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ยซI miei clienti sono prevalentemente turisti inglesi, gente facoltosa che ha una seconda casa in Italia o che lโ€™affitta per un breve periodoยป.

Alessio Berionni

Il giovane chef Alessio Berionni, classe 1991, ha le idee ben chiare su quello che vuole: ยซNon aprirรฒ mai un ristoranteยป. Partito da Gualdo Tadino dovโ€™รจ nato, dopo varie esperienze in Inghilterra, รจ tornato in Italia per diventare un personal chef, uno chef privato che si affitta per un certo periodo di tempo o per un evento privato. ยซPenso a tutto io, dalla ricerca delle materie prime locali, alla pulizia dopo ogni pastoยป.

 

Ci spieghi come prima cosa, che cosโ€™รจ un personal chef?

Si tratta di uno chef privato che lavora su chiamata e che รจ disponibile per tutto il periodo della vacanza del turista, sia italiano sia straniero. รˆ un servizio a 360 gradi, dalla spesa alla pulizia finale della cucina e della tavola.

Chi sono i suoi clienti?

Prevalentemente sono turisti inglesi, gente abbastanza facoltosa che ha una seconda casa in Italia o che lโ€™affitta per un breve periodo. Mi occupo della colazione, pranzo e cena; oppure semplicemente di preparare una cena per un particolare evento.

Ci puรฒ svelare qualche nome?

Da poco ho lavorato per lโ€™attore Marco Filiberti, ma piรน che altro sono persone straniere del mondo della finanza e dellโ€™imprenditoria.

Cosa racconta la sua cucina?

Racconta il mio viaggio dallโ€™Italia โ€“ in particolare dallโ€™Umbria e dalla Toscana โ€“ fino allโ€™Inghilterra. Racconta la semplicitร  della cucina umbra rivisitata da incursioni inglesi.

 

Anatra e barbabietole

Qual รจ il piatto che la contraddistingue maggiormente?

Sicuramente il Pork belly (la pancia di maiale della cinta senese) preparato in stile britannico. รˆ un piatto che faccio di frequente.

Si parla spesso di cucina moderna e tradizionale, quale predilige?

Il mio รจ uno stile contemporaneo,ย  ma rimango comunque fedele alle tradizioni che ogni territorio trasmette.

Ha mai pensato di aprire un ristorante tutto suo?

Assolutamente no, perchรฉ vedo tanti colleghi che passano lโ€™intera giornata nel ristorante, trasformandolo nella loro prima casa. Nel mio caso decido come organizzarmi e sono piรน libero. Quando ho lavorato nei ristoranti ero lรฌ 18 ore al giorno e vedevo pochissimo la mia famiglia.

Come si descriverebbe?

Sono una persona molto pignola e precisa, mi piace portare a termine velocemente quello che faccio. Ovviamente ho una grande passione per la cucina.

รˆ una passione che ha fin da piccolo?

Ha preso vita nella cucina di mia nonna, dove ogni domenica la guardavo impastare e chiudere i cappelletti con assoluta precisione e attenzione ai sapori semplici e perfetti. Mi sono diplomato allโ€™istituto alberghiero di Assisi e ho iniziato a lavorare nei migliori ristoranti della mia zona. Mi piaceva molto anche giocare a basket, ma ho deciso di lasciarlo per andare in Inghilterra: lรฌ ho iniziato a lavorare in un ristorante italiano, dove ho fatto la gavetta, poi sono approdato in un ristorante inglese, fino ad arrivare in quelli stellati, come Gringling Gibbons (3 stelle Michelin) e Stapleford Park – luxury country house (2 stelle Michelin). Ho lavorato al fianco di Alaine Ducasse e Gordon Ramsay. Nel 2019 con in mio bagaglio culturale, lavorativo e una famiglia sono tornato in Italia e mi sono messo in gioco come personal chef.

 

Piccione affumicato con frutti di bosco

Cosa consiglierebbe alle nuove generazioni del settore?

Prima cosa di viaggiare e di vivere la cucina con passione senza trascurare la vita privata: รจ quella che ci permette di essere veramente realizzati. Il successo non รจ farsi conoscere dai media o dalle varie guide gastronomiche, ma รจ sentirsi soddisfatti dopo aver creato qualcosa che veramente rispecchia quello che sei e che fai!

Quali sono i suoi progetti futuri?

Quando ho iniziato il mio viaggio culinario mi ero promesso di scoprire ogni ingrediente, penso di essere al 60% e quel 40 che manca รจ il carburante che mi manda avanti. Quando cucino รจ come se avessi una tela bianca che cerco di riempire nel miglior modo possibile. Cucinare per me รจ un modo per viaggiare, rilassarsi e sparire allo stesso tempo; in futuro vorrei andare avanti come personal chef e migliorare in ogni aspetto, sia culinario sia di vita privata.

 


Per saperne di piรน

Molti conosceranno i maccheroni dolci, tipico dolce della Vigilia: non solo di Natale, ma anche di quella dei Santi, a novembre. Si usa, infatti, pasta senza uovo, che viene poi arricchita con noci, miele, pangrattato e cacao.
La variante che vi proponiamo รจ una vecchia ricetta che vede i maccheroni protagonisti di un pasticcio, riportato nella quarta edizione di Un secolo di cucina umbra di Guglielma Corsi, che forse non รจ adatto per la Vigilia, ma senza dubbio farร  la sua figura alla fine di un pranzo in compagnia.

