Sabato e domenica il gioiello – che secondo la leggenda apparteneva a Maria – sarà esposto al pubblico, con un evento eccezionale per sancire il legame con l’opera del Perugino.
Una calata straordinaria del Sant’Anello per omaggiare il ritorno a Perugia dello Sposalizio della Vergine. L’opera – portata via dai francesi nel 1797 – era stata dipinta dal Perugino agli inizi del ‘500 proprio per la cappella del Sant’Anello del Duomo di Perugia. Questo ritorno tanto atteso è il pezzo forte della mostra Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo che sarà inaugurata sabato 4 marzo, presso la Galleria Nazionale dell’Umbria.
Il Santo Anello
E proprio lo stesso giorno, alle ore 10.30, avverrà all’interno della Cattedrale una calata straordinaria dell’anello (tramite un meccanismo a forma di nuvola) che, secondo una leggenda, è il dono che Giuseppe fece a Maria per le loro nozze.
«L’anello e il reliquiario rimarranno esposti per tutta la giornata di sabato. In via del tutto eccezionale, il solo reliquiario, sarà poi esposto nelle sale del Museo del Capitolo» spiega l’architetto Alessandro Polidori, direttore dell’Ufficio diocesano per i Beni culturali ecclesiastici.
Si tratta – come detto – di un’esposizione straordinaria: infatti l’anello viene mostrato al pubblico solo in due occasioni ufficiali: il 29\30 luglio, data del suo trasferimento dal comune alla cattedrale (1488) e il 12 settembre per la festa del SS.mo nome di Maria.
«Sempre dal 4 marzo fino all’8 gennaio 2024, all’interno del Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo, nella sala del Dottorato, avverrà la proiezione di un filmato di otto minuti realizzato in collaborazione con il giornalista Roberto Fontolan e con la voce narrante di Alessandro Haber. Il documentario racconta la vicenda e la storia del Sant’Anello: il suo arrivo a Perugia, la committenza dello Sposalizio della Vergine a Perugino e tanto altro» prosegue Polidori.
Lo Sposalizio della Vergine, olio su tavola, Perugino
Tra storia e leggenda
Quattordici chiavi servono per aprire le casseforti che contengono il Sant’Anello, che si trova all’interno della Cattedrale di San Lorenzo di Perugia. Un tempo erano conservate da istituzioni civili e religiose: il Comune, il Collegio della Mercanzia, il Collegio del Cambio; i maggiori conventi della città: San Francesco al Prato, San Domenico, Santa Maria Nuova, Sant’Agostino; il Vescovo e i Canonici della Cattedrale. Oggi sono nelle mani del Comune (8), della Mercanzia (1), del Cambio (1) e del Capitolo della Cattedrale (4) e l’apertura si svolge alla presenza di un rappresentante del Comune e del Capitolo, redigendo un verbale.
Il potere temporale e quello spirituale che si uniscono per un rituale condiviso e celebrare una tradizione più che una reliquia. L’anello di pietra rara – l’analisi gemmologica del 2004 l’ha determinata come calcedonio, varietà microcristallina del quarzo – viene attribuito, senza reale fondamento, all’anello di nozze tra Maria e Giuseppe. Le ragioni che ne hanno fatto il simbolo del matrimonio, sono oscure. Questo lo rende ugualmente un monile pieno di fascino, anche se la sua storia inizia con un furto e la sua datazione risale probabilmente, al primo secolo d. C.
Di certo si sa che l’anello, fino alla seconda metà del 1400, era custodito nella chiesa dei francescani di Chiusi, dalla quale fu prelevato da un certo frate Vinterio da Magonza, portato a Perugia nel 1473 e donato al Magistrato della città, Francesco Montesperelli, che lo fece conservare nella Cappella dei Decemviri al Palazzo dei Priori. L’intervento di Papa Sisto IV stabilì la sede a Perugia e mise fine ai litigi tra le due città. Nel 1488 il Sant’Anello venne poi trasferito nella Cattedrale di San Lorenzo e riposto in due grandi casseforti: la prima protezione è una maglia di ferro realizzata dai fabbri di Montemelino, la seconda è un massiccio baule in legno. Per aprire entrambi servono appunto le 14 chiavi.
