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«Il maestro Pavarotti mi ha insegnato tanto. Abbiamo fatto lezione per sei anni, mi disse che ero bravo e che dovevo seguire i suoi consigli».

Ammetto che è stata una delle interviste più lunghe che abbia mai fatto, oltre quarantacinque minuti di chiacchiere. Ne è però valsa la pena, perché Claudio Rocchi – tenore nato e vissuto a Bettona – ha tanti aneddoti e curiosità da raccontare: «Potrei scriverci un libro» mi confessa. In effetti ha ragione. Senza nessun freno abbiamo parlato delle lezioni con Luciano Pavarotti, di come vive il suo lavoro, del mondo della lirica e della musica di oggi che non apprezza. Il tenore umbro ha calcato tanti palcoscenici in giro per il mondo e sogna di essere il protagonista alla Prima del Teatro alla Scala. «Non mi do limiti!»

 

Claudio Rocchi

Claudio, qual è il suo legame con l’Umbria?

È un legame di vita, un legame fortissimo. Mi sento umbro al 100% e questa sensazione mi accompagna quando sono all’estero. Porto la regione in giro per il mondo: mi è capitato spesso di cucinare per gli amici stranieri la torta al testo o di raccontare loro aneddoti e storie sull’Umbria.

Ci racconti la sua esperienza col maestro Luciano Pavarotti…

È iniziata per caso. All’epoca – nel 1999 – studiavo al Conservatorio e lavoravo in fabbrica: la zia dell’infermiere di mio nonno era la cuoca di Pavarotti a Pesaro: il Maestro aveva nella città marchigiana una casa bellissima, sul mare, dove spesso trascorreva del tempo. Ovviamente nessuno avrebbe mai pensato che questo passaggio di voci sarebbe andato a buon fine. E invece sì. Un mese dopo – inizio 2000 – mentre ero al lavoro, mi chiamò mia mamma per dirmi che Pavarotti mi aspettava nel pomeriggio per un’audizione. Senza nemmeno prepararmi sono partito. Lui a fine provino mi disse: «Quando ci rivediamo?» Da quel giorno, ogni volta che si trovava a Pesaro, facevamo lezione insieme.

Quanto tempo sono durate le vostre lezioni?

Sei anni. Ci vedevamo tre-quattro volte all’anno, ma sono stati momenti fondamentali, mi ha insegnato tantissimo: la respirazione, l’emissione, l’apertura del palato e della gola, il giro degli armonici e tanto altro.

Qual è l’insegnamento che non dimenticherà mai?

Mi diceva sempre: «La voce la devi dare, non la devi fare». Inoltre, l’ultima volta che l’ho visto, mi ha detto che non dovevo avere altri insegnanti: «Sei bravo, devi fare solo quello che ti dico io e aspettare». Così ho fatto, ho aspettato che arrivasse il mio momento. Il ricevere un bravo dal lui mi ha riempito d’orgoglio.

Quand’è che un ragazzino decide di diventare un tenore?

Non si decide… ci nasci o non ci nasci. Io fin da piccolo cantavo, spesso quando ero nell’officina di mio padre. Cantavo soprattutto musica leggera italiana. Un giorno, alla fine della terza media, la mia professoressa di tecnica, durante la cena di fine anno scolastico, si accorse della mia voce e mi prese appuntamento con un maestro di Napoli che veniva in Umbria per far lezione ai Cantori di Assisi. Andai così ad Assisi per il provino: mi fece fare dei vocalizzi per sentire l’estensione della voce e poi mi disse: «Ora vai in farmacia a comprare dei pacchi di cerotti… Nostro Signore è stato troppo buono con te e se qualcuno ti sente cantare ora, ti rovina. Devi mettere i cerotti davanti alla bocca fino a 18-19 anni» io all’epoca avevo 12 anni «quando la voce sarà maturata». Non fu proprio così, a casa mia l’entusiasmo era talmente forte che mi mandarono alla Scuola Comunale di Musica a Bastia Umbra e iniziai a studiare pianoforte. Poi arrivò il Conservatorio, a Perugia.

Sogna mai di essere il protagonista della Prima al Teatro alla Scala di Milano?

È un sogno. Ci penso e ci ho sempre pensato, perché non mi do limiti: così come cantare nei teatri di New York e Londra, anche se La Scala resta sempre l’élite, nonostante in questi anni sia calata un po’.

Ci spieghi meglio.

