riportando questi luoghi alla loro antica bellezza.

 


[1] Claudio Lanzi, Sedes Sapientiae: l’universo simbolico delle cattedrali, Simmetria edizioni, Roma, 2009, pag. 162.
[2] M. Feuillet, Lessico dei simboli cristiani, Edizioni Arkeios, Roma, 2006, p. 97-98.
[3] L. Zazzerini, Umbria Eremitica. Ubi silentium sit Deus, Edizioni LuoghInteriori, Città di Castello, 2019, pp. 124-131.
[4] L. Zazzerini, Umbria Eremitica. Ubi silentium sit Deus, Edizioni LuoghInteriori, Città di Castello, 2019, p. 109.

Uno dei protagonisti di Expo 2015 è stato il Pane di Strettura, prodotto caratteristico dell’Umbria insieme ai tartufi, allo zafferano di Cascia, al farro di Monteleone di Spoleto e alla patata rossa di Colfiorito. In questa mescolanza di culture, tradizioni e abilità artigianali che prende il nome di Expo, l’Umbria ha voluto farsi rappresentare anche da un prodotto inflazionato quanto genuino: il pane.

Ma perché proprio da quello di Strettura?

Foto via

Locus amoenus e i lavori di una volta

Strettura, diversamente da ciò che suggerisce il nome, è una bella valle situata a circa 13 km da Spoleto, la cui ampiezza permette la coltivazione di antiche qualità di cereali ormai accantonate dalla grande produzione industriale. Le spighe dorate tappezzano i dolci declivi, i quali sembrano suggerire la forma tondeggiante che assumerà il prodotto finito e, prima ancora, la soave consistenza della pasta unita alla leggerezza della lievitazione.

Sembra un’oasi, Strettura. Le acque sorgive che sgorgano dalle rocce appenniniche la rendono un luogo ameno, in cui passeggiare; Spoleto è vicina, ma abbastanza lontana da lasciare questo paesino nella tranquillità propria dei luoghi antichi e dalle tradizioni genuine. Sembra di sentire nell’aria il profumo del pane appena cotto, emblema di quanto c’è di più buono e familiare nelle cose del mondo.

Tempi che cambiano

Foto via

Eppure le abitudini degli italiani sono cambiate: il consumo di pane, rispetto al passato, sembra diminuito. Secondo la Coldiretti, nel 2016 ogni persona ha mediamente consumato 85 grammi di pane al giorno, contro i 1100 degli anni dell’Unità d’Italia.

Un cambiamento testimoniato anche dagli innumerevoli modi di dire che hanno a che fare con la bontà del pane e con la sua essenziale presenza sulle tavole –«sei buono come il pane», «vendere come il pane», «non c’è cibo da re più gustoso del pane», etc. Detti che un tempo avevano la propria ragion d’essere nella difficoltà a reperire alimenti altrettanto nutrienti e spendibili, ma che oggi sembrano ormai gusci, svuotati di qualsiasi appiglio alla realtà.

È vero che mangiamo meno pane, ma quando lo facciamo desideriamo provare un’esperienza unica, elevata rispetto alla piattezza delle produzioni industriali. Oggi il consumatore sceglie prodotti a base di cereali alternativi al frumento –kamut e farro, anche per via delle intolleranze alimentari sempre più evidenti -, ma sceglie anche di acquistare prodotti a chilometro zero e ad alto valore nutrizionale, che possano in qualche modo innalzare la qualità della sua esperienza culinaria.

Più qualità e meno quantità, dunque, insieme alla volontà di consumare anche prodotti che siano il frutto dell’amore e del rispetto per la terra, e delle persone che li perpetrano.

Il pane di Strettura è l’emblema di queste mutate abitudini alimentari. Si pone altresì come anello di congiunzione tra passato e presente, unendo una filiera produttiva appartenente al passato con il moderno consumatore, più consapevole e attento.

«Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui» D. Alighieri, Paradiso – canto XVII

Foto via

È vero, il pane di questo paesino dell’entroterra umbro è merce rara: le colture sono limitate, peculiari di quelle terre che lambiscono quel versante appenninico; l’acqua utilizzata è solo quella delle sorgenti, con quelle esatte proprietà chimico-fisiche.

Il pane stesso non è adatto alla grande distribuzione, legato com’è ad una lavorazione lenta e artigianale. È infatti composto di farina di grano tenero, sapientemente unita al lievito della panificazione precedente e all’acqua di sorgente appena salata: il pane di Strettura è infatti un pane sciapo, come lo sono notoriamente altri suoi parenti umbri, toscani e marchigiani.

Questa pagnotta, segnata con una croce al centro, riposa tutta la notte; il giorno dopo, l’impasto viene rinfrescato con l’aggiunta di altra acqua tiepida e farina. Segue una lavorazione rigorosamente manuale, che ha lo scopo di rendere l’impasto liscio, omogeneo e con una consistenza “giusta” che solo i fornai di Strettura sanno riconoscere.

Ancora alcune ore di lievitazione e finalmente si può procedere alla cottura, fatta esclusivamente in un forno di mattoni alimentato da fascine della macchia mediterranea: esse donano al filone acciaccato il caratteristico aroma che, insieme alla crosta non troppo spessa e alla mollica compatta, lo rendono il perfetto accompagnamento a salumi, formaggi, verdure e piatti brodosi.