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La Festa toreggiana ha messo in risalto unโ€™eccellenza umbra tra le tante, quella dellโ€™olio di oliva, per cui lโ€™Umbria e il Trasimeno sono conosciuti in tutto il mondo.

Questa prelibatezza era apprezzata fin dal tempo degli Etruschi, che utilizzavano soprattutto le olive, mentre lโ€™olio era impiegato sia per le lampade sia come prodotto alimentare. Ma soprattutto veniva usato come unguento e cosmetico.
In Umbria e in particolare nella zona del Trasimeno lโ€™andamento produttivo dellโ€™olio di oliva, per la raccolta del 2021, รจ stato influenzato dagli eventi meteorologici: sia le forti gelate primaverili sia le alte temperature estive con la mancanza di pioggia hanno fatto sรฌ che sia stato un altro anno difficile per lโ€™olivicoltura in termini di quantitร . Ma non nella qualitร , che risulta avere caratteristiche elevate.
Negli ultimi anni gli eventi atmosferici hanno condizionato i flussi produttivi e qualche produttore avveduto si รจ ingegnato a rendere il proprio oliveto irriguo con sistemi innovativi, superando il problema della siccitร . Per le parassitosi olearie e la specifica mosca, bisogna sempre tenere la guardia alta e avveduta.

 

 

Questo erano le prevalenti riflessioni di alcuni olivicoltori che hanno partecipato alla Festa dellโ€™Olio che si รจ tenuta a Tuoro sul Trasimeno il 30 e 31 ottobre. La manifestazione ha avuto inizio presso la Casina del Sodo, con una conferenza tenuta dal maestro potatore, Luc Feliziani.
A seguire cโ€™รจ stata la consegna del premio Ramoscello dโ€™Olivo, destinato a chi si รจ distinto per meriti sportivi o culturali portando il nome di Tuoro nel mondo. I vincitori del premio sono stati i toreggiani Enzo e Paolo Coloni, che hanno partecipato e si sono distinti in F1, particolarmente negli anni ’80 con la loro scuderia automobilistica. Tuttora sono in corsa.
Il mercatino ha adornato il centro del paese e, dopo lโ€™apertura serale degli stand gastronomici dove si sono potute assaggiare delle grandi prelibatezze preparate dal team dell’energica ProLoco locale, guidata da Fabrizio Magara, la serata si รจ chiusa con lo spettacolo dedicato allo swing con le note della Trasimeno Big Band, diretta in modo impeccabile dal maestro Emanuele Ragni. La piazza si รจ trasformata in una pista da ballo densa di ballerini piรน o meno provetti che si sono cimentati in evoluzioni danzanti a tempo di rock roll o swing.

La domenica si รจ aperta, nel corso della mattinata, con una panoramica camminata tra gli oliveti nella zona di Vernazzano. Al termine della piacevole passeggiata naturistica, si รจ potuto godere di una bruschetta con lโ€™olio nuovo per tutti i camminatori.
La ProLoco toreggiana ha anche organizzato un originale pranzo tra gli olivi presso il piccolo ma celebre borgo di Sanguineto, da cui prende nome il torrente che, si racconta, diventรฒ color sangue durante la celebre battaglia tra Romani e Cartaginesi. Al pranzo hanno partecipato numerosi turisti e locali, divertiti nella tipica location, ascoltando la musica popolare suonata dalla fisarmonica di Giacomo Tosti e cantata da Chiara Pettirossi, ovviamente apprezzando lโ€™ottimo cibo preparato per lโ€™occasione.