Ingredienti

  • 330 g di farina
  • 100 g di zucchero
  • 100 g di strutto
  • 160 g di maccheroni
  • cannella, vino o rum q.b.

Il panpepato di Terni, che ha ottenuto nel 2020 la denominazione Igp, รจ un dolce natalizio che risale al 1500, ma sembra abbia origini ancora piรน antiche. รˆ un piatto della tradizione contadina, tipico delle feste perchรฉ lโ€™acquisto degli ingredienti, soprattutto le spezie, era molto oneroso. Il panpepato viene preparato dai ternani rigorosamente lโ€™8 dicembre, giorno dellโ€™Immacolata Concezione e ogni famiglia ha una propria rivisitazione e questo lo rende un dolce tipicamente popolare.

 

Ingredienti

  • 75 g di noci
  • 75 g di mandorle
  • 75 g di nocciole
  • 75 g di uvetta
  • 150 g di miele
  • 75 g di cioccolato fondente
  • 1 cucchiaino di cannella
  • 60 g di canditi
  • Pepe nero q.b.
  • 175 g di farina 00
  • Noce moscata q.b.

 

Preparazione

Mettete in ammollo lโ€™uvetta. Grattugiate il cioccolato e sminuzzate (non troppo finemente) le noci, le mandorle e le nocciole. In un contenitore medio-grande raccogliete la frutta secca che avete in precedenza sminuzzato e aggiungete, mescolando con un mestolo, il cioccolato grattugiato e i canditi. Scolate lโ€™uvetta e unitela al resto della frutta secca, insieme alla cannella, alla noce moscata e al pepe. Scaldate il miele e unitelo alla frutta secca e al resto degli ingredienti, continuando a mescolare bene. A questo punto, aggiungete la farina setacciata e mescolate il contenuto. Quando il composto avrร  assunto una forma omogenea, realizzate due panetti di dimensioni uguali e infornateli per circa 20 minuti a 170 gradi. Dopo 20 minuti sfornate i due panetti e lasciateli raffreddare. Consigliamo di far passare almeno 24 ore prima di servirlo.

 


Ricetta tradizionale da Umbria Turismo

Ingredienti per 4 persone:

  • 800 gr. di frattaglie di vitello (cuore, fegato, polmone)
  • 1/2 cipolla
  • mezzo bicchiere scarso dโ€™olio
  • mezzo bicchiere di vino bianco
  • sale
  • pepe
  • 300 gr. di pomodoro.

 

Preparazione

Lavate bene le frattaglie, tagliatele a pezzi regolari e ponetele in una teglia; aggiungete cipolla tritata ed affettata sottile e condite con olio. Fate rosolare per 5 minuti a fuoco vivo, sfumate con il vino e aggiungete il pomodoro, il sale e il pepe; quindi portate lentamente a cottura, se necessario allungate con acqua calda.

 


da Un secolo di cucina umbra di Guglielma Corsi.

Ingredienti

  • 2 palombe
  • due spicchi dโ€™aglio
  • due rametti di rosmarino
  • un ciuffo di salvia
  • due fette di cipolla
  • tre cucchiai di olive nere essiccate al forno e snocciolate
  • circa mezzo litro di vino rosso
  • una spruzzata di aceto di vino
  • olio extravergine di oliva
  • sale

 

 

Preparazione

Una volta che le palombe sono spennate e private del gozzo vanno sviscerate e le interiora ben pulite. Sminuzzare poi sul tagliere gli odori, lโ€™aglio, la cipolla, le olive e le interiora delle palombe. Chi ha un camino e tempo a disposizione, potrร  rinnovare un rituale secolare mettendo il preparato a cuocere sul fuoco in un tegame di rame allungato (la leccarda) con dellโ€™olio, vino rosso di buon corpo, sale e una manciata di pepe nero. Sopra disporre le palombe allo spiedo e spennellate frequentemente con il sughetto della leccarda dove, una volta filtrato il composto, le palombe finiranno di cuocersi. Chi non ha il fuoco si accontenterร  di una cottura al passo con il tempo, ma non per questo meno appetitosa. Allora niente leccarda ma un tegame in alluminio dove far soffriggere olio extravergine, con sale e pepe, quando prima era stato preparato. Poi una spruzzata di aceto e di vino rosso, lasciar cuocere finchรฉ non si sarร  ristretto di circa la metร , provvedendo quindi a passare il tutto. Nel frattempo mettere le palombe, dopo averle untate, salate e pepate, in una teglia. Infornare a 180 gradi per 30 minuti abbondanti.

 


da Orvieto in ricette a cura de Lo Sportello del Cittadino, Italian Edition.

