«L’ostetricia per un uomo è un dono, è l’unico modo che ha per avvicinarsi il più possibile al concetto di maternità». Abbiamo fatto una chiacchierata con il dottor Arena, direttore del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, che nei mesi scorsi ha effettuato diversi interventi di rilievo.
È inutile dirlo, ai dottori nelle interviste si pongono sempre domande mediche, nessuno va mai oltre il camice. Noi abbiamo voluto fare qualcosa di diverso: scoprire la persona, le sue scelte, come affronta gli interventi (ansie, paure e gesti scaramantici) e qualche piccola curiosità. Lo abbiamo fatto col dottor Saverio Arena, ginecologo e Direttore f.f. della Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, che da poco ha effettuato interventi complessi come l’asportazione di un utero da 1.600 grammi e la rimozione di una gravidanza extrauterina rara.
In un’intervista fiume – oltre un’ora di registrazione – ci ha raccontato molto di lui e del suo lavoro, ma soprattutto ciò che lo mette più in difficoltà con le pazienti: «La stragrande maggioranza delle domande che mi mandano in crisi sono quelle legate all’estetista». Ma andiamo con ordine.
La prima domanda è d’obbligo: qual è il suo rapporto con l’Umbria?
Per me l’Umbria è una vera e propria seconda casa.
Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?
L’Umbria non si può descrivere in tre parole. Per me ha un grande potenziale, che potrebbe essere maggiormente valorizzato diventando veramente il centro dell’Italia, sia a livello turistico e ambientale sia medico e scientifico.
Lei è di origini calabresi: perché ha scelto di venire a Perugia e frequentarne l’università?
Per due motivi. Perché c’è l’Onaosi e perché iniziava la facoltà di medicina anche mio cugino al quale sono molto legato. Abbiamo fatto tutto il percorso universitario insieme.
Molti se lo chiedono: perché un uomo decide di fare il ginecologo?
È una bellissima domanda. Me l’hanno fatta tante volte e me la sono posta anche io. Molti pensano che io abbia scelto questa professione perché mio padre era un ginecologo. Assolutamente no. La mia è stata una scelta emotiva, non avrei potuto fare altro. Era la specializzazione che volevo e sono felice perché faccio con passione ciò che amo; credo e spero che questo sia evidente nel quotidiano. Sono convinto che nell’essere donna ci sia un universo che vada affrontato con estrema delicatezza e rispetto: è un mondo incredibile. La nostra branca poi, è divisa in due settori: la ginecologia e l’ostetricia. L’ostetricia per un uomo è un dono, è l’unico modo che ha per avvicinarsi il più possibile al concetto di maternità.
Paradossalmente sono molti i ginecologi uomini…
Sì è vero, ma oggi sono in aumento le dottoresse che decidono di fare questa specializzazione: io ad esempio lavoro con un solo uomo, il resto della squadra è formata da colleghe donne. La ginecologia del futuro è donna, come un po’ tutta la medicina. Credo che chiunque scelga questa professione lo faccia perché la ama, indipendentemente da tutto: è un lavoro difficile che richiede molta attenzione e tanto sacrificio. Dico sempre, a chi inizia, che se lo fa per i soldi ci sono lavori molto più redditizi e meno impegnativi: il rischio medico-legale è altissimo, la possibilità di passare notti insonni è elevata, così come quella di non avere weekend liberi, per cui o ti piace veramente o devi scegliere altro. Comunque farei la stessa domanda al contrario. Perché una donna sceglie un ginecologo uomo? Provi a chiedere e vediamo che rispondono… Si ponga lei la domanda!
Ma io ho una ginecologa donna…
E perché l’ha scelta? Io ad esempio, mi sono sempre chiesto – visto che penso alla figura del ginecologo come a un amico e a una persona di fiducia a cui posso raccontare le mie problematiche – se da donna avrei preferito essere seguita da un uomo oppure no.
E che risposta si è dato?
