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Guido Roncalli: “Girare con Sorrentino è come un Mondiale”

«Ho iniziato la mia carriera con Pippo Baudo, sono portato per le dirette, ho scioltezza e naturalezza particolari, per questo mi sento a mio agio sia in televisione sia in teatro».

È stata un’intervista-chiacchierata molto lunga quella con l’attore Guido Roncalli di Montorio, nato a Roma ma perugino di sangue e di adozione, forse perché c’erano tante cosa da raccontare. La sua carriera infatti è corposa e ricca: televisione, cinema e teatro. Un attore completo che vanta ruoli nei maggiori film e fiction degli ultimi anni: da Gli equilibristi a Cetto c’è, senzadubbiamente, da Permette? Alberto Sordi a I ragazzi dello Zecchino d’oro, senza dimenticare DOC, I Medici, Rocco Schiavone, L’alligatore, In arte Nino e ovviamente The New Pope, solo per citarne alcuni. Una carriera lunghissima iniziata con Pippo Baudo nel 1992 e consolidatasi sempre di più nel corso del tempo, fino ad arrivare alla corte cardinalizia del Premio Oscar Paolo Sorrentino.

 

Guido Roncalli di Montorio

Guido la prima domanda è di rito: qual è il suo legame con l’Umbria?
È un legame familiare molto forte. Mia nonna Antonietta Conestabile della Staffa era perugina, un quarto del mio sangue è umbro. A fine anni ‘70 da Roma, dove sono nato, ci siamo traferiti a Perugia, dove mio padre Francesco insegnava Etruscologia all’Università. Ho studiato al liceo classico Mariotti di Perugia e ho frequentato il primo biennio di Scienze Politiche, che poi ho proseguito a Milano. Oggi vivo a Roma, ma i miei affetti sono ancora a Perugia. I miei genitori e le mie sorelle vivono lì.

Com’è iniziata la sua carriera?
Nella mia famiglia si è sempre respirata arte. Tutti abbiamo studiato uno strumento musicale: a 10 anni ho iniziato a suonare la chitarra e questo mi ha portato – non essendo affatto una persona timida – a esibirmi già in tenera età. Poi, durante l’università a Milano, avevo degli amici che frequentavano il Piccolo Teatro Studio e da lì mi sono appassionato alla carriera artistica, mettendo da parte quella diplomatica per la quale avevo studiato. La mia prima esperienza è stata in televisione: ho partecipato nel 1992 a Domenica In condotta da Pippo Baudo, vincendo un quiz di cultura generale.

Quindi è stato scoperto da Baudo…
In un certo senso. È stata la mia prima apparizione nazionalpopolare. Sono persino finito in una domanda del Trivial Pursuit: «Come si chiama il super campione di Domenica In

Paolo Sorrentino, Gianni Boncompagni, Luca Manfredi… solo per citare alcuni dei registi con cui ha lavorato: com’è stato essere diretti da loro?
Con Gianni Boncompagni ho lavorato nel 1997 nel varietà Macao: lui è stato un genio, un grandissimo innovatore nel campo televisivo e radiofonico. Essere diretto da Paolo Sorrentino invece è come partecipare al Campionato del Mondo: mi sono ritrovato a lavorare negli studi di Cinecittà di Federico Fellini con Jude Law e John Malkovich. Fino a quel momento avevo recitato in serie A, con Sorrentino invece è stato come partecipare alla finale del Mondiale! Con Luca Manfredi, oltre al film su Alberto Sordi – di cui sono orgogliosissimo – avevo già girato In arte Nino (in onda sabato 20 marzo su Rai1) il film sulla vita di Nino Manfredi – di cui il 22 marzo ricorre il centenario della nascita, celebrato da Luca con il libro Un friccico ner core e un documentario in onda su Rai2 proprio il 22 – e le cui riprese vennero fatte tra Narni e Terni. La famiglia Manfredi è da sempre legata all’Umbria: la moglie di Nino, mamma di Luca, è Erminia Ferrari, del mitico Bar Ferrari di Perugia.

 

Guido Roncalli con Edoardo Pesce in “Permette? Alberto Sordi”

Ci racconti qualche curiosità legata alla sua esperienza in The New Pope di Sorrentino…
Sorrentino è un genio creativo, anche lui è un innovatore. Il suo cinema è subito riconoscibile ed è meticolosissimo e sempre attento al particolare. Per me è stato un onore essere scelto in questo cast ed essere diretto da lui.

