fbpx

Scoperto un nuovo tabernacolo di “El Greco”

Una straordinaria scoperta è avvenuta nell’ambito della pittura di Domínikos Theotokópoulos – El Greco – referente al suo problematico quanto indagato periodo italiano dal 1567 al 1576, periodo nel quale il pittore greco della Candia veneziana, nato nel 1541, lavora tra Venezia e Roma per poi andare definitivamente a Toledo dove morirà nel 1614.

Un tabernacolo stupefacente è emerso dalle collezioni della preziosa Pinacoteca di Don Vincenzo Catani che solo qualche anno fa lo aveva restaurato e pubblicamente esposto. L’opera fa parte della serie numerosa di tabernacoli veneto-­cretesi identificati e sottoposti allo studio dopo il primo caso del 2014 a Bettona. Il tabernacolo di Bettona ha ora il suo doppio che ancora più esplicitamente rivela il genio di El Greco. Così quello di Montefalco conservato nella chiesa di S. Maria Maddalena, che ha due Evangelisti raffigurati, tratti dallo stesso disegno di quelli di Bettona. Ora in quello ritrovato a Castignano, si presentano tutti e quattro insieme, quasi nello stesso ordine, Matteo anticipa Marco, con questa qualità pittorica più evoluta e più facile, è una consolante sorpresa per chi aveva sempre creduto nell’autenticità di quello di Bettona.

 

Il tabernacolo

Visto da vicino…

Il tabernacolo di Castignano misura in altezza cm.48,5 e in larghezza cm.56,5. La portella è un vero capolavoro, Padreterno compreso. A cominciare dal Mosé che, scolpito nel sarcofago fatto con due soli colori e uno sfumato per imitare la grisaille, mostra un saggio di abilità, fretta, nervosismo e sprezzatura che non ha eguali intorno al 1570. È un assoluto tecnico, non è disegno, non è propriamente pittura, è una elgrechità e basta! Quel naso semita e quella barba sono il riassunto più concentrato che un’immagine possa avere. Il corpo possente e morto di Cristo con l’anatomia perfetta, come la piega dell’ombelico e l’ombra esatta del naso, dell’occhio e dei baffi, sono tocchi magistrali e notevoli!

San Luca

I due Angeli dai capelli corti, molto scultura veneta tipo Vittoria e Campagna, con i gesti forti e sicuri, sono commoventi e quello a destra così pensoso e inconsolabile, con la veste tormentata e le ali gocciolanti di colore e di lacrime, è indimenticabile e nuovo: non comprende e disprezza la morte di un Giusto. L’altro angelo invece osserva da vicino l’inerte cadavere del Dio Uomo e sorregge la mano destra di Cristo, forse consapevole della prossima Resurrezione, come anche indicherebbe la sua bianca ala indicante il Paradiso. L’ala bianca, ora trasparente, si è consunta ed è stata assorbita dal legno della croce; qui nessuna metafora, ma solo l’azione dei pigmenti nei 450 anni di vita materiale. La torsione del corpo di Cristo, che permette al pittore un forte chiaroscuro scultoreo, e la mano pendente è un’evocazione della scultura dell’amato e odiato Michelangelo.

L’autoritario Eterno Padre, calvo e corrucciato, sia per la morte del Figlio che per la titubanza di Mosé, è un tipo preso dal Tintoretto a San Rocco e dall’Assunta di Tiziano ai Frari, è risolto con fulminea pennellata e intenso colore! Chi si poteva permettere di guardare dall’alto anche il Padreterno? Tintoretto, El Greco e San Juan de la Crux!

Il San Luca, mancino, è il primo a sinistra, penso a un autoritratto, con quella frangetta rara; ha il naso lungo e aquilino e la bocca socchiusa che sembra aver inumidito da poco il pennello, ha grandi e forti mani e braccia possenti, procede sui sandali con i piedi perfetti e sorride. Vivace il manto rosso con bordura sagomata attraversato dalla stola color zucca. Il rovinato e calvo San Giovanni, naso grosso e occhietto vispo, ha il pesante volume chiuso, ma la leggera aquila è vigile, splendida la verde manica rimasta!

San Matteo ha un volume enorme e chiuso, con la destra ha un pennello, tizianeggia nell’arguto e stempiato profilo; l’angelo che si gira guarda nella stessa direzione, ha un seno scoperto e intanto gli tiene il calamaio. Notevole è il manto rosso che sul ginocchio mostra un bordo lobato, sopra, la mano è potente! Marco è tutto monumentale, il più conservato dei quattro, mani nervose e perfette, testa pensosa e viva, notevole l’ombra delle ciglia e la concretezza sanguigna del colore.

 

San Marco

Luca e Marco, posti agli estremi del tabernacolo, vivono in uno spazio più stretto rispetto a Giovanni e Matteo: il prezioso tabernacolo dorato e colorato quasi a smalto doveva essere in aggetto sopra l’altare per mostrare bene le 5 facce istoriate.

I cherubini piccoletti, umorali, corrucciati e pensosi, sono minuscoli nello spazio nuvoloso del timpano, il colore perlaceo del cielo, un tempo azzurro di smaltino, doveva farli volare in primo piano come farfalle. Sono dipinti con una rapidità e sicurezza degni del miniaturista El Greco, qui evidente allievo di Giulio Clovio, suo maestro e protettore in Palazzo Farnese a Roma.

Il Tabernacolo di Castignano è esagonale, con cinque lati dipinti e sempre del medesimo disegno ligneo, forse con cupola, come doveva essere quello di Bettona. È stato restaurato dignitosamente sia nelle parti lignee che nella pittura dove si vede il tratteggio, e l’insieme è di grande impatto e di soddisfazione estetica. Malgrado la prevalenza dell’architettura e degli spazi chiusi delle porte e dei timpani, le figure vivono, camminano fluenti, si torcono dal dolore, volano e ammiccano al fedele.