Oggi è molto più importate l’aspetto, l’essere televisivo e avere una voce che piace a chi sceglie gli interpreti per una rappresentazione. Molte belle voci non vengono scelte perché non giuste. Poi ci sono delle lobby molto forti che incidono moltissimo. Il mondo della lirica è molto difficile e spesso si va avanti solo con le raccomandazioni. Ma lasciamo stare…

Qual è l’opera che le piace più interpretare?

La Tosca. In quest’opera ci sono delle musiche talmente belle che anche chi non si è mai avvicinato alla lirica, ascoltandola, si emoziona. Tosca, per me, è un’opera meravigliosa.

 

Lo spieghi a noi profani: che cos’è lo studio dello spartito?

Non è solo lo studio delle note, ma anche la storia, il personaggio, il perché fa quello, cosa voleva esprimere l’autore, quali sono le sue emozioni, i suoi pensieri… Un’opera non va solo eseguita, va soprattutto interpretata, si deve entrare appieno nel personaggio. Lo studio dello spartito è questo, una visione a 360 gradi dell’opera, e per questo serve un bravo maestro per avere le direttive giuste ed entrare nel profondo.

Cosa vuol dire per lei cantare?

Nel cantare noi ci consumiamo, siamo sul palcoscenico nudi e tiriamo fuori l’anima. Non è solo un eseguire. È questa la differenza tra un cantante e un esecutore: è facile trovare tanti esecutori, più difficile è trovare bravi cantanti, quelli che ti fanno emozionare quando li ascolti.

Pochi giorni fa se n’è andato il maestro Ennio Morricone… lo ha mai incontrato?

Purtroppo no. Resterà sempre tra i più grandi. Che musica, ragazzi! Con solo quattro note ha creato dei capolavori e ha lasciato musiche che resteranno eterne.

Ascolta musica pop?

Ascolto tutta la musica, di ogni genere.

Le piace la musica che circola in questo periodo?

Un periodo così basso, forse, non c’è mai stato, basta vedere quello che è stato presentato a Sanremo. Ci sono testi che passano in radio che sono terribili, senza parlare delle voci. Si sentono delle rime assurde e spesso mi chiedo: «Ma i cantautori del passato… li avranno mai ascoltati? Lucio Dalla, Mogol, tanto per dire i primi che mi vengono in mente, li avranno mai letti?». Basta leggere i testi per capire le differenze.

Non mi dica che non c’è nessun cantante che le piace…

Gli unici cantautori che apprezzo sono Max Gazzè e Brunori Sas.

E a livello vocale?

No, non c’è nessuno. Si punta più sull’immagine e sul personaggio che sulla voce, i talent hanno distrutto il mondo della musica invece di farlo evolvere. Il commercio comanda su tutto, devi essere un personaggio che piace al pubblico. Ahimè, non si punta più sulla voce.

Ha dei progetti in cantiere?

Nei prossimi giorni parto per un concerto nel nord della Polonia, poi andrò i primi di agosto ad Anghiari e poi a Castiglione del Lago. Piano piano abbiamo ripreso le nostre attività.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Genuina, sorprendente, unica.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

Pace.

La città di Terni ebbe una delle tipografie più prolifiche e rinomate del tempo, insieme al primo esperimento di illuminazione pubblica e alla linea telefonica. Ma soprattutto ebbe un uomo illuminato, lungimirante, con uno spirito imprenditoriale volto alla diffusione della cultura tra le masse: Virgilio Alterocca.

«Io Virgilio Alterocca da Terni di professione e vocazione insegnante, ma per le vicende della vita esercente di piccole industrie, grafiche e telefoniche». Con queste parole egli si identifica scrivendo le sue ultime volontà[1] e, con modestia, in poche parole riassume la sua vita professionale. Secondogenito di nove figli, Virgilio nasce a Terni da Ferdinando «caffettiere» e da Maria Angeli «donna di faccende»[2].

 

