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«Il compito di un arbitro è quello di far parte dello spettacolo e quello di non farsi ricordare»

Queste le parole di Fabrizio Saltalippi, perugino di 55 anni, di cui trentanove passati con il fischietto al collo ad arbitrare partite di pallavolo. Gli restano solo tre mesi di attività, poi se ne andrà in pensione, ma nel suo palmarès ci sono 500 gare in serie A, 180 gare internazionali, tre Europei e due Mondiali. Una vera eccellenza umbra di questo sport.

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Fabrizio Saltalippi, 55 anni

Qual è il suo legame con l’Umbria?

È un legame fortissimo. Sono nato e cresciuto a Perugia, e tuttora ci vivo. Anche se sono vent’anni che lavoro fuori, sia in Italia sia all’estero, non ho mai pensato di lasciare questa città. Non me ne andrei per nulla al mondo.

Lei, lo scorso agosto, è stato designato per arbitrare la partita inaugurale del Campionato Europeo di Pallavolo in Polonia: come si affronta – psicologicamente e fisicamente – un evento del genere?

Questa partita è stata importante per due motivi: il primo perché era la gara inaugurale di un Europeo, quindi aveva un impatto mediatico di alto livello e grande importanza; il secondo perché la Polonia ha avuto la brillante idea di giocarla – per battere il record di presenze – nello stadio di calcio di Varsavia, davanti a un pubblico di sessantacinquemila spettatori. Un ambiente del genere, ovviamente, mette pressione, quindi conta molto il nostro allenamento, che ci aiuta a mantenere la concentrazione e a gestire l’ansia. Durante la partita ti senti responsabile di quello che accade e speri che tutto vada nel modo migliore. In quell’occasione andò tutto liscio, anche se la Polonia perse 3-0 contro la Serbia. Mi ricordo che i primi 5 o 6 punti furono un po’ difficili, poi è iniziata la routine e la partita si è trasformata in una normalissima gara, una delle tante arbitrate.

È un veterano di questi eventi, ha rappresentato l’Italia in tre Europei e due World Cup: cosa pensa quando entra in campo durante queste manifestazioni?

Non ho mai sentito lo stress e la tensione prima di una gara, ma solo la voglia di scendere in campo e il piacere di divertirmi e far divertire. Il compito dell’arbitro è quello di far parte dello spettacolo, di dare la possibilità al pubblico di godere di una bella partita, il tutto senza farsi notare. Se un arbitro, a fine gara, non viene ricordato vuol dire che ha fatto un ottimo lavoro.

Quando toglie la divisa stacca col mestiere di arbitro, oppure ripensa a qualche eventuale errore o decisione presa durante una gara?  

Appena si toglie la divisa c’è un calo di tensione e l’adrenalina si libera, ma non si smette di pensare alla gara, anzi, avviene la revisione critica. Riguardo il video della partita per vedere se e dove ho sbagliato: in particolare mi concentro sulle situazioni contestate in campo perché, se sono effettivamente degli errori, mi servono per crescere ed per evitare di ripeterli, se invece la mia decisione era corretta è una gratificazione personale, e anche quella aiuta molto.

La pallavolo in Umbria, soprattutto a Perugia, ha seguito e sta ottenendo buoni risultati: possiamo considerarla un’eccellenza del territorio?

La pallavolo è sicuramente un’eccellenza, basta pensare a tutto quello che ha vinto in passato la Sirio Perugia o a quello che sta facendo ora la Sir Safety Umbria Volley. Occorre però potenziare le serie minori, ripartendo dalle fondamenta.

Come ad esempio i settori giovanili?

Esatto. Questo è fondamentale. Vanno attirati i giovani, distratti purtroppo dal calcio. Una volta un ragazzo che superava il metro e ottanta giocava per forza a pallavolo, ora invece, può giocare anche a calcio. Questo sport ne risente.

Un consiglio a un giovane che vorrebbe iniziare la carriera di arbitro.