La mia idea è che molto dipenda dalla capacità di ascolto. E quella o ce l’hai o non ce l’hai a prescindere dal fatto che tu sia uomo o donna.
È per questo che è molto apprezzato dalle sue pazienti? Ha quasi un fan club…
Addirittura?! Provo a essere disponibile anche solo con una parola, una chiacchierata o un sorriso. Spesso sono fondamentali per chi in quel momento ha bisogno. È molto importante anche saper mettere le distanze e non far interferite nel lavoro i problemi personali e la vita privata.
Qual è la domanda più “complicata” che una paziente le ha fatto?
Quelle sulla depilazione! (ride) Posso garantire che la stragrande maggioranza delle domande che mi mandano in crisi sono quelle legate all’estetista. Una di quelle più strane che ho ricevuto è stata: «Posso fare la luce pulsata?» Sono andato a cercare cosa fosse: non lo sapevo! (ride). Mi hanno chiesto anche se in gravidanza si possono fare le meches o se la ceretta può causare un aborto. Poi c’è il problema della tinta per capelli e di alcuni tipi di massaggi; alcuni dentisti richiedono il parere del ginecologo per fare l’anestesia in gravidanza. Il problema, secondo me, non sono tanto i luoghi comuni, ma chi fornisce questi servizi che potrebbe serenamente dare le risposte più corrette senza pensare che la gravidanza possa essere una condizione di rischio estremo che mette in pericolo la donna.
Ora la metto io in difficoltà: una volta per tutte… la depilazione totale può avere controindicazioni mediche?
No, non è assolutamente dannosa. Non c’è nessun motivo di pericolo, è solo una scelta estetica e personale.
C’è un caso che a distanza di anni ancora ricorda?
Sicuramente l’evento più emozionante in assoluto, che non dimenticherò mai, è stato far nascere il mio secondo figlio: mi ritengo fortunato perché ho avuto la possibilità – non capita a tutti – di vivere quest’esperienza. Se la nascita del mio primogenito l’ho vissuta con l’emozione del padre, in quella del secondo avevo un doppio ruolo (medico e padre) che mi ha permesso di vivere il momento con più coinvolgimento. Poi mi viene in mente la bella storia di una bambina, che oggi ha 9 anni. La sua nascita è stata un miracolo: ero in sala parto con la madre in travaglio, andava tutto bene, lei spingeva e la bambina stava per nascere. A un certo punto ci siamo accorti che il battito cardiaco della piccola era diminuito notevolmente, cambiando in corsa e quindi l’abbiamo fatta nascere in pochissimo tempo, altrimenti sarebbe morta. L’evento è accaduto in una data a me cara e per una serie di coincidenze ho sempre pensato che non fosse un caso. Era così che doveva andare.
Cosa si prova a far nascere un bambino?
È un’emozione enorme e incredibile. A mio parere unica, perché la nascita è un momento bellissimo e non ha eguali. Se però all’evento nascita si associa l’evento morte – che è la cosa più drammatica con cui ci si possa confrontare – da professionisti dobbiamo essere umanamente e professionalmente preparati per dare, in quel momento, il massimo supporto alle mamme e ai papà.
Questi sono i momenti più brutti del suo lavoro…
Sicuramente. La morte di un bambino è un evento estremamente tragico, di grande sofferenza. Noi siamo il reparto della gioia, purtroppo però a volte può trasformarsi in quello del dolore. È proprio in questi momenti che vedo ancora di più la grande umanità delle persone con cui lavoro: tutte le figure coinvolte – più di ogni altra le ostetriche – si calano nel ruolo di madri e padri per cercare di stare il più possibile vicino alla coppia. È giusto e anche necessario sostenere i genitori nell’accompagnare il loro piccolo in un percorso molto diverso da quello previsto, in cui al posto della più grande delle felicità si è costretti ad affrontare il più terribile dei dolori. È una situazione profondamente drammatica. Ognuno di noi davanti a un dolore così forte vorrebbe solo scappare; chiudere gli occhi e svegliarsi quando tutto è finito. Invece si è genitori sempre, anche nella tragedia, e noi professionisti dobbiamo supportarli nel vivere momenti dolorosi, ma importanti come tenere in braccio il piccolo e vestirlo.
