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Prosegue il viaggio alla scoperta dei castelli e delle fortezze nei borghi umbri. Frontignano, Petroro, Barattano e Cisterna custodiscono secoli di storia e conservano le gesta di antichi condottieri.

castelli umbri

Il castello di Cisterna

Grandi Castelli

Frontignano è imponente, si vede anche dalla terrazza di Todi. La torre quadrata del XIII secolo si fa notare da lontano. Era così importante da richiedere l’intervento di Cesare Borgia e poi quello di Giulio II per assicurarne il possesso alla Chiesa. Anche Todi ha messo del suo e ha lasciato la sua aquila sopra la porta. Il castello è fronte strada, ma il bello viene girando dietro dove inizia la sua unica strada, chiusa tra due mura altissime, dove il sole penetra male, tanto che le scalette sono coperte di muschio.
Torri ricorda un po’ Frontignano, ma ha più torri, da cui è derivato il nome. Sul davanti, dove si lascia la macchina, si elevano queste mura altissime e tutte forate per alloggiare i colombi. Poi, seguendo il sentiero ben lastricato, si gira attorno fino alla porta con l’aquila. L’interno è in disarmo, ma ci si sente proprio dentro un castello. A Torri, nella chiesetta è stato allestito un bel museo di farfalle insetti e minerali.

Un luogo romantico: il castello di Petroro

La strada che sale verso Petroro segue a ritroso il tracciato della via che percorrevano i pellegrini che scendevano da Nord per andare a pregare sulle tombe di Pietro e Paolo e di Gesù, e strada facendo si fermavano a pregare nelle piccole cappelle dedicate ai martiri locali. Gente di tutte le età che sapeva che difficilmente sarebbe tornata a casa, ma che partiva con entusiasmo per andare a pregare sulla tomba di colui che avrebbero incontrato in cielo. Viaggi di una fatica inimmaginabile, che richiedevano luoghi di sosta e anche di cura.
Uno di questi era Petroro, un piccolo borgo fortificato con un grande cortile interno e lo stemma di Todi sulla porta d’ingresso. Era nascosto tra gli alberi, dove tutto era silenzio e pace e i viandanti trovavano da mangiare da dormire e, se serviva, anche assistenza medica.
Nel 1499 l’attività si fermò. Arrivò Cesare Borgia per scatenare le sue truppe contro i seguaci della famiglia Atti, signori di Todi, che si erano rifugiati proprio a Petroro. Fu una strage senza prigionieri.
Il tempo ha completato la devastazione, ma il castello è tornato a nuova vita. Dopo i danni causati dal terremoto del 1997, è stato restaurato con maestria. Oggi è abitato dai monaci ortodossi martiniani che hanno ridato nuova vita al borgo e dove si accolgono i moderni pellegrini come anticamente si accoglievano e curavano i romei che attraversavano la zona. In estate nel cortile del castello si svolgono spettacoli teatrali messi in scena da Todi Festival.

 

Il castello di Barattano

L'aquila fuori posto

Barattano era un luogo militare come testimoniano le grandi torri di difesa ancora in piedi. La guarnigione che abitava il castello doveva essere numerosa perché sono rimaste tante case alte e fortificate. In quelle strade non entra molto il sole e non ci sono panorami sulla valle. Tutto è richiuso su se stesso. Il castello è passato attraverso varie signorie ma più a lungo è rimasto sotto la giurisdizione di Todi, che l’ha segnato con l’aquila, che però non si trova sopra la porta. Basta cercare fuori dalle mura per vedere che la solita aquila di travertino non ha mai abbandonato il castello.
Cisterna. Campi, olivi, colline, viti e finalmente Cisterna. Un cassero con merli guelfi che domina la valle, una stradina ed è tutto. Cisterna vecchia fu rasa al suolo da Federico Barbarossa mentre Braccio da Montone e i suoi uomini risparmiarono la Cisterna di oggi. Todi la prese sotto tutela del suo arcivescovado e naturalmente c’è l’aquila ma anche a Cisterna non è al suo posto. Cercare e trovare. Durante la seconda guerra mondiale Cisterna ha nascosto dei rifugiati e la signora Adriana vi mostrerà il luogo dove erano nascoste queste persone e il passaggio segreto che conduceva fuori dal castello.
Questi sono solo alcuni dei castelli dell’altopiano di San Terenziano e che appartengono al comune di Gualdo Cattaneo. Ce ne sono ancora tanti altri, ma accanto a questi rimangono castelli importanti, che sono borghi abitati, come Marcellano o lo stesso Gualdo Cattaneo, che meritano una visita in occasione delle feste che organizzano in estate e anche in inverno.

 

Inseguendo l’Aquila – I parte


Ruggero Iorio, Le origini della diocesi di Orvieto e Todi, alla luce delle testimonianze archeologiche (1995) 
Emore Paoli, Marcellano indagine su un castello medievale umbro (1986) 
Vincenzo Fiocchi Nicolai, Umbria cristiana, dalla diffusione del culto al culto dei santi (2001) 
Atti del convegno internazionale e studi sull’alto Medioevo
Paolo Boni, San Terenziano e il suo altopiano 
www.isentieridelsilenzio 
Maurizio Magnani, Il signore di Collazzone (2010) 
Italia – Umbria: Istituto geografico de Agostini (1982) 
Alexander Lee, Il Rinascimento cattivo 

Eulalia Torricelli da Forlì aveva tre castelli: uno per mangiare, uno per dormire e uno per amare De Rossi Giosuè. Bei tempi, quando i castelli servivano a dame e cavalieri per divertirsi e godere dei piaceri della vita.  

