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«La mia passione per la scultura è nata fin da quando ero bambino. È sempre stata una parte fondamentale della mia vita».

Matteo Peducci, umbro di nascita, si diploma al Liceo Classico Annibale Mariotti di Perugia e poi consegue la Laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara. È impegnato in lavori internazionali; dal 2013 collabora con centri universitari per la ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali.

Styrofoam Hermaphrodite

 

Come è nata la sua passione per la scultura? E da dove arriva la sua ispirazione?

La mia passione per la scultura è nata fin da quando ero bambino. Già a sei anni cominciavo a plasmare piccoli pupazzetti con la creta, dimostrando un interesse precoce per l’arte scultorea. La mia passione per la scultura è sempre stata una parte fondamentale della mia vita. Tuttavia, i miei genitori, non sapendo come affrontare questa mia malattia artistica, decisero di portarmi da un grande esperto nel campo, il Maestro Artemio Giovagnoni. Il Maestro riconobbe immediatamente la mia passione e il mio talento per la scultura. Mi incoraggiò e mi disse: «Caro ragazzo, hai un grande talento e raggiungerai sicuramente grandi risultati nella scultura, ma ricorda che dovrai lottare duramente per tutta la vita». Le sue parole sono state un’ispirazione costante per me, e da allora ho lavorato instancabilmente per coltivare la mia passione e per realizzare le mie opere artistiche. La mia ispirazione proviene da molte fonti diverse. Osservo la natura, le persone, le emozioni e le storie che mi circondano. Mi immergo nelle esperienze di vita e cerco di catturare la loro essenza attraverso le mie sculture. La mia ispirazione cambia costantemente, ma la mia passione per la scultura rimane invariata. È un viaggio emozionante e gratificante che continuo a percorrere con dedizione e amore per l’arte.

 

La via del pane. Marmo Botticino. 2022

 

Il marmo è una pietra naturale che richiede pazienza nella lavorazione, attenzione e tanta abilità per essere lavorata. E come se lartista entrasse in sintonia con la materia e con il suo ritmo. Perché come materiale, privilegia proprio il marmo?

Il marmo è una scelta di materiale molto significativa per me come artista. Questa pietra naturale richiede una profonda pazienza nella lavorazione, una grande attenzione ai dettagli e un’abilità eccezionale per essere modellata con successo. È come se, lavorando il marmo, l’artista entrasse in sintonia con la materia stessa e con il suo ritmo intrinseco. Tuttavia, c’è un significato più profondo. Quando scolpisco il marmo, mi confronto con il concetto di eternità. La pietra, essendo uno dei materiali più duraturi, funge da fondamento senza tempo su cui l’umanità ha inciso la sua storia per millenni, preservandola per le generazioni future. Questa connessione con il passato e il senso di perennità che il marmo offre alle mie opere d’arte aggiunge un elemento di profondità e significato al mio lavoro, rendendolo ancora più gratificante.

 

Growing Graces. Rame elettrolitico. 2021

 

Dopo la sua laurea presso lAccademia di Belle Arti a Carrara, come mai ha deciso di ritornare in Umbria?

La mia decisione di tornare nella mia terra di origine, in Umbria, dopo aver conseguito la laurea presso l’Accademia di Belle Arti a Carrara, è stata una sorta di coincidenza. Dopo aver completato i miei studi accademici e aver avuto esperienze lavorative in varie parti del mondo, ho iniziato a sviluppare il mio progetto/opera chiamato Affiliati. Questo progetto richiedeva uno spazio idoneo con caratteristiche non convenzionali. In modo fortuito, ho scoperto una cava di pietra rosa abbandonata ad Assisi, nella mia Umbria natale. La scelta di utilizzare questa cava per il mio progetto è stata immediata. È da qui che è nata la bottega Affiliati. Quindi, la decisione di tornare in Umbria è stata guidata dalla scoperta di questa cava e dalla sua idoneità per la realizzazione del mio progetto artistico, che si è rivelato essere un passo significativo nella mia carriera artistica.

 

Vorrei concludere chiedendo di lasciarci con una parola su cui meditare, che rappresenti il connubio tra la sua arte e lUmbria.

Certamente, vorrei concludere lasciandovi con la parola Armonia. Per me, l’arte e l’Umbria sono in armonia perfetta. Vivere e lavorare nella mia terra di origine è un grande privilegio, e questo territorio conserva ancora le caratteristiche selvatiche e naturali che contribuiscono a creare un’armonia ideale per la scultura in marmo. È un connubio che nutre la mia creatività e mi ispira costantemente.