Lettura, attività culturali, baby pit stop, giochi per bambini. Oltre mille i metri quadri a disposizione per i cittadini di ogni età.
È stata inaugurata a Perugia la nuova biblioteca degli Arconi dopo il complesso intervento di riqualificazione e valorizzazione che ha riguardato l’area del cosiddetto Sopramuro. Si tratta di una biblioteca di pubblica lettura a scaffale aperto, con gli spazi che seguono la struttura architettonica originaria, organizzata in tre arconi con soppalchi, insieme alla sala Gotica, collegata agli arconi da un nuovo percorso ed ubicata all’interno del palazzo del Capitano del Popolo (sede degli uffici giudiziari), spazio pensato per la lettura silenziosa e area convegnistica con 40 posti ed esposizioni. È presente un’area che accoglie attività per bambini, ragazzi e adolescenti e un’area per l’ascolto di musica, audiolibri e la visione video.
Foto by Comune di Perugia
Cosa offre la biblioteca
Posti lettura, consultazione, prestito locale e interbibliotecario, informazioni bibliografiche, riproduzioni, attività culturali, wifi, MediaLibraryOnLine, due postazioni gaming ed un punto Baby Pit Stop con due postazioni per la cura del bambino donato da UNICEF Comitato Regionale Umbria e Soroptimist International Club Perugia. Nelle prossime settimane, inoltre, sarà installato un box esterno per la restituzione no-stop. La biblioteca è accessibile ai disabili motori.
Funzioni
La Biblioteca svolgerà molteplici funzioni. Tra le tante si segnalano:
funzioni di pubblica lettura, con libri e riviste moderne, quotidiani cartacei ed emeroteca digitale (MLOL);
funzioni di orientamento ai servizi bibliotecari;
vetrina dell’editoria umbra con uno spazio destinato a ospitare i prodotti degli editori umbri, e punto di presentazione di pubblicazioni e autori umbri;
punto di accesso alla formazione e alla partecipazione dei cittadini;
spazio dedicato alle famiglie con bambini e ragazzi; area ragazzi/adolescenti con postazioni gaming;
funzioni di ricerca e di studio.
Foto by Comune di Perugia
Numerose le personalità politiche e cittadine, tra cui l’assessore regionale allo sviluppo economico Michele Fioroni che ha parlato di una vera e propria vittoria per la città che ha bisogno di straordinarie ricchezze come questa biblioteca. «Un luogo – ha detto – ibrido dedicato alle famiglie ed ai bambini con eventi e cultura. Insomma un luogo per aggregare che rende Perugia più ricca». L’assessore alla cultura del Comune di Perugia Leonardo Varasano ha parlato, invece, di «giorno lieto» perché, dopo un lungo e proficuo percorso di riqualificazione, si porta a compimento un progetto virtuoso. Nel ringraziare tutti coloro che hanno lavorato duramente per rendere possibile l’apertura della nuova biblioteca, l’assessore ha spiegato che, pur venendo da lontano, il progetto rientra in un recente percorso amministrativo specifico composto da vari tasselli. L’idea alla base, in sostanza, è quella di valorizzare i luoghi della cultura e dell’incontro e, dunque, il sistema bibliotecario cittadino. «Vogliamo dare alla città sempre più luoghi sicuri ed edificanti con al centro i libri, la lettura e tanto altro. Quello che inauguriamo oggi è un progetto nei cui contenuti c’è tanta convinzione ed un’idea di città ben precisa, ossia una città in cui deve germogliare il seme della socialità». Dopo i saluti del direttore Stazi, del procuratore Sottani, della dott.ssa Matteini e della dirigente regionale Pinna, è stato il sindaco Andrea Romizi a concludere i saluti istituzionali sottolineando che «questo luogo rinnovato lo dedichiamo ai bambini ed alle bambine, visto che finora si sentiva nel nostro centro storico la mancanza di un posto ideale per accogliere i più giovani. Abbiamo quindi colmato questa lacuna, aprendo questo spazio a loro». Il sindaco ha tenuto a precisare che la biblioteca degli Arconi è in grado di emozionare e colpire i visitatori per la sua bellezza e per le caratteristiche funzionali innovative che accoglie. Romizi ha poi voluto rivolgere un sentito ringraziamento a tutti coloro, enti e persone, che hanno reso possibile il progetto confermando che tutti insieme possiamo ottenere grandi risultati a beneficio della città. «Vi invito – cosa non secondaria – a ripensare in quali condizioni si trovava questo luogo alcuni anni fa: oggi credo che l’area stata ottimamente riqualificata e valorizzata garantendo tante diverse funzioni (trasportistiche, culturali, aggregative, mercatali) rivolte a tutte le generazioni di cittadini». A spiegare il progetto culturale e funzionale della biblioteca degli Arconi è stata la dirigente dell’Area servizi alla persona Roberta Migliarini.