Amare questo sport, quasi più di un giocatore, al di là degli obiettivi che si possono raggiungere. Avere passione, entusiasmo e la voglia di entrare a far parte del gioco stesso. L’arbitro non è un’entità staccata, fa parte della partita e dello spettacolo a tutti gli effetti.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Verde, unica, splendida.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

Le bellezze architettoniche. Quando all’estero mi domandano dove abito, mi rendo conto che in pochi conoscono l’Umbria, allora gli spiego che questa è la terra degli Etruschi, un popolo più antico di quello romano. Spero di incuriosirli…

«La partita che mi ha dato più soddisfazione arbitrare? Quella a favore di terremotati di Norcia».

Più di 200 partite in serie A, arbitro internazionale dal 2007 – il 2017 è stata la sua ultima stagione per raggiunti limiti d’età – 17 anni di attività con l’esordio nella massima serie nel 2003 e arbitro “Élite Uefa” dal 2012. Questi i numeri di Paolo Tagliavento di Terni, sicuramente il fischietto più rappresentativo dell’Umbria e non solo. In campo ha l’aria severa che serve per mettere in riga i 22 giocatori, nel parlarci, invece, è una persona disponibile e simpatica. Un umbro orgoglioso della sua terra.

 

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Paolo Tagliavento

Qual è il suo legame con l’Umbria e con Terni?

È un legame molto forte, perché sono nato, cresciuto e vivo tutt’ora a Terni. Amo la mia regione e sono molto attaccato alle persone con cui ho vissuto e che hanno fatto parte della mia infanzia.

Pensa che l’Umbria sia una regione in “fuori gioco”, tagliata fuori rispetto ad altre realtà?

Per la posizione che ha, è un po’ tagliata fuori a livello di infrastrutture. Io ad esempio, uso spesso la macchina per i miei spostamenti. Fiumicino non è lontano, quindi mi capita anche di prendere l’aereo quando ho partite lontane, mentre per quanto riguarda il treno non è proprio comodissimo. Per certi versi il suo essere un po’ fuori, può essere un vantaggio, perché conserva la pace e la tranquillità che la caratterizzano.

Se l’Umbria fosse una regola del calcio, quale sarebbe?

Il vantaggio. Che è una norma e non una regola, ma che quando la puoi applicare il gioco è sicuramente più vivace. Il vantaggio dell’Umbria sono i suoi paesaggi, il cibo e la vita in generale che si respira qui.

C’è una partita che avrebbe sempre voluto arbitrare e non lo ha ancora fatto?

Potrei dire la finale del Mondiale, perché è il sogno di qualsiasi arbitro e in pochi ci arrivano. Invece dirò la partita che più mi ha dato soddisfazione arbitrare: una gara di beneficenza dopo il terremoto del 2016, che si è disputata a Norcia tra gli attori e il personale della protezione civile. È stato qualcosa di concreto per l’Umbria e mi ha reso molto orgoglioso.

Gli umbri sono accusati di essere chiusi, si riconosce in questo stereotipo? Glielo hanno mai fatto notare?

No, non mi è mai successo. Forse nella parte Nord dell’Umbria sono più chiusi rispetto a Terni, che risente dell’influenza del carattere romanesco.

Ci sono in Umbria giovani arbitri che potrebbero arrivare ai suoi livelli?

C’è un’ottima scuola di assistenti arbitrali, che sono arrivati a buoni livelli. Per quanto riguarda gli arbitri in Lega Pro e serie D c’è qualcuno per potrebbe fare strada.

Cosa gli consiglierebbe?

Gli consiglierei di dare il massino, sempre. Di avere passione e di fare sacrifici, perché solo così si può arrivare a determinati livelli. La passione è il motore trainante, ma non basta. Ci vuole anche impegno e fame di raggiungere l’obbiettivo. Questa professione va messa un po’ davanti a tutto. L’imbuto è molto stretto e in pochi arrivano in serie A. Ma gli consiglierei anche di divertirsi e di godesi la propria passione.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Bella, unica, poco aperta di mentalità.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

Serenità.