Invece proprio nel centro dell’Umbria i castelli sono stati la linea di frontiera tra due mondi: Longobardi e Romani. Quando da Todi si guarda la collina che si ha di fronte, si nota subito la grande macchia del castello di Grutti, imponente e minaccioso. Poi, osservando meglio, si vede che la salita è costellata da torri di vedetta, da castelli, da borghi fortificati, da resti di monasteri e tracce dell’assistenza ospedaliera ai pellegrini.  
 
Tra il XII e XIII secolo Todi era potente, voleva espandersi e contemporaneamente doveva difendersi, e fu necessario creare una solida barriera protettiva, che è ancora in piedi. 
La linea di difesa andava in larghezza da Todi a Marcellano e in lunghezza da Massa Martana a Gualdo Cattaneo. I castelli sono sparsi con abbondanza, come il parmigiano. Sono circa trenta luoghi fortificati. Così tanti in così poco spazio servivano a rendere impenetrabile la linea di confine tra Todi e il resto del mondo.  
Montagne di pietre messe lì a difendere contendenti irriducibili, che sono state date alle fiamme e ricostruite, rase al suolo e ricostruite, demolite e lasciate lì e gli abitanti trucidati e le donne violentate. È mancata la no man’s land: non c’erano zone franche, uccidere e godere nell’uccidere erano la regola. 
Mentre san Francesco predicava agli uccelli e ammansiva i lupi e un secolo dopo Jacopone da Todi scriveva lo struggente lamento di Maria «figlio, figlio amoroso giglio… figlio bianco e vermiglio» e i pellegrini attraversavano quella zona per scendere a pregare a Roma e a Gerusalemme, lassù sul confine accadeva di tutto e il peggio di tutto. 

Il castello di Pozzo. In copertina, quello di Assignano

Le zolle dell’altopiano di San Terenziano sono impregnate del sangue dei combattenti e dei paesani e in più anche del sangue dei primi martiri cristiani. Le strade che salgono da Ponte Rio seguono antichi percorsi fiancheggiati da chiesette di martiri e da imponenti manufatti in posizione dominante e altri nascosti per sorprendere armati e viandanti.   
Foreign fighters o, per dirla all’italiana, mercenari, bande armate al soldo di chiunque, Braccio Fortebracci, Cesare Borgia, imperiali, conti, duchi e principi e il papa, ogni essere umano assetato di potere è passato di là per lasciare delle impronte sanguinolente. 
Tutti sono stati sotto il dominio di Todi, prima della famiglia Atti e poi dell’arcivescovado, che li ha segnati per sempre apponendo il suo stemma: un’aquila con l’occhio grifagno e le cosce da tacchino. 
I castelli dell’altopiano hanno resistito al tempo e ai terremoti, molti sono ancora abitati altri sono restaurati e altri sono stati trasformati in residenze. Scovarli è una caccia al tesoro che regala la scoperta di borghi attraversati da una o al massimo due strade, con pochissime macchine, dove domina il silenzio della natura. Si può trascorrere una giornata alla ricerca di questi castelli piccoli, scoprendo angoli emozionanti di un Medioevo ormai lontano ma ancora visibile.  
 

I castelli nascosti

Uno dei castelli nascosti tra colline e boschetti è quello di Viepri. Si sale fino a Castelvecchio e poi si scende nel vallone del castello. Il borgo ha una sola porta, sovrastata dallo stemma con l’aquila di Todi, e una sola strada. Tutto qua. Eppure quella stradina è una delizia che mostra l’antico e il suo rifacimento. Nel castello c’è una piccola chiesa, dedicata a San Giovanni, inserita nello spessore delle mura. Per visitarla si cerca la signora Cristina che ha le chiavi e che racconta volentieri la vita al borgo qualche anno fa. 
Assignano non si fa trovare facilmente. Salendo da Pantalla si trova l’indicazione e si arriva in un luogo così isolato e silenzioso che t’invita a camminare in punta di piedi. Le mura sono un po’ malmesse, a causa dell’azione del tempo e a causa della grande battaglia che nel 1408 ha messo di fronte le truppe perugine e i foreign fighters di Braccio da Montone. Perugia fu sconfitta. Ma non era finita lì. Qualche anno dopo, il nipote di Braccio, Niccolò, assalì il castello e lo devastò. Passando dall’unica porta d’accesso, con tanto di aquila, si entra in un borgo piacevole e ben restaurato.  
Cambiando  strada e passando da Collesecco, dopo un bel tragitto in mezzo agli olivi, si arriva a Pozzo. Un nome un programma: olio. Sembra che l’attività molitoria di Pozzo si perda nella notte dei tempi e che il pozzo servisse a conservare l’olio. Trovare la porta con l’aquila non è semplicissimo, ma il borgo conserva belle architetture medievali e scorci suggestivi.  

CONTINUA…

 


Ruggero Iorio, Le origini della diocesi di Orvieto e Todi, alla luce delle testimonianze archeologiche (1995) 
Emore Paoli, Marcellano indagine su un castello medievale umbro (1986) 
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