La biblioteca degli Arconi e il restauro della Sala Gotica sono interventi cofinanziati dal Programma Operativo Regionale (POR) Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) 2014/2020 per 480mila euro circa, piano di Sviluppo e Coesione (FSC) Umbria per 3 milioni di euro, e da un contributo della Fondazione Perugia per 700mila euro. Il costo complessivo dell’intervento ammonta a 3,2 milioni, mentre le somme a disposizione sono circa 880mila euro di cui 280mila per arredi ed attrezzature informatiche.
«Avevo l’opportunità di lavorare in Inghilterra, ma uno dei motivi che mi ha spinto a tornare è stato il legame che ho con l’Umbria».
«Nemo propheta in patria, per me non vale». Scherza così il professor Brunangelo Falini – ex direttore (in pensione dallo scorso anno per limite d’età) della Struttura Complessa di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo dell’Azienda ospedaliera di Perugia e Professore Ordinario di Ematologia dell’Università degli Studi di Perugia – che tra i tanti premi e riconoscimenti ricevuti per le sue attività di ricerca vanta anche i Sigilli della Città di Perugia e l’iscrizione nell’Albo d’oro del Comune.
Professor Brunangelo Falini
Ematologo e ricercatore di fama mondiale, con il suo importante lavoro ha fatto numerose scoperte nel campo degli anticorpi monoclonali per scopi diagnostici e terapeutici, oltre agli studi genomici sulla leucemia acuta mieloide (LAM) e leucemia a cellule capellute (HCL). Le sue ricerche sulle mutazioni di NPM1 nell’AML e BRAF-V600E nell’HCL hanno identificato nuovi meccanismi di leucemogenesi e hanno portato a un miglioramento della diagnosi, del monitoraggio molecolare e della terapia di queste neoplasie ematologiche. Ma non finisce qui. Come lui stesso ci ha raccontato ancora ha in piedi vari dei progetti ai quali sta lavorando con un gruppo di giovani ricercatori. Per tutto questo il professor Falini ha ricevuto numerosi e importanti premi internazionali: il Josè Carreras Award (il massimo riconoscimento in ematologia in Europa), il Karl Lennert Medal (prestigioso riconoscimento mondiale per la patologia dei tumori del sangue) e il Prize for Excellence in Medicine dell’American Italian Cancer Foundation (AICF), l’Henry Stratton Medal, dell’American Society of Hematology (ASH), uno dei riconoscimenti più prestigiosi al mondo nel campo delle malattie ematologiche, il Premio Celgene2017 alla carriera per la ricerca clinica in ematologia e il Premio del Presidente della Repubblica Italiana, dell’Accademia Nazionale dei Lincei. E questi sono solo alcuni!
Professore, la prima domanda è d’obbligo: qual è il suo rapporto con l’Umbria?
È un rapporto strettissimo, tant’è vero che, quando lavoravo a Oxford nei primi anni Ottanta, ho avuto l’opportunità di rimanere in Inghilterra, ma uno dei motivi che mi ha spinto a tornare è stato proprio il legame con la mia terra.
