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Un monte che, in questa stagione, ricorda anacronisticamente il mare dโ€™inverno. Solo che, al posto dellโ€™acqua, della salsedine e dei flutti, ci sono fiori e distese erbose.

Sulla sinistra della strada tortuosa che da Sanโ€™Anatolia di Narco conduce a Monteleone di Spoleto, una volta oltrepassato il pittoresco borgo di Gavelli, si apre una vecchia mulattiera che si inerpica a zig-zag lungo il Monte Coscerno. Un segnavia del CAIย  – pressochรฉ lโ€™unico che incontrerete lungo tutto il percorso – indica come di consueto i tempi di percorrenza per quella che รจ la vostra meta, la Forca della Spina.

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Ma, nel caso non foste pratici di sentieri e di trekking, vi basterร  seguire quella viuzza sterrata che attacca il versante del Coscerno a circa 1100 metri di altitudine e proseguire a fianco di un vecchio recinto spinato intervallato da scale di legno fradicio. Un tempo queste, presumibilmente, permettevano di scavalcare la recinzione senza pericoli, mentre ora si appoggiano, sbilenche e fragili, alla debole struttura di contenimento.
Un cartellone scolorito al punto da essere diventato bianco e con poche lettere ancora distinguibili, data lโ€™intervento di finanziamento al 1987. In effetti, piรน andrete avanti piรน scoprirete come lo stato in cui versano gli steccati e la debole traccia del sentiero โ€“ conservata soprattutto dal passaggio degli animali da pascolo โ€“ rivelino la scarsa frequentazione, da parte dellโ€™uomo, di questo monte ricco di prati.

Una vasta distesa di abeti si apre, dopo non molto, sulla destra. La regolaritร  degli alberi rivela unโ€™origine artificiale, anche se ormai cancellata dalla fitta vegetazione che impedisce addirittura di vedere il cielo allโ€™orizzonte. Un senso di pace, nonchรฉ un silenzio abissale invadono le orecchie, presto sostituiti dal battiti accelerati del cuore, messo sotto sforzo dalla successiva e repentina salita.
Ma, come accade spesso in montagna, il panorama ripaga la fatica. Alle nostre spalle, numerosi massicci, resi unโ€™unica, imponente catena dalla prospettiva distorta, spuntano dalla foschia di condizioni atmosferiche inclementi. Il piรน lontano, il Terminillo, veste ancora il bianco delle nevi invernali.

Davanti a noi, invece, si apre una foresta caduca spazzata dal vento. I tronchi nodosi, piegati e avvinghiati come tentacoli dellโ€™orrore, rivelano le loro forme bizzarre e contorte grazie alla pulizia operata dalla stagione fredda appena trascorsa: presto torneranno a essere nascosti dalle verdi foglie e dal rigoglioso sottobosco.

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Giร  fanno capolino le viole del pensiero, gialle e viola che, dal limitare di questa macchia chinatasi al vento si estendono a perdita dโ€™occhio, tappezzando questi vasti prati dโ€™altura.

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Il cielo grigio acciaio, lโ€™erba secca, lo steccato scolorito e la foresta rossiccia sembrano aver desaturato la scena, conferendole โ€“ anacronisticamente e inaspettatamente โ€“ i colori del mare dโ€™inverno.

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La presenza umana รจ ora tradita da un fuoristrada che si avvicina a sobbalzi. Non credo possa stare qui, a calpestare questi magnifici rigurgiti di natura montana, ma lโ€™uomo non sembra preoccuparsene: ci chiede se abbiamo visto dei cavalli. Di deiezioni equine e bovine, in effetti, ne abbiamo viste tante, ma di quadrupedi nemmeno lโ€™ombra. Forse รจ questo vento freddo che pettina i prati ad averli spinti al riparo.

 

Procediamo ancora. Sโ€™intravedono le antenne in lontananza, come alla fine di un gioco di specchi. La cresta piatta del Coscerno รจ talmente vasta da creare tanti altopiani in successione, come piccole piste di decollo elicotteri.

Le violette fanno spazio alle pervinche e ai crochi, come a tante specie variopinte di cui ignoro il nome, ma che appagano la vista per la loro elegante architettura e per la loro tenace ostinazione a crescere in luogo di cosรฌ soggiogante asperitร .

 

 

 

Qualche saliscendi e poi, morbidamente, un avvallamento ripieno dโ€™acqua. La pozza, senza dubbio stagionale, si estende immota a limitare della foresta china. Lo sarร  ancora per poco: sul fondo si estendono lunghissime matasse gelatinose che, dopo un primo momento di smarrimento, risultano piene di uova. Il centro del laghetto si increspa rivelando la sagoma di un rospo, anticipazione di ciรฒ che diventerร  la gran parte di queste uova scure.

La foresta si risolve in una staccionata sbiancata dal sole che ci conduce alle antenne. รˆ sempre difficile abituarsi a tanto ferro dopo che si รจ stati inghiottiti dalla natura, le cui proporzioni sono sempre dilatate: il cielo sembra schiacciarci, avvolgente come una cupola indaco, e i prati si aprono e si contraggono come il moto ondoso di un mare in tempesta. I fiori ci vorticano attorno come risacca.

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Oltrepassate le arrugginite costruzioni umane, il versante rovina quasi a strapiombo, vellutato dai ciuffi dโ€™erba che, come ingannevoli cuscini, sembrano rassicurarci con la morbidezza di unโ€™eventuale caduta.

Adagio, costeggiamo la cima e torniamo indietro a mezza costa, le antenne nascoste alla vista, scoprendo infine il sostegno roccioso del Monte Coscerno, le sue asperitร , la sua lunga storia.

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Sentiero: poco oltre Gavelli, in corrispondenza degli abbeveratoi, inizia la mulattiera che risale il Monte.
Durata: 4h 30 con pause.
Dislivello: 600 metri.
Difficoltร : medio-bassa, classificata come E.
Suggerimenti: portarsi una giacca antivento e almeno un cambio.

Foto dell’autrice.