 


www.affiliatiart.com

«Vivere a Deruta significa vivere in Umbria e a essere altrettanto importante per me è l’eredità artistica che ci hanno lasciato Perugino, Alberto Burri e Leoncillo Leonardi».

Nato a Terni e cresciuto a Deruta, Attilio Quintili si forma come artigiano ceramista, ma fin da subito orienta la sua ricerca artistica verso un linguaggio contemporaneo. Ciò che lo affascina è la materia e le reazioni che si possono generare dall’incontro con altre forze; in particolare, dal 2012 l’artista inizia ad applicare cariche esplosive nel blocco di argilla, rileggendo in maniera fortemente personale la ricerca dell’informale verso nuovi modi di trattare la materia. Anche se studia la precisa collocazione delle cariche per orientarne l’esplosione, l’argilla si squarcia e si plasma con risultati imprevedibili: il risultato finale è una scultura complessa che si presenta come un’analisi allo stesso tempo sul pieno e sul vuoto, sul frammento e l’assenza, spingendo la conversazione su un piano più concettuale.

 

 

Lei è umbro di nascita. Si forma a Deruta come artigiano e ceramista e poi orienta la sua ricerca artistica verso il linguaggio contemporaneo. Quanto è stata importante per la sua formazione la città di Deruta, da secoli impregnata di arte?

Sono nato a Terni, mi sono trasferito pochi anni dopo a Deruta, ho imparato l’arte della ceramica nella fabbrica di mia madre, che proviene da una famiglia derutese di lunga tradizione ceramica. Mi sono specializzato nella tecnica del Lustro che ho lasciato – anche se non definitivamente – nel 2012 per intraprendere un personale percorso artistico. Per rispondere alla domanda: Deruta con la sua storia e la sua tradizione mi hanno influenzato molto. Vivere qui però significa anche vivere in Umbria e a essere altrettanto importante per me è l’eredità artistica che ci hanno lasciato Perugino, Alberto Burri e Leoncillo Leonardi. Credo comunque che nel mio percorso artistico l’influenza maggiore sia arrivata dalla grande spiritualità che l’Umbria e suoi santi emanano.

Le sue opere ceramiche spesso si aprono dall’interno: è la materia che accetta lo squarcio. Fontana spesso dichiarava “la mia arte è portata sulla filosofia del niente, che non è un niente di distruzione, ma un niente di costruzione”. Anche lei, tramite la materia “costruisce” nuovi possibili spazi? Ci racconta come “costruisce” le sue opere?

Le mie sculture prendono forma attraverso un’esplosione: è la deflagrazione a disegnare la forma. In nessun modo vengono toccate dalle mie mani, il risultato è una forma che la mente non può nemmeno immaginare. Ogni scultura è una nascita – o meglio una rinascita – dando vita a un nuovo ciclo vitale. L’apporto e la volontà dell’artista, e prima ancora dell’uomo, è insignificante nel mio lavoro. La forma che si genera nelle sculture rimanda direttamente a una nuova vita senza alcun legame apparente con la precedente. L’assenza di una forma riconosciuta predispone il fruitore ad abbandonare le certezze apparenti della mente in favore delle apparenti incertezze di altri livelli di percezione, che possono coincidere con il niente che però, per rispondere alla sua domanda, non prevede né costruzione né distruzione.

 

 

Attraverso la lavorazione della ceramica e attraverso l’utilizzo del lustro, nel tempo le sue opere sono state realizzate con tecniche non ceramiche, perfettamente espressive del suo pensiero. Inoltre, nelle sue opere è forte il connubio tra spiritualità e materia. Da dove trae ispirazione per la loro realizzazione?

La ceramica è una tecnica che utilizzo perché funzionale al mio percorso artistico. Trovo la ceramica, con le sue implicazioni, perfettamente significativa a esprimere la relazione, che è l’obiettivo della mia ricerca, fra spiritualità e materia. Il percorso di conoscenza, in vita, è una costante mediazione fra gli opposti e di conseguenza un lavoro costante fra la spiritualizzazione della materia e la materializzazione dello spirito.

Vorrei concludere chiedendole di lasciarci con una parola su cui meditare, che per lei rappresenti il connubio tra la sua arte e l’Umbria.