Chi è il professor Falini quando toglie il camice?
Sono una persona normale, come sono una persona normale quando ho il camice. Mi piace lo sport, nel tempo libero pratico sci, tennis e nuoto. Inoltre sono un amante dell’arte: amo molto la pittura e la scultura.
Dipinge?
No, ma mi piacciono i quadri e cerco di acquistarli quando ne trovo qualcuno interessante.
Ora è in pensione per quanto riguarda l’azienda ospedaliera, però ancora non ha abbandonato la ricerca…
Per limiti d’età ho dovuto lasciare le mie responsabilità dal punto di vista assistenziale. Non sono più un medico di corsia, però ho un contratto con l’Università di Perugia e sono titolare di alcuni progetti di ricerca e lavoro all’interno del CREO (Centro di Ricerca Emato-Oncologico) con un gruppo di giovani ricercatori.
Su cosa state lavorando?
In questo momento stiamo coinvolti in vari progetti: continuiamo lo studio della mutazione del gene NPM1 nella leucemia acuta mieloide per quanto riguarda i meccanismi molecolari che stanno alla base della trasformazione leucemica. Ci stiamo anche occupando dell’identificazione di nuovi farmaci intelligenti che vadano a interferire con la mutazione di NPM1. Un altro progetto riguarda le cellule CAR-T: sono cellule del sistema immunitario che vengono prelevate dal paziente per essere ingegnerizzate, cioè armate con tecniche molecolari in modo da esprimere una molecola di superficie in grado di riconoscere le cellule tumorali e attaccarle. Una volta completato il processo di ingegnerizzazione, le cellule vengono reinfuse nel paziente così che possano espletare la loro funzione antitumorale. Si tratta di una delle terapie più avanzate disponibili al momento contro i tumori ematologici, specialmente i linfomi B aggressivi e alcune forme di leucemia acuta linfoblastica.
Qual è la scoperta di cui va più fiero? Quella che è stata una vera svolta…
Il punto di svolta c’è stato nel 2005, quando il gruppo da me coordinato ha scoperto la mutazione del gene NPM1 detto anche gene della Nucleofosmina di cui parlavo prima. È l’alterazione genetica più frequente nell’ambito delle leucemie acute mieloidi, che sono la forma che colpisce di più l’adulto. Questa scoperta ha avuto una rilevanza incredibile, sia dal punto di vista biologico che clinico. Basti pensare che, proprio partendo da questa scoperta, siamo riusciti a mettere a punto un test genetico che permette di monitorare il paziente dopo la terapia e di valutare quante cellule leucemiche residue sono rimaste dopo il trattamento chemioterapico o dopo il trapianto con una sensibilità che è circa un milione di volte superiore alla semplice osservazione al microscopio. Questo ci permette di prevedere non soltanto se il paziente guarirà, ma, in caso di recidiva, anche di intervenire tempestivamente dal punto di vista terapeutico, prima che la malattia si manifesti nuovamente.
A che punto è la ricerca in Italia per quanto riguarda i tumori?
L’Italia soffre da decenni della mancanza di finanziamenti da parte delle istituzioni pubbliche e di enti governativi, tant’è vero che il PIL dedicato alla ricerca è circa la metà di quello della Germania, per non parlare di quello della Cina che è cinque volte tanto. Fortunatamente ci sono delle organizzazioni e degli enti di solidarietà come l’Associazione Italiana della Ricerca contro il Cancro (AIRC) – per quanto riguarda in nostro territorio – il Comitato Chianelli che finanziano più dell’80% della nostra attività o l’AULL; usufruiamo anche di fondi della Comunità Europea (grant ERC). La situazione italiana non cambia da decenni e non sono sicuro che cambi nemmeno con il piano PNRR se i soldi non verranno distribuiti in maniera razionale e secondo criteri meritocratici.
Ha mai pensato di mollare?