Nel pomeriggio la Festa dellโ€™Olio รจ continuata in paese, nella piazza del Municipio, con Olioween, momento dedicato ai piรน piccoli. Prendendo spunto dalla celebre festa, i bambini si sono divertiti nel nome di bruschetto o scherzetto.
La sera ci si รจ potuti deliziare il palato ancora presso le taverne e i ristoranti toreggiani, accompagnati dalla musica in piazza eseguita dai bravi componenti della band Freddy and The B Lovers. La manifestazione, presso la Casina del Sodo, ha accolto una mostra fotografica collettiva dal titolo Un lago dentro di me, a cura dei fotografi Paolo Cirmia, Paolo Barboni e Antonella Piselli.
Il Presidente della Proloco di Tuoro, Fabrizio Magara, ha dichiarato: ยซLa manifestazione ha riscosso un grande successo di pubblico locale e forestiero, aiutata da una buona forma promozionale. Nel ponte di Ognissanti, durante il quale le persone hanno approfittato per venire a visitare il nostro borgo lacustre, ad attrarre รจ stato il variegato programma che abbiamo realizzato. La manifestazione รจ stata organizzata con impegno da parte di tutta la nostra ProLoco e, vedendo i risultati, ci siamo sentiti appagati dal sacrificio fatto. Dopo varie edizioni di questa festa, il prossimo anno ci vedrร  impegnati a organizzare una Festa dellโ€™Olio con maggior slancioยป. Lโ€™evento dedicato allโ€™olio di oliva รจ stato organizzato dalla ProLoco toreggiana in collaborazione con lโ€™Amministrazione comunale.

Lโ€™areale sottendente il lago Trasimeno e le adiacenti Chiane, รจ ricco di eccellenze enogastronomiche e rappresenta un serbatoio prezioso per una serie di prodotti agroalimentari tipici e unici, che caratterizzano e fanno conoscere questi luoghi a molte latitudini del mondo e sono amati da chi ha avuto la possibilitร  di apprezzarli. Mi riferisco a tutti quei prodotti che tipicizzano questo meraviglioso territorio, quali il pesce lacustre, i vini, gli oli, le carni, i cereali, i legumi, gli ortaggi che hanno dato vita a piatti tipici, riconoscibili, caratterizzanti e ambasciatori mondiali indiscutibili di bontร  e gusto.

Partendo da questi presupposti, con Livia Polegri, lโ€™agronoma del Parco 3A-PTA della Regione Umbria, abbiamo voluto raccontare su queste pagine la ricchezza genetica agroalimentare del comprensorio lacustre che parte dai tempi lontani, in luoghi giร  antropizzati fin dal Paleolitico, per poi transitare dagli Etruschi e antichi Romani.
Il Trasimeno e la Valdichiana hanno rappresentato un serbatoio alimentare prezioso, variegato e ambito, che nei secoli hanno visto queste terre di confine sotto le costanti mire di possesso e gestione dei poteri politici, amministrativi e militari, anche con lotte e scontri per la supremazia territoriale. Prodotti alimentari dimenticati, sottovalutati e poi ritrovati ce ne sono una miriade e il lavoro di ricerca e di valorizzazione รจ partito qualche tempo fa.
I semi conservati dentro vecchi barattoli, abitudini mantenute da generazioni e la semina nella terra natia hanno contrastato la coltivazione di alcune specie ormai abbandonate anche a seguito dellโ€™esodo dalle campagne del secolo scorso. In seguito, queste ricchezze genetiche sono state di nuovo individuate, recuperate e poste a disposizione della comunitร . I presupposti sono corretti, ma la conoscenza della disponibilitร  di alcune di queste varietร  non รจ nota ai piรน; quindi vorremmo approfittare di queste pagine affinchรฉ i semi tipici restino in zona, disponibili sul territorio per la sua gente.
Comunque in modo spontaneo e quasi inconsapevole, sono state conservate dagli orticoltori del Trasimeno molte varietร  autoctone di fagioli, pomodori, meloni, cocomeri, zucche, cetrioli, cipolle, aglione, sorgo, cavoli, broccoli, broccoletti, rapi, olivo, vite, oltre a specie ittiche come il luccio del Trasimeno, da poco iscritto al Registro regionale delle Risorse Genetiche Autoctone. Alcune di queste varietร  hanno rischiato di andare perdute per sempre.