Il silenzio.

«È stimolante lavorare in questa regione perché, oltre a essere un autentico paradiso di natura incontaminata, bellissimi borghi e cittadine affascinanti, è anche una regione ricca di storia, tradizioni e arte in tutte le sue espressioni».

Umbro di nascita, Armando Moriconi ha il suo atelier a Foligno, dove vive e lavora tra attrezzi del mestiere e calchi a cui dare forma e sostanza. È proprio nel suo studio, nel cuore dell’Umbria, che le sue sculture e installazioni prendono vita.

Alla scultura lei approda da giovanissimo, portavoce di uno stile scultoreo primitivo e istintuale, esperto conoscitore di tutte le tecniche nella lavorazione dei materiali. Ci racconta come nascono le sue opere?

Le mie opere nascono da visioni interiori; un po’ riflettendo come Henri Focillon: «la forma fintanto che non vive nella materia, è una visione dello spirito». Per me la scultura è pensiero, visione, segue poi il processo di lavorazione, ma è come respirare, c’è la gioia non la fatica. L’idea nella materia marmo vive di luce propria, respira, emana luce, comunica. All’inizio, circa nel 1995, dall’idea passavo direttamente alla lavorazione del blocco di marmo, tracciavo giusto qualche riferimento sulle facce del blocco avendo ben in mente la forma da cercare al suo interno. Si trattava di forme non articolate ma semplici, essenziali. Negli anni successivi, con l’evolversi della ricerca che mi portava a sviluppare forme organiche con più dinamismo plastico e tensioni, ho iniziato ad adottare un metodo diverso, andando dall’idea all’argilla e sviluppandola al meglio, per poi iniziare a trasferire il progetto sul blocco di marmo mediante la tecnica di cavar punti, con uno strumento particolare che ha degli snodi  in ottone. Su un’estremità scorre un’asta appuntita in acciaio che tocca i punti indicandone le loro rispettive profondità; questo viene ripetutamente trasferito dal bozzetto al blocco in fase di lavorazione per evidenziare la quantità di marmo da rimuovere in quel determinato punto, avendo cura di non andare oltre altrimenti si compromette l’esito dell’intero lavoro. Per quanto riguarda la creazione delle mie opere in bronzo, si entra nel magico e affascinante spazio della fusione a cera persa: viverla e attuarla in prima persona in tutte le sue fasi è un’esperienza unica. Si apprendono nuovi modi di operare, quelli che potrebbero sembrare errori tecnici in molti casi si rivelano fantastiche sorprese che stimolano la ricerca artistica e aprono nuove possibilità espressive. Attraverso l’esperienza di fonditore e formatore ho appreso tante cose utili per sviluppare nuovi progetti, come quello attuale sull’archeologia del tempo. Mentre i lavori in ceramica si concretizzano in modo più diretto rispetto al marmo e bronzo: lavorare l’argilla per me è fondamentale, sia come studio per generare poi opere in marmo o bronzo, sia per creare opere finite con smalti oppure trattate con procedimenti di ossidoriduzione e in terzo fuoco.

 

Quanto è fondamentale per lei lavorare nel suo atelier? Da dove trae ispirazione?

Il mio atelier è immerso nella natura, da un lato ci sono gli alberi di ulivo, dei vitigni di Trebbiano, Grechetto e Merlot, un orto grande dove si alternano vari ortaggi di stagione che coltivo insieme a mio padre. È fondamentale per me lavorare in questo contesto, dove la natura favorisce la mia ispirazione; blocchi di marmo, di onice, quando la luce del sole li coglie i loro spigoli si illuminano così da far sembrare che al loro interno ci sia un’anima. Lavorare nel proprio studio ti fa accorgere anche di progetti incompiuti e lasciati a metà strada o in attesa di ripresa. Ogni volta che finisco una scultura non vedo l’ora di fotografarla, in questo contesto la fotografia diventa uno strumento divulgativo ed espressivo che contribuisce ad accrescere il mito dell’arte, Mi piace fotografare lo sviluppo dei miei lavori e metterli in relazione con l’ambiente, spesso in situazioni di luce suggestiva.

 

Quanto è stato importante per lei e per la sua arte lavorare in questa regione?