ยซโ€ฆPer questo, nei programmi delle feste, le proposte culinarie tendono allโ€™attualizzazione. Gustosi piatti a tema medievale con lโ€™utilizzo di ingredienti semplici e genuini potranno essere serviti da locandieri in costume dโ€™epoca ma questa cucina calata nel passato, come per darle piรน sapore, sarร  disegnata secondo i parametri dโ€™oggi. Il Medioevo che si rievoca รจ sospeso tra realtร  e fantasia, ma la fantasia fatica ad entrare in cucina: il Medioevo fantastico si esaurisce nei costumi e nelle scene; le ricette sono, nella maggior parte dei casi, quelle di oggi, appena mascherate da un ingrediente insolito o da un nome curioso, ma ben riconoscibili, cosรฌ da suggerire un viaggio nel passato, perรฒ tranquillizzando i commensali che questo viaggio non li porterร  troppo distanti da casaยป. Massimo Montanari, โ€œGusti del Medioevo. II prodotti, la cucina, la tavolaโ€. Editori Laterza 2012.

Massimo Montanari insegna Storia Medievale allโ€™Universitร  di Bologna, dove รจ anche direttore del Master in Storia e cultura dellโ€™alimentazione. รˆ considerato uno dei maggiori specialisti di storia dellโ€™alimentazione a livello internazionale. รˆ stato giudice delle nostre gare (Gastronomica e Mercato) e ha partecipato a numerose conferenze organizzate dallโ€™Associazione Mercato delle Gaite. La cucina medievale, nella festa, ricopre un ruolo notevole e negli anni ha appassionato alcuni volontari delle gaite, facendone bravi cuochi ed esperti importanti. E si estrinseca in:

La gara gastronomica

Una delle quattro gare in cui le gaite si sfidano รจ la gara gastronomica, che impone alle quattro gaite la preparazione di un piatto di carne o pesce (il nostro secondo). Il regolamento prevede, infatti, la preparazione di una vivanda di epoca medievale (periodo 1250-1350) appartenente al territorio europeo. Oggi conosciamo oltre un centinaio di manoscritti di cucina tre-quattrocenteschi, una decina di questi appartengono allโ€™area culturale francese, e altrettanti allโ€™area italiana. Il Liber de coquina di Anonimo trecentesco alla corte angioina, il Libro della cocina di Anonimo trecentesco toscano, il Libro per cuoco di Anonimo trecentesco veneziano, il Libro della cucina del secolo XIV e il Libro de arte coquinaria di Maestro Martino sono i testi a cui abbiamo attinto per affrontare il nostro percorso gastronomico non sempre facile perchรฉ le ricette trascurano gran parte della procedura, dando scontato che il lettore giร  le conosca. Da qui la necessitร  di provare e riprovare, poichรฉ la cucina medievale รจ sรฌ una cucina semplice, ma i suoi ingredienti devono essere sapientemente combinati e dosati.ย  In realtร  non รจ affatto detto che la fedeltร  filologica al testo sia il modo migliore per ricostruire la sensazione di un tempo: gli ingredienti non sono piรน quelli di un tempo e anche noi siamo profondamente diversi dagli uomini e dalle donne di settecento anni fa. Ricostruire la ricetta autentica sarebbe un controsenso, contrario non solo allโ€™arte della cucina che รจ innanzitutto arte dellโ€™invenzione, ma contrario anche allo spirito piรน autentico del Medioevo a cui stiamo cercando di dare forma. La quantitร  incredibile di varianti che si trovano nei ricettari medievali per vivande del medesimo titolo rappresenta la metafora del principio base che ogni bravo cuoco dovrebbe osservare: un testo italiano del Trecento afferma ยซil discreto cuoco potrร  in tutte le cose essere dotto, secondo le diversitร  dei regni, e potrร  i mangiari variare o colorare secondo che a lui parrร ยป. Ogni gaita presenta, dunque, un piatto che verrร  a essere giudicato da tre esperti di cucina medievale e di storia dellโ€™alimentazione secondo questi criteri: aderenza del piatto alla ricetta storicamente documentata: ingredienti, tecniche di esecuzione ed eventuale mise en place; la ricetta e la sua fonte; attinenza storica dellโ€™animazione scenica e della scenografia complessive. Questi alcuni piatti gara: Per far pavoni vestiti con tutte le sue penne che cocto parrร  vivo, sardamone di carne, daino arrosto in sapore, farinata con carne di cinghiale, spalle de castron implite, Del coppo di castrone, manza e agliata, a empire una gallina, del pastello di capretti.

Questi alcuni giudici: Massimo Montanari, Allen Grieco, Alex Revelli, Rosella Omicciolo Valentini, Maria Salemi, Irma Naso, Galoppini Laura, Isabelle Chabot, Antonella Salvatico, Maria Giuseppina Muzzarelli, Antonella Campanini.

 