I momenti di sconforto e le sconfitte esistono per tutti, però ho sempre cercato di convertirli in carica per portare avanti le cose, tant’è vero che alcune scoperte importanti che ho fatto sono state precedute proprio da una sconfitta. Per cui, non sempre la sconfitta fa male. Non bisogna scoraggiarsi, lo dico sempre anche alle mie figlie, occorre armarsi e andare avanti.
Da ragazzo sognava di fare questo lavoro?
Fin da giovane ho sempre avuto passione per la ricerca, mi è venuto naturale fare questo lavoro, come naturale è stato collegare l’attività di laboratorio con l’attività clinica. In particolare, mi sono sempre dedicato alla ricerca traslazionale che potesse avere delle ricadute pratiche per i pazienti. Ecco, questa è una caratteristica centrale del mio lavoro.
Tra le due quale ha preferito, la corsia o il laboratorio?
Entrambe. Come dicevo, c’è sempre stata una sinergia tra le due attività: in corsia ho imparato cose che ho utilizzato in laboratorio e viceversa. I pazienti mi hanno insegnato ciò che mi è servito anche nella mia attività di ricerca, per cui c’è sempre stato uno scambio tra questi i due mondi.
Il Professor Falini riceve l’Henry Stratton Medal
Grazie al suo lavoro ha ricevuto tantissimi riconoscimenti: qual è il premio al quale tiene di più?
Ce ne sono un paio a cui sono particolarmente affezionato. Uno è l’Henry Stratton Medal, che mi ha assegnato l’American Society of Hematology ed è uno dei maggiori riconoscimenti a livello internazionale; un altro è il Leopold Griffuel dell’Associazione Francese per la Ricerca sul Cancro che è il premio europeo più importante in questo settore.
È anche Cavaliere di Gran Croce…
Si, anche questo riconoscimento, che mi ha conferito il Presidente della Repubblica, mi ha fatto molto piacere.
Ha anche i Sigilli della Città di Perugia ed è iscritto nell’Albo d’oro del Comune di Perugia: i massimi riconoscimenti per un perugino…
Sì, ho avuto entrambi ed è stato un onore. Direi che nemo propheta in patria per me fondamentalmente non vale.
Insomma, le manca solo il Premio Nobel. Ci ha mai pensato?
Ora non esageriamo! (ride) Mi accontento di quello che ho ricevuto. Nel mio ramo – l’ematologia – ho portato a casa i maggiori riconoscimenti che ci sono.
Da poco migliaia di ragazzi hanno fatto il test per entrare alla Facoltà di Medicina: che consiglio darebbe per affrontare la carriera universitaria e poi quella medica?
Quello che consiglio a un giovane, sia che scelga la strada del ricercatore o sia che scelga quella del medico, è di fare il proprio lavoro con passione e dedizione, altrimenti le cose non riescono come dovrebbero. Fondamentale è mettere dentro qualcosa di proprio, essere innovativi, perché non è detto che quello che viene insegnato sia sempre giusto. È importante abituarsi a pensare in maniera critica, sia nell’attività di corsia sia in quella di ricerca, perché aiuta a crescere. Una parte importante di questo percorso è anche fare un’esperienza all’estero, perché apre la mente – almeno per me è stato così. Tutto questo, combinato insieme è la migliore ricetta per aspirare a diventare, una persona, un medico e un ricercatore di alto livello.
Ieri sera si è tenuta presso la sala Sant’Anna a Perugia, la tavola rotonda Il Contado di Perugia e le esperienze di Turismo Sostenibile nell’ambito del Festival del Tursimo sostenibile.
All’evento hanno partecipato Antonella Tiranti – Dirigente del Servizio Turismo, Commercio, Sport e Film Commission della Regione Umbria, Edi Cicchi – Assessore ai Servizi sociali del Comune di Perugia, Paola de Salvo – Università degli Studi di Perugia, Luca Panichi – Referente Progetto ADAM, Accessibilità fruibile, Ugo Mancusi – Direttore Marketing AboutUmbria. Ha coordinato i lavori Maria Teresa Severini – Assessore alla Cultura, Turismo e Università del Comune di Perugia.