È stimolante lavorare in questa regione perché, oltre a essere un autentico paradiso di natura incontaminata, bellissimi borghi e cittadine affascinanti, è anche una regione ricca di storia, tradizioni e arte in tutte le sue espressioni. In Umbria si può contemplare Giotto, Perugino, Beato Angelico, Piero della Francesca, Dottori, Leoncillo, Burri, Afro e musei e siti archeologici di grande importanza. L’Umbria è anche la regione di San Francesco, in particolare la mia città, Foligno, fu a lui la più cara e vicina dopo quella di Assisi.

Solitamente concludiamo questa chiacchierata con una domanda: se ci lascia con una parola su cui meditare che per lei rappresenti il connubio tra la sua arte e l’Umbria.

La parola armonia, intesa come connessione tra la mia energia creativa e il territorio in cui vivo e lavoro, ma anche come equilibrio plastico nelle mie opere.

Due personalità artistiche diverse, ma accomunate dalla scelta di una materia prima come mezzo per dare forma alla propria visione estetica

 

Leoncillo e Fontana incontro a Milano nel 1960

 

Ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario della morte di Lucio Fontana e di Leoncillo Leonardi, scultori italiani, avvenuta nel settembre 1968 a soli quattro giorni di distanza l’uno dall’altro.
Il Museo e Ceramiche Rometti ospiterà, con il patrocinio del Comune di Umbertide, la mostra Barocco e Barocchetto: Materia e colore nelle sculture di Lucio Fontana e Leoncillo Leonardi che sarà inaugurata sabato alle 18.00.
Si tratta di una selezione di sculture policrome in ceramica, curata dallo storico dell’arte Lorenzo Fiorucci, che intende sottolineare il ruolo cruciale che ebbero i due artisti nell’affermazione della scultura colorata sia a livello nazionale che europeo, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta.
Un risultato reso possibile grazie alle capacità tecniche che furono acquisite in due località della provincia italiana: per Fontana Albisola, mentre per Leonardi Umbertide, entrambe cittadine attive nella produzione della ceramica.

Una stagione ricca di fermenti

I due scultori vennero a mancare proprio nell’anno che rappresenta il culmine di una stagione ricca di fermenti e innovazioni anche nel campo delle arti visive. Stagione che segna anche la fine di un periodo artistico durante il quale l’Italia fu, per l’ultima volta, realmente protagonista. Fontana e Leonardi operarono pienamente all’interno di questo periodo, essendo attivi dagli anni Trenta agli anni Cinquanta: due personalità estremamente diverse, con visioni della vita opposte: chiuso e pessimista il primo, aperto e fiducioso il secondo, ma con un percorso cronologico e ideali estetici comuni.

 

Lucio Fontana, Donna sdraiata

Un sottile fil rouge

La scelta di un mezzo espressivo come quello della ceramica, al di là delle differenze di linguaggio e delle rispettive identità, ha consentito a Fontana di arrivare a una definizione critica di Barocco, secondo Leonardo Sinisgalli, così come Leonardi è giunto a elaborare una definizione di Barocchetto secondo l’intuizione di Roberto Longhi.
Negli stessi anni, i due artisti operarono nelle due città più prolifiche dal punto di vista artistico: Fontana si mosse a Milano, dove trovò gli stimoli per dare forma a una materia che accoglie un gesto rapido, ma raffinatissimo, allo stesso tempo.
Leonardi, grazie a Roma e ai suoi circoli artistici, trovò il proprio stile modellando la materia attraverso eleganti smalti e colori lucenti.
Tutto ciò fu reso possibile grazie anche alle capacità tecniche acquisite nelle due cittadine: ad Albisola attraverso le aziende San Giorgio e Mazzotti per Fontana, mentre a Umbertide fu proprio l’azienda Rometti a fornire a Leonardi gli spunti e le nozioni che stava cercando.

 

Scultura di Leoncillo

 


LOCATION: Museo Rometti – Umbertide

INAUGURAZIONE: 22 SETTEMBRE 2018 ore 18

DURATA DELLA MOSTRA: DAL 22 SETTEMBRE AL 20 OTTOBRE 2018

Sguardi, bocche semiaperte che sembrano sospirare, cantare. Pelle di marmo bianco, velato da una patina di polvere e ragnatele, angeli e fantasmi: il cimitero monumentale di Perugia offre a chi vi passeggi un tour silenzioso tra sculture estremamente assorte e tristemente affascinanti.