Il banchetto medievale

Rappresenta lโ€™evento di apertura del Mercato delle Gaite ed รจ allestito, dal 2010, nello splendido scenario della piazza medievale, la platea comunis, delimitata dalle chiese romaniche di San Silvestro, San Michele, San Domenico e dal gotico Palazzo dei Consoli. Dal 1989 al 2009 il banchetto veniva allestito nel bellissimo Chiostro di San Domenico. Ogni anno, una gaita รจ addetta alla preparazione dei piatti, allโ€™allestimento della tavola e allโ€™animazione, seguendo regole precise.
Nella grande abbondanza della cucina medievale cโ€™erano alcune assenze che oggi considereremmo clamorose e che la scoperta dellโ€™America avrebbe colmato. Non esisteva il tacchino, non esisteva il mais, nรฉ le patate, nรฉ i pomodori, nรฉ il peperoncino.
Il servizio della tavola inizia a prendere forma alla seconda metร  del Trecento. รˆ a quel punto che si fissano e si codificano alcuni comportamenti che regolano gli atti del personale di servizio. Regista di questo complesso cerimoniale รจ lo scalco, al quale รจ affidata la responsabilitร  dellโ€™organizzazione generale: cura lโ€™andamento della cucina, il servizio, lโ€™allestimento del banchetto; presente pure un trinciante per tagliare la carne e un coppiere che si occupa del rito di lavare le mani allโ€™inizio e alla fine del banchetto e di servire acqua e vino. Il pasto si articola in numerosi servizi successivi, ognuno composto da piรน vivande, presentate sopra semplici taglieri di legno calcolato per due persone. Presentato il primo servizio sulla tavola i commensali attingono dai piatti di portata posti dinanzi a loro direttamente con le dita, selezionando i bocconi preferiti e posandoli sopra il proprio tagliere e cosรฌ di seguito servizio dopo servizio. Il pasto si doveva aprire con insalata di erbe, lattuga e frutta dal potere lassativo come mele, ciliegie, prugne. Seguivano minestre e zuppe classificate calde e umide, per la loro funzione di aprire lo stomaco; quindi le carni leggere (polli, capretti); le carni pesanti (manzo, maiale); i pasticci che con la loro crosta temperano gli alimenti che racchiudono; il formaggio; la frutta astringente come castagne, mele cotogne, melograni acerbi; vino speziato e spezie confette, in un percorso alimentare ideale dove lo stomaco deve presentarsi allโ€™inizio libero di accogliere il cibo e alla fine del pasto venir sigillato da sostanze costipanti affinchรฉ la digestione si svolga in ambiente perfettamente chiuso. La caratteristica saliente della cucina trecentesca รจ rappresentata dallโ€™uso costante di spezie: pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, coriandolo, zenzero, galanga, zafferano, cumino. Infatti uno dei caratterizzanti รจ lโ€™agro sposato al dolce in un connubio espressamente voluto dai cuochi del tempo. Sempre nellโ€™intento di stupire e meravigliare i commensali il cuoco inventa preparazioni multicolori nel tentativo di promuovere lโ€™immagine di una cucina attenta anche alla presentazione e non solo al contenuto: cosรฌ dal giallo di zafferano e tuorli dโ€™uovo, al blu di more e mirtilli; dal verde scuro del prezzemolo al rosso delle fragole; e poi, ancora, oro, argento, nero (di spezie). Cosรฌ i cuochi medievali facevano della tavola un vero acquerello di sapori da gustare con gli occhi e il palato. Alcuni dei piatti proposti: fructa fresca et vinum dolci, porrata, raffioli di carne, rosto de castrone cum salsa viridis, Cormary, fritatem de pomeranciis, nucato, ypocras, brodo de ciceri rossi, raffioli gialli, insaleggiata di cipolle, chireseye, gnocchi de cascio fresco, manza e agliata, fava franta, frustello, mostaccioli, chiarea.

 

Le Taverne

Ogni Gaita possiede una taverna dove i visitatori possono gustare i tradizionali cibi medievali, alla luce delle fiaccole e al suono di liuti e vielle. Tratte dagli antichi ricettari del Trecento, gustose immissioni sono servite, profumate di spezie e innaffiate con i vini della piรน antica tradizione umbra. Le taverne frequentate, ogni sera, da 300, 600, 800 avventori rappresentano lโ€™unica fonte di guadagno che permette alle gaite di affrontare le spese con cui finanziare i loro numerosi progetti, una sorta quindi di autofinanziamento.
Come nel Medioevo, le taverne delle gaite sono un vero e proprio centro di vita sociale, dove gli scambi avvengono sia tra le persone del posto, sia con i forestieri che portano notizie da lontano. Come nel Medioevo ci si ritrova con viaggiatori diversi, mercanti, pellegrini, clerici vagantes, e magari donne di malaffare. Come nel Medioevo lโ€™imperativo รจ dimenticare le incertezze del mondo e lasciarsi andare al divertimento.ย  Il poeta Cecco Angiolieri, famoso per la sua vita dissoluta, scrisse in un sonetto: ยซTre cose solamente mi soโ€™ in gradoโ€ฆciรฒ รจ la donna, la taverna e โ€˜l dado/ queste mi fanno โ€˜l cuor lieto sentireยป. Ogni taverna รจ gestita dai volontari della gaita: cuochi e cuoche, camerieri e cameriere. La scelta del menu รจ chiaramente circoscritta a prodotti da taverna, a eccezione del fatto che, come da regolamento, รจ obbligatorio servire il piatto gara della manifestazione in corso.
Alcuni piatti identificano la gaita: cosรฌ si possono trovare antipasti e dolcetti de Sancto Giorgio, de Sancto Pietro, de Santo Giovanni e de Sancta Maria; e poi: torta de herbe e cacio, crema di fave e cacio, coratella, zuppa di ceci, zuppa di farro e ortiche, torta bianca con salsicce, lasagne, limonia di pollo, strozzapreti dello speziale, porcona de mastro luca, acqua, vino e cervogia.

