«L’Umbria? Il suo punto di forza è la concretezza e il carattere solido; la sua debolezza è la troppa chiusura».
Giuliano Giubilei, perugino DOC, giornalista ed ex vicedirettore del Tg3, racconta la sua Perugia, dove è nato e dove ha mosso i primi passi da cronista di Paese Sera; la città con la quale mantiene un forte legame, nonostante i quanrant’anni di lontananza: «Vivo a Roma da tanto tempo, ma non dimenticherò mai il vento di Tramontana in Corso Vannucci. Il rapporto con questi luoghi non si è mai interrotto: un perugino resterà sempre un perugino, anche se vive da tanti anni in un’altra città».
Quindi non posso che farle come prima domanda: qual è il suo legame con questa regione?
Sono nato a Perugia e, nonostante non viva più in città da circa quarant’anni, ho mantenuto un forte legame: ho un rapporto con questi luoghi che non si è mai interrotto. A Perugia ho avuto le mie prime esperienze, anche lavorative; ho avuto i miei primi amici e ho vissuto la mia formazione di uomo: dopotutto, quando sono andato via avevo venticinque anni. Chi nasce in Umbria resta umbro per sempre, anche se da anni vive in un’altra regione: un perugino di nascita non diventerà mai un romano d’adozione.
Lei è presidente del Festival delle Nazioni di Città di Castello: che importanza hanno questo tipo di manifestazioni per la regione?
Sono importantissime, fanno conoscere l’Umbria in Italia e nel mondo. Tre su tutte sono fondamentali: parlo di Umbria Jazz, del Festival dei Due Mondi di Spoleto e del Festival delle Nazioni di Città di Castello. Sono le manifestazioni meno provinciali, che rendono il territorio vivo e che gli permettono di uscire dal confine e farsi apprezzare al di fuori. Il Festival delle Nazioni, ad esempio, punta – con la sua formula – a far conoscere musicisti internazionali dei quali, altrimenti, non avremmo potuto apprezzare la musica. Ogni edizione è dedicata a una nazione e questo permette di portare in Umbria artisti che altrimenti non sarebbero mai venuti. Il festival è anche molto frequentato da stranieri, che in estate abitano l’Alta Valle del Tevere e tutta la regione.
Com’è andata questa ultima edizione?
Un vero successo! Lo scorso anno abbiamo festeggiato i cinquant’anni con un numero di spettatori e d’incassi da record. Beh, quest’anno è andata ancora meglio. La prossima edizione sarà la dodicesima sotto la mia direzione e pensiamo di ospitare la Cina. In passato solo in due occasioni siamo usciti fuori dall’Europa, ospitando Israele e Armenia. Con la Cina vogliamo espanderci ancora di più.
Cosa serve all’Umbria per fare quel salto in avanti e togliersi la nomea di sorella minore della Toscana, sia in campo infrastrutturale sia in quello culturale?
Non trovo che l’Umbria sia la sorella minore della Toscana, non è inferiore a nessun’altra regione. La politica regionale ha investito molto nella cultura e nel favorire i vari festival ed eventi; ovviamente si può sempre fare di più. Per quanto riguarda le infrastrutture, il servizio ferroviario va sicuramente potenziato: Roma sembra lontanissima, in più – oltre al fatto che ci vogliono due ore e mezzo per raggiungerla da Perugia – alla stazione Termini il binario d’arrivo si trova a 700 metri dal terminal. Qualche giorno fa sono venuto a Perugia con il treno; al ritorno ci hanno fatto scendere al binario est e ho fatto quasi un chilometro a piedi per arrivare alla metropolitana: praticamente è come se fossimo scesi a Orte (ride). Inoltre, si deve puntare a migliorare anche l’aeroporto: l’Umbria non si può isolare!
Con l’occhio da giornalista, qual è il suo parere su Perugia e sulla regione? Quali sono i suoi punti di forza e le sue debolezze?
La sua più grande debolezza è la sua chiusura. Le racconto un aneddoto: mi sono laureato in Storia Contemporanea con la professoressa Fiorella Bartoccini, che era un nome prestigioso e un personaggio di spicco all’Università di Perugia. Un giorno mi disse: «Sai che non sono mai stata invitata a cena da un perugino?» Questo è per far capire cosa intendo per chiusura. L’Università stessa ha perso, nel corso degli anni, nomi di alto livello tra gli insegnanti. Tra i punti di forza invece c’è il carattere concreto e solido degli umbri. I perugini, in particolare, non vogliono essere servi di nessuno. Si direbbe che non vogliono stare sotto padrone.
Ha qualche aneddoto legato al suo lavoro e a Perugia?
Vi racconto la mia super raccomandazione per iniziare a fare il giornalista. Nel 1973 sono entrato a Paese Sera: la testata aveva una sede locale e con me muovevano i primi passi in questo settore Lamberto Sposini, Alvaro Fiorucci e Walter Verini. Un giorno, mentre passeggiavo per Corso Vannucci, un mio amico mi disse: «Mi hanno preso a lavorare come giornalista a Paese Sera ma a me non piace, non è che vuoi andare al mio posto?» Ovviamente, accettai al volo. Ecco la mia raccomandazione! Mi occupavo prima di cronaca giudiziaria, poi di politica comunale. Perugia, negli anni Settanta, era una città molto vivace, piena di cultura; c’era un rapporto stretto tra la comunità e gli stranieri presenti. Poi ha avuto un cambiamento fisiologico come tutte le altre città italiane, ma deve tornare a ricoprire il ruolo di capoluogo di una regione importante, sia in abito culturale sia sociale.
Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?
Chi viene vuole sempre tornare, serena e con paesaggi modellati dall’uomo.
La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…
Le mattine fredde, sferzate dalla Tramontana in Corso Vannucci.
Agnese Priorelli
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