Guardiani silenziosi

Situato nei pressi della chiesa di San Bevignate, in una zona che già dal tempo degli Etruschi era adibita a necropoli, il cimitero fu inaugurato nel 1849, e poi ampliato, sui progetti di Filippo Lardoni e Alessandro Arienti. Qui si dispiega un romantico panorama dell’arte scultorea perugina tra Ottocento e Novecento.

L’entrata monumentale apre l’ingresso a tre lunghi sentieri silenziosi, costellati di cappelle e mausolei di ogni stile e fattezze, affascinanti per la loro eterogeneità, tra l’eclettico e l’eccentrico: è il caso della tomba a piramide egizia, completa di severe sfingi all’ingresso (Romano Mignini, Cappella Vitalucci, 1892).

La suggestione più forte si avverte in ogni caso percorrendo le due gallerie coperte ai lati dei campi comuni, progettate dall’Arienti. Una serie di monumenti funebri si susseguono lungo la parete, una volta stellata vi accompagna sotto l’ombra del portico, mentre la luce filtra geometricamente dalle aperture delle arcate bianche e rosa.

A fine taste

Intanto sculture di esseri alati bianchi e ritratti di defunti abitano le gallerie, volgendo gli sguardi altrove o, a seconda della posizione, guardandovi dubbiosamente negli occhi. Molte statue hanno le sembianze di giovani asessuati dai tratti fisionomici dolci e aggraziati, colti in mosse misurate e panneggi svolazzanti.

Si scopre il gusto Liberty diffuso a cavallo tra XIX e XX secolo, interpretato da artisti perugini quasi coetanei, formatisi all’Accademia delle Belle Arti di Perugia.

Molte le opere in questo senso di Giuseppe Frenguelli (1856-1940), scultore perugino: l’angelo in posa ricercata che zittisce dolcemente, fissandovi negli occhi, a guardia del monumento Vicarelli (1895), o quelli musicanti, più scenografici, dai lunghi panneggi fluttuanti, assorti in un canto silenzioso, i quali aleggiano in una composizione complessa sul monumento Rossini (1905).

Atteggiamenti delicati, che conferiscono un’atmosfera di sospensione ed indefinitezza, come l’angelo languidamente seduto sopra il monumento sepolcrale della famiglia Nottari: la testa appoggiata alla mano, il gomito sopra una pila di libri, l’espressione vitrea, tra il vago, il fiacco, l’inerte. Del 1888, firmata da Raffaele Angeletti (1842-1899) e Francesco Biscarini (1838 – 1903), questa è solo una delle tante opere dei due artisti all’interno del cimitero di Perugia, i quali, dopo aver fondato nel 1861 uno studio di scultura, intrapresero l’attività di un laboratorio e una fornace di terrecotte artistiche, in Via del Labirinto.

Allegorie dell'Aldilà

Allegorie epiche accompagnano talvolta i ritratti dei defunti, come le sfingi, questa volta di tradizione greca, che sostengono il monumento funebre della poetessa Maria Alinda Bonacci Brunamonti: le due donne alate, dalle possenti zampe di leone, hanno l’espressione elegante di nobili fanciulle, il collo lungo e i tratti fini; i capelli sono acconciati con una corona di alloro e nastri svolazzanti, in linea con il gusto decorativo liberty. Il monumento fu realizzato nel 1914 da Romano Mignini, con la collaborazione del figlio Venusto; lo scultore aveva frequentato il laboratorio Angeletti – Biscarini, e come i suoi maestri, si era formato all’Accademia perugina.

Tra i personaggi che animano le sculture funebri, le figure dei bambini addolciscono l’immaginario legato ai defunti. Sul monumento della famiglia Pezzolet, firmato Giuseppe Scardovi (1857 – 1924), sta seduto in posa scomposta un bambino dalle fattezze angeliche; mentre lo stesso Giuseppe Frenguelli scolpisce nel 1915, per la cappella della famiglia Pagnotta lungo il viale centrale, un bambinetto aggraziato e immobile nella sua tristezza, i cui fiocchi alle scarpe sono il dettaglio di verosimiglianza che conferisce alla figura l’apparenza funerea di uno spirito bambino.

La visita al cimitero si rivela un viaggio tra una moltitudine di figure, spiriti, e creature celesti scultoree, i quali rivelano simboli e allusioni legate all’universo dei defunti: scoprirle sarà una passeggiata in un museo a cielo aperto, immerso nel silenzio.

 

 

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