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Luciano Loschi, Presidente dell’Accademia Umbra delle Erbe Spontanee e dell’Accademia Italiana Piante Spontanee, da diversi anni svolge attività di divulgazione e di formazione sulla cultura etnobotanica e naturalistica. Come micologo e presidente del Gruppo Micologico Naturalistico Folignate, organizza inoltre numerosi corsi di qualificazione legati al mondo dei funghi. Abbiamo parlato di valorizzazione del territorio, di riscoperta delle tradizioni e di alimenti del futuro – neanche a dirlo – davanti a un bel piatto di misticanza appena raccolta.

Luciano, come nasce la sua passione per le erbe spontanee? C’è stato qualcuno che le ha insegnato i “trucchi del mestiere” o è solo una formazione da autodidatta?

La mia passione nasce dalla post adolescenza, quindi cinquant’anni fa, quando mia nonna – che era residente a Forcatura, nell’Oasi Naturalistica di Colfiorito – mi cucinava le erbe selvatiche del posto. Saltava in padella i cosiddetti grugni amari (Crepis vesicaria) insieme alla patata rossa di Colfiorito per addolcirli; con gli strigoli (Silene vulgaris) e le casselle (Bunias erucago) era solita preparare uno squisito ripieno per i ravioli, fatti in casa con le farine ottenute dai grani del luogo.

 

Com’è nata l’Accademia Umbra delle Erbe Spontanee? Quali sono le sue finalità?

La mia passione per tutto ciò che ci offre la natura, in modo democratico e a costo zero, è continuata con l’interesse per i funghi e per la micologia. Poi, circa 15 anni fa, insieme ad alcuni amici del territorio spellano e folignate, ho fondato l’accademia, seguita, nel 2018, dall’Accademia Italiana Piante Spontanee, nata grazie alla collaborazione di riconosciuti professori di botanica ed etnobotanica dell’Università degli Studi di Perugia e di quella di Camerino. La mia formazione da insegnante ha facilitato la divulgazione del mondo naturalistico, nonché della cucina rurale, che è un’altra mia passione. Oggi, oltretutto, a seguito di evidenze scientifiche che ci confermano quanto le nostre nonne ci raccomandavano per l’uso medicinale di tali erbe, associamo alla conoscenza di queste piante selvatiche il loro uso in cucina e l’esaltazione del loro aspetto nutrizionale. Le finalità dell’Accademia sono infatti quelle di divulgare la cultura naturalistica: argomento che, inizialmente, aveva raccolto l’interesse di centinaia di soci del nostro Gruppo Micologico Folignate: fu proprio su loro richiesta decidemmo di iniziare a conoscere meglio le erbe spontanee del nostro territorio, quello umbro.

 

C’è qualche progetto in via di svolgimento di cui le piacerebbe parlarci?

Il progetto su cui stiamo lavorando è quello della creazione di una Casa Comune dei Semi delle Spontanee Circolari, in cui i semi, come dice il nome, circolino tramite lo scambio gratuito. L’utente porterà i suoi in una bustina, con la data di raccolta, le coordinate geografiche del luogo di raccolta, il nome scientifico della specie e il tipo di terreno. In cambio, riceverà una bustina di semi a sua scelta tra quelli disponibili nella Casa Comune. Ciò consentirà, all’Accademia Italiana Piante Spontanee, di creare una banca dati a uso e consumo degli appassionati.
L’obiettivo non è solo quello di far conoscere, ma anche di incrementare la biodiversità del territorio umbro. Inoltre, la Casa Comune ha le carte in regola per diventare uno strumento utilissimo per l’agricoltura: in territori svantaggiati, la presenza di queste piante e dei relativi fiori potrà portare allo sviluppo di un’agricoltura sostenibile, coinvolgendo nuove generazioni di agricoltori e dando un apporto importante anche all’apicoltura. Per esempio, c’è una pianta spontanea poco conosciuta, la Inula viscosa, che è un ottimo deterrente naturale per la varroa, un acaro altamente nocivo per le api.

 

Molti ignorano le erbe spontanee declassandole a erbacce. Altri non le hanno mai prese in considerazione perché sembrano appartenere a un passato contadino ormai superato. Perché, secondo lei, la conoscenza delle erbe spontanee si è persa? E come si potrebbero invogliare le persone a riscoprirle e ad apprezzarle?

A mio avviso, la conoscenza di queste piante si è persa con l’avvento dell’industria agroalimentare. Fino a quel momento, queste erbacce venivano chiamate piante alimurgiche: alimurgia è un termine inventato dal medico, botanico fiorentino Giovanni Targiotti Tozzetti il quale, tre anni dopo la carestia che aveva colpito Firenze nel 1764, pubblicò un trattato chiamato De alimentia urgentia, con sottotitolo Alimurgia, dalla fusione di alimentia e urgentia. In questo volume, portava il pubblico a conoscere una serie di erbe spontanee che potevano essere usate durante le carestie, le guerre, la povertà e le disgrazie.
Oggi per sfamarsi non sono più necessarie, ma rappresentano un cibo di frontiera per la sostenibilità ambientale: si tratta dei cosiddetti superfood, alimenti che contengono principi attivi, sali minerali e vitamine essenziali per il benessere del nostro organismo. Va sottolineato, oltre all’impatto nutrizionale, anche quello nutraceutico, poiché queste piante erbacee, con il loro fitocomplesso, ci danno l’opportunità di ingerire la parte nutraceutica, in grado di fungere da medicina per il nostro organismo. Ne sono un esempio la silimarina contenuta nel cardo mariano e l’inulina contenuta nelle radici delle piante della famiglia delle Asteraceae, come la cicoria (Cichorium intybus). Nel caso della cicoria, per esempio, la sua fibra regolarizza il transito intestinale, contribuendo alla regolazione della glicemia: è quindi consigliata per i diabetici per incrementare il rapporto di fibra e nutrire, come prebiotico, la parte buona del sistema immunitario, come i lattobacilli e i bifidobatteri.

 

 

La conoscenza delle erbe include anche una certa dimestichezza nei dialetti, che presentano variazioni importanti anche tra zone limitrofe. L’esperto di erbe deve essere anche un dialettologo? Come fa a destreggiarsi tra i mille nomi delle erbe?

Nelle erbe, anche i nomi volgari hanno un proprio significato etimologico, che dipende da come le varie civiltà hanno spiegato il loro significato, spesso mutuato da tradizioni e detti locali. Ma c’è un solo nome valido a livello planetario, che soddisfa le regole della nomenclatura binomiale – composta da famiglia, genere e specie – introdotta dal medico botanico svedese Linneo negli anni Cinquanta del 1700. È proprio con questo sistema che Linneo riuscì a classificare tutti gli esseri viventi del nostro pianeta, rappresentandoli attraverso un albero tassonomico di tipo gerarchico, specifico per piante, funghi e animali.

 

Quali sono le sue erbe spontanee preferite? Ne bastano tre.

La mia preferenza è determinata in primis dall’aspetto culinario, seguito da quello nutrizionale, tenendo conto dell’apporto di metaboliti secondari, sali e vitamine di cui l’organismo sente il bisogno in determinati periodi. Al primo posto, per me, c’è l’aglio orsino (Allium ursinum), al secondo il caccialepre (Reichardia picroides) e al terzo il mastrice o ginestrella (Coronilla juncea).