La passione per l'insegnamento

Malgrado la semplicità dei natali, si deve alla sensibilità della famiglia la prosecuzione delle scuole dopo le classi elementari -egli ottiene la licenza della Scuola tecnica nell’anno scolastico 1870-1871- e la frequentazione, negli anni 1868-1870, la Scuola di musica comunale, dove apprende a suonare il flicorno e il violino. In un primo tempo, ottenuta la patente normale, egli si dedica con passione all’insegnamento, divenendo nel 1878, a soli 25 anni, direttore delle scuole elementari della sua città, incarico dal quale sarà costretto a dimettersi per occuparsi della sua attività imprenditoriale nel 1883. All’istruzione dedicherà per tutta la vita grandissima attenzione, sia nei suoi incarichi di tipo politico nelle file dei socialisti, sia dalle pagine del suo settimanale, sia come privato cittadino. Noto è infatti il suo impegno all’interno della Società generale operaia che aveva come fine quello di «promuovere l’istruzione, la moralità e il benessere degli operai, affinché eglino pure possano cooperare efficacemente al miglioramento indefinito dell’umanità»[3] o il suo ruolo nel Comitato di beneficenza per l’istruzione e l’educazione popolare, comitato che «persuaso che non possa esservi vera civiltà in un paese finché esiste la categoria degli analfabeti, si prefigge di far quanto occorra per ottenere che la legge sulla istruzione elementare obbligatoria (promulgata da 13 anni, ma rimasta presso di noi lettera morta) abbia qui in Terni la sua completa applicazione»[4]. Quale assessore alla Pubblica istruzione del comune di Terni, egli fonda nel 1903 la Lega per l’istruzione popolare contro l’abbandono scolastico e dal 1904 egli si dedica in prima persona a far sì che a Terni venga istituita una Scuola professionale a servizio della grande industria, che vedrà attivati i primi insegnamenti a beneficio di 125 allievi nell’ottobre del 1909.

personaggi umbri

L'attività tipografica e le cartoline illustrate

Tuttavia, come anticipato, la passione per l’insegnamento si accompagna a una passione altrettanto profonda per un’altra attività a carattere più squisitamente imprenditoriale, ma anche artistico, come vedremo. Infatti, nel 1877 avvia la tipografia che sarebbe diventata per lui sinonimo di successo in Italia e all’estero. L’idea di una tale attività si deve probabilmente al padre Ferdinando, che già nell’anno 1871 figura quale libraio nell’elenco Librai, editori e tipografi italiani e in quell’anno è proprietario di un piccolo negozio di cartoleria. Virgilio, morto il padre, decide di seguirne le orme impiantando una nuova tipografia che nel 1886, grazie all’acquisto di due nuovi macchinari, è in grado di stampare 50.000 copie al giorno contro le circa 2.500 copie stampabili con i macchinari ordinari[5]. L’acquisizione di ulteriori e innovative tecnologie – di cui era probabilmente venuto a conoscenza nell’Esposizione di Berlino del 1893 – gli consentono, l’anno seguente, di vincere la medaglia d’oro all’Esposizione di Milano per un calendario réclame stampato in vari colori e poi, a partire dal 1897, di avviare su larga scala la produzione delle cartoline illustrate.
Dunque Virgilio Alterocca è uno dei primi a introdurre nel mercato italiano la cartolina illustrata, inventata soltanto l’anno precedente per le nozze del futuro re Vittorio Emanuele III con la principessa Elena. La prima cartolina della prima serie (composta di 18 vedute di Terni e dintorni) viene dedicata alla cascata delle Marmore, assoluta bellezza naturale del territorio ternano. Ben presto però alle meraviglie architettoniche e paesaggistiche umbre si affiancano altre cartoline dal tema artistico che riproducono – novità assoluta – gli atti salienti delle opere teatrali e liriche, nell’idea di permettere agli spettatori di portarsi a casa un pezzetto dello spettacolo, ma di consentire anche a chi non poteva assistere dal vivo di conoscere opere liriche e artisti. Con finalità principalmente didattiche, Virgilio Alterocca presta la propria opera anche ai capolavori della letteratura italiana quali La Divina Commedia[6], grazie a un accordo con i Fratelli Alinari a seguito di un concorso che vide vincitore il pittore Alberto Zardo, o I promessi sposi, serie stampata in numerosi esemplari a uso delle scuole.
Sempre affascinato dalle nuove invenzioni, mediante un accordo con i Fratelli Pathé di Parigi a partire dal 1904, lo stabilimento tipografico inizia a produrre cartoline illustrate con le scene più significative dei film dell’epoca. Ebbe invece minor fortuna l’invenzione della cartolina parlante, ossia la cartolina fonografica che, tramite «un piccolo ed elegante meccanismo» che registra la voce del mittente, permette al destinatario di riascoltare la voce registrata più e più volte. Fu lanciata per la prima volta nel 1905 proprio dallo stabilimento Alterocca.