 

Cene medievali a tema. Incontri gastronomico-culturali

Nellโ€™ambito della manifestazione, la Gaita Santa Maria si รจ impegnata fin dallโ€™inizio a conoscere a fondo le abitudini alimentari del Medioevo cosรฌ da presentare, ogni anno, pietanze che fossero espressione non solo del gusto ma anche della cultura della civiltร  medievale: il tutto frutto di una accurata ricerca storico-bibliografica e di una scrupolosa sperimentazione pratica. In questi ultimi anni si sono moltiplicate anche in Italia, le ricerche in chiave antropologica e storica, psicologica e sociologica sul significato della cultura della tavola. Basti pensare a ciรฒ che offre il mercato dellโ€™editoria e quello televisivo in materia di pratica culinaria; una offerta che trova sempre un suo posto in edicola, in libreria e in una trasmissione televisiva. Nella prospettiva, quindi, del fruitore del ventunesimo secolo, attratto dalle cose riguardanti la tavola – e in chiave pratica e in chiave di gusto e comprensione della storia e delle curiositร  della cucina – la Gaita organizza dal 2005 delle cene a tema, nel corso delle quali vengono fornite ai fruitori informazioni in merito e che fungono da sfondo a manifestazioni quali conversazioni e seminari. Alle cene, organizzate con il patrocinio dellโ€™Accademia Italiana della Gastronomia Storica e animate da musici e giullari, gli avventori indossano i nostri abiti medievali.

Il Tacuinum sanitatis di Bevagna

Il Tacuinum sanitatis รจ un manoscritto di medicina medievale che ebbe un grande successo in Italia e in Europa a partire dal XIII secolo. Il testo รจ la traduzione latina dellโ€™originale arabo redatto intorno alla fine del XI secolo da Ibn Butlan, filosofo e medico di Bagdad. A oggi sono rimasti 16 manoscritti non miniati in Italia (4 a Roma, 1 a Venezia, Bevagna, Pisa, Firenze). Il Tacuinum di Bevagna si presenta come volume di ottima fattura. Sono 40 fogli in carta pergamena, con chiara scrittura italica del XIV secolo, lettere capitali rubricate rosso e azzurro e arricchite di fregi filiformi. Ci appare come unโ€™opera molto moderna per il suo tempo, un testo medico pratico che ha in sรฉ anche uno scopo sociale, quello di comunicare a un pubblico vasto le buone pratiche mediche attraverso dettami semplici e campi di applicazione comuni: dagli alimenti, alle bevande, allโ€™igiene, al riposo e al tempo libero, ai sentimenti, allโ€™arte, alla musica. La trascrizione e la traduzione di questo manoscritto si presenta quindi, per questa sua ampiezza di trattazione, come unโ€™approfondita conoscenza della dietetica e della alimentazione medievale e al contempo come un grande affresco sulle abitudini e stili di vita del tempo.

ย ยซEsiste un problema chiave nel fare cucina storica ed รจ quello di individuare il corretto confine tra comprensione del passato e adattamento dellโ€™oggi, ricostruzione e rielaborazione, studio filologico (per i libri di ricette) e restituzione pratica (in cucina). Se la cultura gastronomica di una data epoca si puรฒ studiare e decodificare con sufficiente esattezza e credibilitร , il passaggio a livello sperimentale rimane in larga misura velleitaria. Il fatto รจ che il soggetto e lโ€™oggetto non sono piรน gli stessi e la loro educazione sensoriale รจ diversa; i prodotti sono anchโ€™essi certamente cambiati anche se portano lo stesso nome. Avviciniamoci alle culture, ai personaggi, e agli eventi del passato con impegno e curiositร , ricordando sempre di documentarci in modo preciso e senza presunzione di superioritร . Solo in questo modo ci sarร  possibile capire e al tempo stesso divertirciยป. Massimo Montanari

Volendo scrivere un articolo sulle tradizioni natalizie umbre di una volta, non si trova nulla che non abbia a che fare con il cibo. Avrei dovuto aspettarmelo, considerato quanta importanza diamo alle occasioni di festa: per lo scambio di auguri, certo, ma anche per poter finalmente mangiare delle golositร  attese tutto lโ€™anno.

Ho pensato allora di riportarvi la mia esperienza, incuriosita dalle piccole discrepanze nei rituali, nelle preparazioni e nelle modalitร  di accoglienza di quella che forse รจ la festa piรน amata e attesa. Lo spunto proviene dallโ€™osservazione della mia famiglia, nemmeno troppo conservatrice nรฉ attaccata alle tradizioni, che pure ha incamerato delle usanze di provenienza sconosciuta che, ripetute nel tempo, hanno finito per cancellare tutte le domande possibili sulla loro origine. Insomma, si seguono certi rituali senza nemmeno chiedersi il perchรฉ. Eppure giร  tra i miei genitori cโ€™era un abisso in fatto di abitudini: mia madre proveniva da una famiglia che aveva vissuto lโ€™incontro epifanico e abbagliante con il progresso tecnico in un periodo in cui lei e le sue sorelle ancora si lavavano in tre dentro un bacile per i vestiti, mentre mio padre, nato in una famiglia di campagna di stampo ottocentesco, conosceva soltanto la fatica della terra e del duro lavoro nei campi. Forse ad accomunarli cโ€™era solo il fatto che cโ€™era poco da mangiare.