 

legumi tipici umbriLa Fagiolina del Trasimeno

Iniziamo questa carrellata con la Fagiolina del Trasimeno, un legume antichissimo conosciuto dagli antichi Greci, citato da Plinio il Vecchio e poi da Alberto Magno, che lo descrive con semi dai molti colori e con il caratteristico occhio. La prima testimonianza scritta della coltivazione della Fagiolina del Trasimeno risale al 1876, sul Giornale Agrario Italiano.
Riviste specializzate, nel secolo scorso, hanno scritto che la Fagiolina del lago, composta da piccoli fagioli biancastri con occhio bruno, รจ di facile cottura e molto saporita. Si tratta di una specie diversa da quella del fagiolo, introdotto in Europa dal Nuovo Mondo nel โ€˜500, e che tra lโ€™altro le ha rubato il suo antico nome phaseolus. La fagiolina viene dallโ€™Africa, ed รจ giunta in Italia probabilmente grazie agli scambi commerciali che si svolgevano nel Mediterraneo in tempi antichi, sicuramente in epoca preromana.
รˆ noto che la Fagiolina del Trasimeno รจ stata da sempre prevalentemente destinata allโ€™autoconsumo, ma nel secolo scorso ha rischiato lโ€™estinzione perchรฉ, a causa della maturazione scalare, doveva esser raccolta manualmente e quindi occorreva, per la raccolta, unโ€™intensa e costante presenza in campo.

La dottoressa Polegri, a proposito della situazione attuale della Fagiolina del Trasimeno, ha dichiarato: ยซOra si coltivano sostanzialmente due tipi, quella tutta bianca e quella di colorazioni miste, mentre prima della riscoperta ogni agricoltore aveva la sua, quindi ci sono accessioni dai semi tutti rossi, o tutti color crema con occhio rosso, o crema con occhio nero, ecc., oppure di due tipi di colorazione (crema con occhio nero e con occhio marrone, oppure grigi con occhio nero e crema con occhio nero, ecc.). La forma bianca senza occhio, rarissima e pressochรฉ assente altrove in Italia, era preferita da alcuni orticoltori, e per il suo aspetto veniva talvolta chiamata risina, ad esempio sul mercato della vicina Perugia. Ma il fortissimo legame che la fagiolina aveva con la cultura locale era indipendente dalla colorazione del seme, ogni famiglia aveva il suo tipo preferito, tanto che a mia conoscenza in Italia non esiste una tale variabilitร  di una stessa specie, per di piรน negletta, in un territorio cosรฌ limitato. Poche altre varietร  locali di questa specie sono conosciute in Italia, sopravvissute in maniera spesso puntiforme e con una o poche colorazioni. Al Trasimeno sono invece state censite dallโ€™Universitร  di Perugia e dal Parco Tecnologico una ventina di accessioni con semi di 12 colorazioni diverse, conservate da anziani orticoltori su tutte le sponde del lago. Questo รจ avvenuto perchรฉ era parte importante della cultura rurale, i mezzadri la coltivavano dopo il grano, per avere un doppio raccolto che sfuggiva al padrone, talvolta arrampicata al mais, di cui ha lo stesso ciclo colturale. Della stessa specie fa parte il fagiolo dal metro, che veniva coltivato per i baccelli lunghissimi, di cui sono state trovate al lago un paio di accessioni. Tradizionalmente si mangiavano anche i baccelli freschi, ma questo รจ un uso che non รจ stato piรน riproposto, forse perchรฉ conviene produrre seme, piรน particolare e piรน facile da commercializzare, perรฒ i ristoranti potrebbero riprenderne l’uso, anche perchรฉ esiste anche una certa diversitร  nei baccelli. Ricordo che le accessioni bianche hanno il baccello tutto verde, mentre quelle con semi scuri avevano (oltre al fiore, viola anzichรฉ bianco) anche il baccello leggermente macchiato di rosso. Lโ€™obiettivo รจ quello di coltivare le biodiversitร  presso la Casa dei Semi del Trasimeno e rendere disponibili le varietร  a chi ne facesse richiestaยป.
I semi vengono utilizzati come i fagioli comuni, lessati o per zuppe e grazie alle loro piccole dimensioni, e non รจ necessario lโ€™ammollo prima della cottura.
In gastronomia la Fagiolina del Trasimeno viene lessata e poi condita con olio EVO oppure, qualche chef in cerca di nuove proposte culinarie, ne accompagna piatti a base di carne o pesce di lago sia come condimento sia come ripieno alle paste. Il modo classico per degustare la Fagiolina prevede, dopo averla lessata in acqua salata per 45 minuti, di servirla come una zuppa insieme a fette bruschettate di pane tipico umbro, con olio EVO e pepe. In alcuni casi si puรฒ accompagnare anche con il pesce di lago in umido, come i filetti di persico reale.