Si verificano spesso queste tragedie?
I numeri della mortalità prenatale non sono altissimi, in Italia 1,7 nati morti ogni 1000 nati, ma comunque ci sono; nell’arco di un anno capita. Ora che ci penso, mi viene in mente anche la storia di una coppia che il 22 o 23 dicembre di qualche anno fa (non ricordo di preciso) perse il loro primo figlio; morì prima del parto. Poco dopo la mamma rimase nuovamente incinta, io le fissai la data del cesareo nello stesso giorno della morte del primo bambino: giuro che non ricordavo assolutamente la data dell’evento precedente. È stata solo una casualità, alla quale se n’è aggiunta un’altra: le culle per i neonati sono preparate con dei lenzuolini decorati con disegni di animali. Alla bambina capitò – in modo del tutto casuale – quello con stampato Simba; lo stesso leoncino era disegnato nella cameretta destinata al fratellino morto: i genitori non lo avevano mai cancellato. Questo particolare non lo sapeva nessuno, nessuno poteva immaginare una cosa simile. I genitori ce lo hanno raccontato quando sono venuti a reparto per il controllo dopo un mese dalla nascita. È innegabile che un evento di questo tipo sia stato per tutti noi, ma soprattutto per loro, un segno incredibile. Spesso ci confrontiamo con qualcosa che vola sopra di noi, ed è impossibile non restarne meravigliati ed esserne felici.
Cosa fa la sera prima di un intervento impegnativo e rischioso? Penso ad esempio a quello che ha svolto qualche mese fa, nel quale – con la sua equipe – ha estratto in laparoscopia un utero di un 1.600 grammi o la delicata asportazione di una rara gravidanza extrauterina.
I giorni in cui opero li conosco e, a prescindere dal tipo d’intervento – che sia banale o impegnativo – la sera prima non vado a letto tardi, non faccio cene particolari e tengo sempre un comportamento che il giorno dopo mi permetta di essere nelle migliori condizioni. A dire il vero è così praticamente sempre perché, la preoccupazione del giorno dopo o di essere chiamato nella notte me la porto sempre dietro. In alcuni casi riguardo qualche video e qualche passaggio. La chirurgia è una regola e devi cercare sempre di ripetere gli stessi procedimenti, più li fai e più ti muovi in sicurezza: è bene avere una routine. Allo stesso tempo essere ripetitivi consente di avere un’adeguata conoscenza dell’anatomia da poter avere anche la mente libera per variare le manovre se la situazione lo richiedesse. Un utero che arriva a pesare un 1.600 grammi (in condizioni normali ne pesa appena 60) è molto ingombrante, ma gli spazi interni in cui ci si muove restano comunque molto stretti, per cui occorre modificare i passaggi per agevolare il lavoro. In questa operazione, ad esempio, per posizionare al meglio il manipolatore – lo strumento che permette di togliere l’utero passando dalla vagina – ho modificato le azioni consuete e così ho portato a termine l’intervento solo con gli accessi minimi della laparoscopia.
Cosa pensa in quei momenti?
Quando sono in sala sto attento a tutto ciò che mi circonda e che riguarda il paziente, ma allo stesso tempo sono isolato e molto concentrato su me stesso e su quello che faccio.
E la mattina stessa che fa?
Faccio sempre le stesse cose, quasi come se fosse un rituale. La sveglia sempre alla stessa ora, la doccia, faccio colazione e accompagno i figli a scuola.
C’è anche qualcosa di scaramantico in questo…
Ci sono una serie di azioni che tanti applicano e che definirei quasi scaramantiche. Alcune tra le mie fisse sono che la paziente entri in sala operatoria sempre dai piedi e mai dalla testa. Il viola in sala meglio di no, i bracciali che porto me li tolgo da solo, le cuffie sono sempre le stesse e per lavarmi uso solo il rubinetto centrale. Sono azioni che ovviamente non hanno nessuna influenza sulla riuscita del mio lavoro… però le faccio.