È stata proprio l’assessore Severini a introdurre il tema dell’incontro, sottolineando, alla vigilia della Giornata mondiale del Turismo, l’ambivalenza che può rappresentare questa importante risorsa che se da un lato è senza dubbio un contributo fondamentale per lo sviluppo socio-economico di un territorio, dall’altro – se non gestito con oculatezza e lungimiranza – può comportare nel lungo periodo una perdita progressiva dell’identità locale e contribuire al degrado ambientale.
Partendo da questo presupposto, è evidente come il concetto di sostenibilità sia di importanza fondamentale da tenere in massimo conto nei programmi di sviluppo delle Istituzioni ed è proprio Antonella Tiranti a sottolineare come la sostenibilità sia il cuore dello sviluppo turistico della nostra regione e come le politiche regionali si stiano muovendo proprio in questa direzione.
La Regione Umbria sta mettendo a punto prodotti orientati ai Cammini tematizzati e al Bike turismo inteso come cicloturismo e mountain bike, prodotti che promuovono una tipologia di turismo strettamente integrato con l’ambiente in cui sostenibilità è la parola chiave. I Cammini proposti dalla regione Umbria sono stati accettati integralmente e inseriti nel Primo Atlante dei Cammini, nato nell’ambito del Piano Strategico del Turismo elaborato per la prima volta in Italia nel 2016 dal Comitato Permanente di Promozione del Turismo, con il coordinamento della Direzione Generale Turismo del MiBACT. La prossima sfida, sottolinea la Tiranti, è rendere questi percorsi accessibili, altro punto focale del concetto di sostenibilità.
La parola passa a Luca Panichi, referente del progetto Le strade di Adam (acronimo di Associations Disability Accessibility), nato come luogo di interscambio sui temi legati al mondo della disabilità, inclusione e accessibilità. Panichi ha sottolineato come l’accessibilità, contrariamente a quanto si è soliti pensare, non è solo geometrica, ma anche culturale, e occorre vederla e approcciarla con sensibilità e attenzione differenti. Ha portato l’esempio dell’esperimento effettuato presso gli scavi di Ostia, dove sono state individuate soluzioni geniali nella loro semplicità, attraverso le quali disabili e normodotati hanno potuto condividere un’esperienza di visita in luoghi normalmente non accessibili.
L’assessore Cicchi ha sottolineato come i disabili, ma anche gli over 65 e soprattutto le famiglie, possono rappresentare un’opportunità anche economica se il territorio con la sua offerta turistica, è in grado di offrire soluzioni differenziate, targettizzate, che tengano conto delle diverse esigenze.
Paola de Salvo ha messo invece in evidenza la differenza fra sostenibilità, che deve essere un aspetto a carico delle Istituzioni, e responsabilità, che è a carico del cittadino e del turista. Turista che oggi è un soggetto consapevole, sceglie luoghi e servizi di qualità, vuole abitare seppur temporaneamente il territorio che visita. E spesso è la società civile che si organizza per offrire al turista questo tipo di esperienza, attraverso aggregazioni orientate alla governance partecipata.
Perfettamente si è agganciato l’ultimo intervento a cura di Ugo Mancusi, che ha sottolineato come AboutUmbria sia proprio un esperimento associativo nato per promuovere il territorio, puntando sulla divulgazione della conoscenza del territorio stesso. L’esperienza punta sull’esaltazione dell’eccellenza attraverso un sistema di comunicazione integrato: rivista online, rivista cartacea di alto livello, free press con diffusione su larga scala che ha come protagonista il borgo – massima espressione dell’immagine Umbria – gli store e punti divulgativi disseminati sul territorio.
Conclude il professor Ciani, organizzatore dell’evento, che sottolinea come questa prima edizione sia un primo importante tassello da consolidare e ripetere, perché Perugia diventi un punto di riferimento importante nell’ambito del turismo sostenibile, non solo dal punto di vista teorico ma come modello concreto.