 

Cappelletti in brodo

 

Forse รจ per questo che mia nonna โ€“ la mamma di mia madre โ€“ quando ci invitava a pranzo per Natale sembrava avesse conservato la crรจme de la crรจme delle sue scorte solo per noi, come se tutte le privazioni dellโ€™anno appena trascorso avessero portato a quellโ€™unico momento. Erano finiti da un pezzo i tempi di magra, come cโ€™erano giร  stati il boom economico degli anni Ottanta e il progresso, ma certe modalitร  erano rimaste le stesse. Certe cose si trovavano solo a Natale, non si era abituati a soddisfare ogni voglia che si aveva semplicemente mettendo piede in un supermercato: richiederle fuori periodo era impensabile. Da noi la cosa era talmente radicata che il menu natalizio era sempre lo stesso e, se da adolescente confesso di essere diventata irrequieta di fronte a quella proposta sempre uguale, ora non so che darei per riassaggiare il pollo disossato di mia nonna.

Ma andiamo con ordine. La tavola si presentava giร  apparecchiata, con la tovaglia rossa delle feste e i piattini con gli antipasti giร  pronti per essere saccheggiati: cโ€™era sempre un crostino con patรฉ di fegatini, una fetta di torta di Pasqua con il prosciutto crudo, una fettina di capocollo e un triangolino di pane da tramezzini con salsa alla maionese e sottaceti, piccolo strappo alla tradizione umbra che, inconsapevolmente, veniva servita ogni anno su quella tavola imbandita.

Dopodichรฉ arrivava lei, la zuppiera fumante ripiena di cappelletti, arrivati lรฌ al termine di una lavorazione dai connotati quasi rituali. Mia nonna e le sue amiche, infatti, durante le due settimane prima di Natale si radunavano ora a casa di una, ora a casa dellโ€™altra per fare i cappelletti, senza i quali la festa non sarebbe stata tale. รˆ vero, ogni anno quelle povere donne dalle mani piegate dallโ€™artrite faticavano sempre di piรน, borbottando a gran voce e minacciando di smettere con quellโ€™impegnativa pratica, eppure le ritrovavi sempre lรฌ, riunite intorno al tavolo a spettegolare mentre, con una manualitร  invidiabile acquisita in oltre mezzo secolo di attivitร , creavano senza sosta tanti piccoli cappelli della stessa misura e dimensione. Il lavoro andava avanti per ore e spesso serviva piรน di un appuntamento per assicurare alle famiglie delle cinque signore una scorta accettabile. Scorta che poi sarebbe durata fino a Pasqua.

Dopo i cappelletti era il turno del famigerato pollo disossato. La lavorazione era lunga e certosina: nonna disossava un pollo ruspante comprato dal suo amico allevatore con una maestria che a noi nipoti faceva rabbrividire – per le sorti del pollo, รจ chiaro โ€“ e poi lo riempiva con macinato, salsiccia, mortadella, Parmigiano, uovo e pan grattato. Una volta tagliato a fette, veniva ripassato in padella e servito. Inutile dire che facevamo a gara per aggiudicarci le fette piรน ricche di ripieno. Oggi sono convinta che il pollo disossato di mia nonna fosse una variante della classica galantina umbra, dove perรฒ le uova che entrano nel ripieno vengono lessate e il preparato ottenuto va servito freddo, previa cottura in acqua salata in un involucro di alluminio.

Qualche volta aveva fatto la sua comparsa anche la parmigiana di gobbi, altra preparazione tradizionale umbra che aveva affiancato la piรน tranquilla e imperitura erba cotta โ€“ solitamente spinaci โ€“ ma la prima regola da seguire durante questi ricchi pranzi di famiglia era lasciare sempre uno spazietto per il dolce, per cui spesso il contorno lo saltavamo a piedi pari.

 

dolci natalizi umbri

Le pinoccate bianche e nere

 

Il dessert era composito come lโ€™antipasto: cโ€™erano il pandoro e il panettone, ma anche i tozzetti fatti a mano dalla nonna, il torciglione e il panpepato. Non mancava niente a parte le pinoccate, con cui mi ero giร  deliziata nei giorni precedenti grazie a mio padre, grande appassionato di questi dolcetti dalla lunghissima storia. Oggi sempre piรน rare, per me le pinoccate sancivano lโ€™inizio delle feste, con quella forma da dolcetto stregato, quegli incarti pieni di ghirigori e quellโ€™inconfondibile sapore di pinoli e zucchero.

Dopo il brindisi di auguri, ci si scambiavano i doni e non era insolito sentirsi chiedere: ยซChe ti ha portato il Bambino?ยป. Sรฌ, perchรฉ non tanto tempo fa โ€“ parliamo degli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso โ€“ non era Babbo Natale a portare i doni ai miei genitori, ma Gesรน Bambino.