Ha un po’ d’ansia o dopo anni diventa normale amministrazione?
L’ansia proprio no, ma ho sempre un po’ di paura e tutte le volte – soprattutto quando faccio interventi importanti – ripeto: «Questa volta non ce la faccio a farlo in laparoscopia, ovvero senza aprire l’addome ma solo con quattro minimi accessi». Oppure alla fine dico ai miei colleghi: «Ero sicuro che non ci saremmo riusciti». Un pizzico di paura lo devi avere perché l’estrema sicurezza può farti sbagliare. Durante interventi particolarmente delicati il rischio di commettere errori banali, che si ripercuotono su passaggi importanti, è molto alto. È bene avere timore ed essere sempre scrupolosi e attenti. Anche dopo anni di esperienza, come io certamente ho, mi ritengo sempre umile.
In questo periodo vanno molto di moda i medici che danno consigli su Instagram e TikTok, dei veri influencer molto seguiti. I ginecologi sono una buona fetta: ha mai pensato di approdare sui social?
Onestamente non mi piace, non dovremmo venderci come se fossimo un prodotto da banco. Mi piacerebbe molto invece creare un canale tematico dove pubblicare e condividere gli interventi: non tanto per i pazienti, ma per chi si deve formare. Ma non lo si fa certo su Tik Tok. I social sono solo un modo per farsi pubblicità, ma la migliore pubblicità è quella delle persone che vengono a curarsi da te e si trovano bene. Questo vale per tutti i medici.
A proposito di influencer: è un po’ il ginecologo delle mogli dei vip. Ha fatto nascere i figli dell’influencer Mariano Di Vaio, del calciatore Andrea Ranocchia e di tanti altri…
Dicono questa cosa, ma non è vero! Eleonora, la moglie di Mariano, e sua sorella Ilaria (Di Vaio) sono le prime che saltano all’occhio. Così come le gravidanze di Giulia, la moglie di Andrea Ranocchia. Alla base di tutto c’è che siamo molto amici. Mi vengono in mente alcuni figli dei giocatori della Sir e del Perugia calcio. Penso però che famosi o meno, sia importante la fiducia delle persone e la stima che ripongono in te. È bello vederli crescere dalle loro foto che arrivano nel tempo, trovarsi tra gli scaffali dei supermercati o a cena e vedere gli occhi dei genitori brillare quando ti presentano i loro figli. Credo che l’emozione più bella sia il ricordo nelle menti delle persone.
Ce l’ha un piccolo aneddoto?
Quando seguivo Eleonora, la moglie di Di Vaio, le altre pazienti mi chiedevano quando venivano in visita così da poter incontrare Mariano!
È tifoso del Cosenza… preferirebbe il Cosenza in serie A o un riconoscimento per il suo lavoro?
Più che un premio personale, mi piacerebbe un riconoscimento per tutta la squadra che lavora con me, non potrei riuscire nel mio lavoro senza il loro aiuto. Un po’ come avviene nel ciclismo. Fermo restando che nell’arco della mia vita non mi dispiacerebbe veder giocare il Cosenza in serie A.
In modo sintetico, c’è un messaggio che vuol dare alle donne che ci leggono?
Avere rispetto per sé stesse e per il proprio corpo, facendo regolarmente screening e controlli annuali. Se si presentano dei problemi, parlare molto chiaramente con il ginecologo e con i familiari, superando paure e vergogna.
Le donne umbre possono stare tranquille per quanto riguarda i servizi ginecologici nella regione?
Assolutamente sì, l’importante è mantenere un rapporto costante con i riferimenti – ginecologi privati, ospedalieri o consultoriali – che sono sempre disponibili a dare una mano alle pazienti, anche nelle situazioni più banali.
Agnese Priorelli
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