 

Alterocca

Illustrazione della Divina Commedia

L'importanza della pubblicità

Nel dicembre 1883 Virgilio Alterocca fonda il settimanale «L’Annunziatore umbro-sabino» (che dal 1887 prenderà il nome di «Il Corriere umbro-sabino») allo scopo di esaltare il progresso industriale della sua città, dove nel 1881 era entrata in funzione la Fabbrica d’Armi e che vedrà, l’anno successivo, l’apertura delle celebri Acciaierie. Il primo numero del giornale coincide con il primo esperimento di illuminazione elettrica cittadina che, in pieno spirito positivista, viene esaltato con queste parole dalle pagine del settimanale: «Terni, la pronosticata Manchester d’Italia, è illuminata a luce elettrica!»[7]. Egli comprende con lungimiranza e capacità da imprenditore moderno l’importanza della pubblicità, come si evince dalla definizione che appare stampata su ogni numero del giornale, in quarta di copertina: «La pubblicità è la madre del commercio, della civiltà, del progresso. Ciò che non si conosce è come non esistesse. Essa è la fonte inesausta di ricchezza […] chi non crede alla pubblicità non crede alla luce»[8]. L’attività del settimanale cesserà quando Virgilio Alterocca preso da altre preoccupazioni lavorative (nel 1886 diviene gerente responsabile del teatro Politeama[9] e l’anno seguente sigla l’accordo con il Comune per la pubblicità e le affissioni) si renderà conto di non poter garantire al giornale la necessaria indipendenza intellettuale.

E telefono fu

È del 1884 un’altra idea vincente di Virgilio Alterocca, anch’essa improntata alla visione imprenditoriale di stampo moderno: a pochi anni di distanza dalla sua invenzione, egli decide di impiantare a Terni una delle prime linee telefoniche della cui espansione e importanza egli è assolutamente convinto: «Da principio, come accade di tutte le cose nuove, avremo chi troverà il telefono una istituzione superflua o prematura. Poi man mano che se ne verranno conoscendo in pratica i numerosissimi vantaggi, prenderanno il telefono perfino i facchini e i lustrascarpe. Lo vedrete»[10]. Partita con soli 50 abbonati, la rete si espande rapidamente, tanto che già nell’anno seguente può contare 72 abbonati e nel 1907 collega Terni a numerose città italiane[11].
Nel 1908 viene insignito dell’ambitissima investitura di Cavaliere del lavoro e della medaglia d’oro che il Ministero della Pubblica istruzione attribuiva agli insegnanti benemeriti. Si spegne dopo lunga malattia ad Arrone.

 


BIBLIOGRAFIA

Le notizie del presente articolo sono state in larga parte tratte dal volume di C. Armadori, Virgilio Alterocca (1853-1910). Biografia analitica con cenni sulla sua famiglia, Arrone, Thyrus, 2016 al quale si rimanda per una bibliografia esaustiva su Virgilio Alterocca.

 


[1] S. Marigliani, Il testamento segreto di Virgilio Alterocca, Terni, Stampa litografica Stella, 2012, p. 339.

[2] I mestieri dei genitori sono desunti dall’atto anagrafico del quinto figlio dei coniugi. Documento citato da C. Armadori, Virgilio Alterocca (1853.1910). Biografia analitica con cenni sulla sua famiglia, Arrone, Thyrus, 2016, p. 18.

[3] D. Ottaviani, L’Ottocento a Terni, pt. II, Terni, Arti grafiche Nobili, 1984, p. 98.

[4] «Il Corriere umbro-sabino», 30 ago. 1888. Citazione tratta da C. Armadori, cit., pp. 74-75.

[5]  «L’Annunziatore umbro-sabino», 21 gen. 1886. Citazione tratta da C. Armadori, cit., p. 134.

[6] Sul tema si veda P. De Angelis, Divina Commedia. Le cartoline illustrate di Virgilio Alterocca, Terni, Dalia, 2014.

[7] «L’Annunziatore umbro-sabino», 27 dic. 1883. Citazione tratta da C. Armadori, cit., p. 101.

[8] Citazione riportata da C. Armadori, cit., p. 135.

[9] Nel 1886 Virgilio Alterocca acquista tramite una società la fatiscente Arena Gazzoli che ristruttura completamente fino a farla diventare un moderno teatro che grazie all’impresario Ciro Scognamiglio presenterà un interessante cartellone. Il Politeama verrà ceduto alla Cassa di Risparmio di Terni nel 1894.

[10] «L’Annunziatore umbro-sabino», 30 dic. 1886. Citazione tratta da C. Armadori, cit., p. 139.

[11] Albano, Ancona, Arezzo, Avellino, Bologna, Caserta, Castellammare di Stabia, Cava, Firenze, Foligno, Forlì, Frascati, Genova, La Spezia, Napoli, Nocera Inferiore, Perugia, Pesaro, Roma, Salerno, Scafati, Tivoli, Torino, Torre Annunziata e Torre del Greco.