Erano piรน che altro i parenti di mio padre a rivolgerci questa domanda, perchรฉ loro stessi, da piccoli, erano soliti addobbare un ramo reciso con mandarini e frutta secca per propiziare la venuta del Bambino. รˆ curiosa la crasi fatta, almeno dai miei parenti, tra il Christkind che porta i doni di Natale nel sud della Germania, nella Repubblica Ceca, in Svizzera, in Austria, in Liechtenstein, in Slovenia e in Croazia con San Nicola e Santa Lucia, festeggiati rispettivamente il 5-6 dicembre e il 12-13 dicembre, in Italia come in alcuni Paesi dโ€™Europa. La tipologia dei doni, in particolare gli agrumi, richiama infatti sia le tradizionali offerte che i bambini di alcune regioni del nord Italia lasciano a Santa Lucia (appunto arance, biscotti, caffรจ, mezzo bicchiere di vino rosso e il fieno per lโ€™asino) sia la storia di caritร  di San Nicola, che donรฒ tre palle dโ€™oro (molto simili, in effetti, alle piรน umili arance o ai mandarini) a tre povere fanciulle che rischiavano di essere vendute come schiave.
Non so se questa crasi sia stata fatta consapevolmente, probabilmente vi sono confluiti echi diversi, i cui percorsi si sono smarriti nel tempo. La mia opinione รจ che i mandarini fossero considerati dei frutti esotici pregiati, adatti a unโ€™occasione speciale o addirittura come regalo. Spesso, infatti, gli stessi agrumi che avevano decorato lโ€™albero erano i regali per i bambini, da sbucciare (e mangiare!) la mattina di Natale.

 


Fonti

www.umbriatourism.it
www.corriere.it
https://www.rivistastudio.com/arance-natale-storia/

Il dolce ha origine lontane e pare che il suo nome originario sia stato โ€œAnguilla del Lagoโ€, nato da un caso โ€œforzatoโ€ e dalla creativitร  delle monache che abitavano lโ€™Isola Maggiore. Buonissimo al gusto e al sapore, si mangia tutto lโ€™anno ma in particolare fa parte della tradizione natalizia e caratterizza le tavole umbre imbandite nel periodo delle festivitร  di fine anno. Oggi รจ conosciuto con il nome di โ€œTorciglioneโ€.

Le sue origini, secondo le storie tramandate oralmente dagli anziani lacustri, pare che risalgano a una visita di alti prelati vaticani al convento monacale posto sullโ€™Isola Maggiore nel Trasimeno, giunti lรฌ in un venerdรฌ di magra. Era un periodo invernale di gran freddo e per una forte gelata non cโ€™era pesce a disposizione, allora una suora, quella addetta alla cucina, prese gli ingredienti che aveva disponibili e creรฒ questo dolce dalla forma tipica di unโ€™anguilla. Nasceva cosรฌ lโ€™Anguilla del Lago. Successivamente, nel periodo medievale, il precedente nome sarebbe stato sostituito dal nome Torciglione, con il quale il serpentone umbro รจ giunto fino ai nostri tempi.
Nella parte superiore del dolce, raffigurante appunto unโ€™anguilla o un serpente avvolto a spirale, vengono messi una serie di pinoli a moโ€™ di squame e, nella parte anteriore, una mandorla a rappresentare la lingua e due canditi rossi per gli occhi.
รˆ un dolce che, attraverso i secoli, ha avuto dei valori simbolici diversi. Quello del serpente dellโ€™Apocalisse, che mangiandolo verrebbe sconfitto o quello, che per la sua forma attorcigliata simulerebbe il ciclo della natura, che alterna la vita alla morte e la sua rinascita. Il dolce umbro con la caratteristica forma serpentiforme, viene preparato utilizzando farina di mandorle e zucchero e per le decorazioni, canditi, mandorle e pinoli.
In molte pasticcerie tradizionali del Trasimeno, il Torciglione si puรฒ reperire durante tutto lโ€™anno, nellโ€™ossequioso rispetto dellโ€™antica forma e ricetta. Nel proseguire le tradizioni, in molto famiglie viene preparato il dolce con liturgie culinarie ripetute da generazioni. A Tuoro sul Trasimeno, viene organizzata dalla Proloco una gara per il riconoscimento del Torciglione piรน buono, cucinato secondo tradizione.

 

dolci natalizi umbri

 

Di seguito le indicazioni per la preparazione dellโ€™Anguilla del Lago o Torciglione, confidate da una signora riconosciuta dai piรน per la sua capacitร  pasticcera:

Ingredienti:

  • 500 g mandorle macinate
  • 250 g zucchero
  • 3 uova
  • 1 limone grattugiato
  • mandorle, pinoli, 2 chicchi di caffeฬ€ o due candidi rossi, codette colorate per decorare

 

Preparazione:

Sgusciare le uova e separare i tuorli dagli albumi. Montare i bianchi a neve e sbattere i rossi. Mescolare la farina di mandorle insieme con i tuorli, lo zucchero e il limone grattugiato. Gradualmente aggiungere gli albumi e impastare bene il tutto. Rivestire con carta da forno una teglia mettendo sopra lโ€™impasto e con le mani leggermente umide, dare la forma di un serpente. Decorare il torciglione con mandorle, pinoli e codette colorate. Utilizzare i due chicchi di caffeฬ€ o i due candidi rossi per formare gli occhi del serpente/anguilla e una mandorla per la lingua. Cuocere a forno caldo a 160ยฐ per circa 40 minuti, sin quando la superficie non diventa ben dorata. Fate raffreddare il torciglione prima di servirlo.