Dove si manifesta la sua precisione?
Le faccio un esempio. Io in The New Pope interpreto il cardinale Roncalli – è stato lo stesso regista a chiedermi di lasciare il mio cognome, così da citare il vero cardinale Roncalli, poi diventato Giovanni XXIII – e indosso un abito completo, composto da diversi strati com’è realmente un abito cardinalizio. Non si stratta di un costume di scena, ma di un vero abito di sartoria ecclesiastica. Al contrario, in altre produzioni può capitare che si indossi solo una parte di un costume, quella che poi verrà inquadrata. Con Sorrentino ciò non accade. Ho fatto più di una prova costume; questo è possibile grazie al budget di cui può disporre un Premio Oscar ma anche a una grandissima cura del dettaglio. Inoltre, durante le riprese, lo trovi arrampicato a scegliere l’inquadratura perfetta o ti appare all’improvviso per riprenderti in primo piano.

Come ha accennato, ha dei legami con papa Giovanni XXIII…
Le origini della famiglia sono comuni e proveniamo dalla stessa zona bergamasca. È un legame che risale a prima del ‘600, quando il mio ramo acquisì il titolo di conte di Montorio. Ma tra papa Giovanni e mio nonno – che erano più o meno coetanei – è stato un legame più di amicizia che di parentela. Hanno fatto la carriera diplomatica insieme e sono rimasti in rapporti tra loro fino alla morte, mantenendo anche un continuo carteggio. Questa loro relazione, la porto in scena nello spettacolo teatrale Roncalli legge Roncalli in cui – accompagnato dal violoncello suonato da mio fratello Diego – racconto storie private, leggo lettere inedite e faccio vedere immagini dell’archivio della mia famiglia legate a papa Giovanni. È un recital che riporteremo in scena appena sarà possibile.

 

Guido Roncalli con il fratello Diego nello spettacolo “Roncalli legge Roncalli”

Teatro, televisione, cinema: qual è il suo mondo?
Non si può fare una vera scelta. Ognuno ha le sue caratteristiche. Il teatro non perdona e il pubblico vede tutto. In televisione, nel varietà, devi essere capace di non pensare che dietro alla luce rossa della telecamera ci sono milioni di persone. Il cinema ha ancora altre caratteristiche: sei circondato da tante persone e la scena la puoi rifare, anche se io faccio sempre finta di essere in diretta per evitare di fare troppi ciak. Devo dire però che io sono portato per le dirette, ho scioltezza e naturalezza particolari, e per questo mi sento particolarmente a mio agio in televisione e in teatro.

Ha lavorato con tanti attori, tra cui Valerio Mastrandrea e Antonio Albanese: ce li racconti brevemente…
Valerio lo conosco da tanti anni, è molto naturale ed è raro che debba rifare molti ciak. Con Albanese ho girato Cetto c’è, senzadubbiamente e mi sono molto divertito, perché la commedia è nelle mie corde. Antonio è simpaticissimo e ci conosciamo da molto tempo, ma al contrario di come può apparire, è molto riservato, gentile e mai sopra le righe. Certamente anche lui è geniale e originale.

C’è un personaggio che vorrebbe interpretare che ancora non ha fatto?
Mi piacerebbe cantare e suonare la chitarra anche in scena. Per esempio Georges Brassens, grande chansonnier e ispiratore di De André, sarebbe un personaggio che interpreterei volentieri, dato che conosco il francese.

In questi giorni è su un set: a cosa sta lavorando? Ci può anticipare qualcosa?
Ancora non posso anticipare nulla. Posso solo dire che si tratta di un film per la televisione che vedremo nella prossima stagione di RaiUno.

Quando è difficile lavorare in questo periodo di Covid?
Certamente non è facile, come non lo è per nessuno. Facciamo il tampone ogni settimana e restiamo nella bolla. E togliamo la mascherina solo al momento del ciak, come è giusto che sia.

A breve dove la vedremo?
Ho tre progetti in arrivo nei prossimi mesi. Buongiorno mamma, su Canale 5 con Raoul Bova, dove interpreto un magistrato amico del protagonista; La fuggitiva, con Vittoria Puccini, dove sono un direttore sanitario, è in arrivo su RaiUno; e Yara, film per Netflix sul caso di Yara Gambirasio, diretto da Marco Tullio Giordana, con Alessio Boni e Isabella Ragonese. Non voglio anticipare altro…

Se l’Umbria fosse un film quale sarebbe?
Un film su San Francesco d’Assisi.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?
Medioevo, meravigliosa, famiglia.

La prima cosa che le viene in mente pensando alla regione?
Campagna e riposo.

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Agnese Priorelli

Laureata in Scienze della comunicazione, è giornalista pubblicista dal 2008. Ha lavorato come collaboratrice e redattrice in quotidiani e settimanali. Ora collabora con un giornale online e con un free press. È appassionata di cinema e sport. Svolge attività di inserimento eventi e di social media marketing e collabora alla programmazione dei contenuti. Cura per AboutUmbria Magazine, AboutUmbria Collection e Stay in Umbria interviste e articoli su eventi.