Ingredienti:

  • farina
  • acqua gassata
  • 100 g di uvetta
  • olio extravergine d’oliva per friggere o strutto
  • sale

 

Preparazione

Mettere in una terrina la farina e il sale e aggiungere lโ€™acqua fino a ottenere una pastella. Scaldare lโ€™olio o lo strutto in una padella fino al raggiungimento della temperatura adatta per friggere. Versarvi un poโ€™ di pastella fino a coprire il fondo della padella, ma fare attenzione che sia uno strato sottile. Cuocere da entrambe le parti fino a che la frittella non risulterร  dorata: in questo modo risulterร  croccante allโ€™esterno e morbida allโ€™interno.
Consumarla calda e condita con del sale o con dello zucchero.

 

Il nome arvoltolo deriva forse dalla necessitร  di rivoltare (arvoltare in perugino) la pastella, per permetterne la cottura da entrambe le parti.

 


Liberamente tratto da Perugia a Tavola – Tradizione, intenditร  e cultura, Ida Trotta, Perugia, Morlacchi Editore 2017.

Giulio Gigli, giovane chef di successo che dellโ€™uso della materia prima, della stagionalitร  e dei prodotti tipici del territorio, ha fatto il suo credo: la tradizione viene abbinata alle sapienti tecniche culinarie apprese durante le sue importanti esperienze fatte in ristoranti stellati internazionali e in varie parti del mondo.

Aglione, foto di Andrea Di Lorenzo

Qualche tempo fa ho incontrato Giulio a casa mia e, durante unโ€™amabile chiacchierata sullโ€™aglione, ce ne siamo raccontate sui pregi e sulle caratteristiche di questa eccellenza da poco riconosciuta come risorsa genetica autoctona di interesse agrario inscritta nel registro della Regione Umbria, grazie alle pratiche istruite dal Parco 3A-PTA, in particolare dallโ€™ufficio gestito da Luciano Concezzi, con protagoniste Livia Polegri e Marta Gianpiccolo che hanno istruito la domanda di richiesta, in aggiunta a un contributo del vostro inviato lacustre, che รจ stato coinvolto in merito.
La premessa รจ dovuta, anche perchรฉ la chef nonchรฉ produttrice di grani antichi Valentina Dugo, ha innescato il contatto con Giulio Gigli, a proposito dellโ€™aglione. E da qui nasce lโ€™interesse di chef Giulio, che venne a casa mia prima di andare in Slovenia per una sua consulenza destinata a un noto ristorante stellato, dove portรฒ anche lโ€™aglione come prodotto tipico da utilizzare in quel luogo. Per dare un seguito e condivisione al nostro incontro, preparai a Giulio la mia ricetta della pasta allโ€™aglione, che ha molto apprezzato e non solo a parole.
Successivamente ci sono stati altri incontri, dove Giulio mi fece degustare una bontร  unica, quella dei fiori dโ€™aglione preparati secondo la sua tradizione familiareโ€ฆ una squisitezza.
Giulio, durante le nostre amabili conversazioni, mi ha raccontato del suo progetto, della sua filosofia di proporre piatti della tradizione con lโ€™innovazione a fargli da spalla e di realizzare un orto per la stagionalitร  dei prodotti da usare nelle sue ricette.

Tutto molto bello e suggestivoโ€ฆ e Giulio ce lโ€™ha fatta! Bravo! Lโ€™uso dellโ€™aglione, della roveja, della fagiolina del lago Trasimeno, del sambuco viene affiancato dai frutti della terra del periodo che produce il suo orto, che Giulio ha realizzato negli spazi adiacenti il suo ristorante che apre alla stagionalitร , tipicitร , unicitร  dei prodotti che, dal vicino campo, porta in tavola. Il tutto arricchito dalle tecniche culinarie che lui utilizza con gran maestria, dopo averle fatte sue dalle cucine dei ristoranti famosi e stellati dove ha lavorato.

Lo chef Giulio Gigli, foto di Andrea Di Lorenzo

La sua nuova fucina culinaria si trova a Capodacqua di Foligno, รจ il ristorante UNE, un antico mulino ad acqua del Quattrocento, la sua struttura รจ visibile allโ€™interno dei locali, ristrutturato in modo molto capace e accogliente che fa sentire subito a proprio agio e captare il messaggio che Giulio con il suo progetto, ha voluto imprimere e donare ai suoi visitatori/degustatori. Infatti UNE significa acqua in antico umbro e qui di acque ne siamo circondati oltre che di sapori, profumi, tradizione e innovazione.
Il progetto di Giulio Gigli, chef dโ€™avanguardia in nome della tradizione, ha come mission quella di deliziare nel palato e nella mente i degustatori che vorranno apprezzare i prodotti tipici stagionali trattati con eccellenti tecniche culinarie stellate. Unโ€™ottima scelta di vini da abbinare ai piatti, completa lโ€™intrigante offerta gustativa.
La mia visita presso il ristorante di Giulio, ben conferma quanto scritto. Vale la pena andare a Capodacqua di Foligno, al ristorante UNE, dove le stagionalitร  dei prodotti alimentari vi aspettano sui tavoli del ristorante, provenienti direttamente dallโ€™orto di Giulio Gigli, chef di successo, che parla con nuovi e incantevoli linguaggi dโ€™arte culinari, tutti da percorrere per straordinarie e indimenticabili esperienze di gusto!

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