Giulio Gigli, giovane chef di successo che dellโ€™uso della materia prima, della stagionalitร  e dei prodotti tipici del territorio, ha fatto il suo credo: la tradizione viene abbinata alle sapienti tecniche culinarie apprese durante le sue importanti esperienze fatte in ristoranti stellati internazionali e in varie parti del mondo.

Aglione, foto di Andrea Di Lorenzo

Qualche tempo fa ho incontrato Giulio a casa mia e, durante unโ€™amabile chiacchierata sullโ€™aglione, ce ne siamo raccontate sui pregi e sulle caratteristiche di questa eccellenza da poco riconosciuta come risorsa genetica autoctona di interesse agrario inscritta nel registro della Regione Umbria, grazie alle pratiche istruite dal Parco 3A-PTA, in particolare dallโ€™ufficio gestito da Luciano Concezzi, con protagoniste Livia Polegri e Marta Gianpiccolo che hanno istruito la domanda di richiesta, in aggiunta a un contributo del vostro inviato lacustre, che รจ stato coinvolto in merito.
La premessa รจ dovuta, anche perchรฉ la chef nonchรฉ produttrice di grani antichi Valentina Dugo, ha innescato il contatto con Giulio Gigli, a proposito dellโ€™aglione. E da qui nasce lโ€™interesse di chef Giulio, che venne a casa mia prima di andare in Slovenia per una sua consulenza destinata a un noto ristorante stellato, dove portรฒ anche lโ€™aglione come prodotto tipico da utilizzare in quel luogo. Per dare un seguito e condivisione al nostro incontro, preparai a Giulio la mia ricetta della pasta allโ€™aglione, che ha molto apprezzato e non solo a parole.
Successivamente ci sono stati altri incontri, dove Giulio mi fece degustare una bontร  unica, quella dei fiori dโ€™aglione preparati secondo la sua tradizione familiareโ€ฆ una squisitezza.
Giulio, durante le nostre amabili conversazioni, mi ha raccontato del suo progetto, della sua filosofia di proporre piatti della tradizione con lโ€™innovazione a fargli da spalla e di realizzare un orto per la stagionalitร  dei prodotti da usare nelle sue ricette.

Tutto molto bello e suggestivoโ€ฆ e Giulio ce lโ€™ha fatta! Bravo! Lโ€™uso dellโ€™aglione, della roveja, della fagiolina del lago Trasimeno, del sambuco viene affiancato dai frutti della terra del periodo che produce il suo orto, che Giulio ha realizzato negli spazi adiacenti il suo ristorante che apre alla stagionalitร , tipicitร , unicitร  dei prodotti che, dal vicino campo, porta in tavola. Il tutto arricchito dalle tecniche culinarie che lui utilizza con gran maestria, dopo averle fatte sue dalle cucine dei ristoranti famosi e stellati dove ha lavorato.

Lo chef Giulio Gigli, foto di Andrea Di Lorenzo

La sua nuova fucina culinaria si trova a Capodacqua di Foligno, รจ il ristorante UNE, un antico mulino ad acqua del Quattrocento, la sua struttura รจ visibile allโ€™interno dei locali, ristrutturato in modo molto capace e accogliente che fa sentire subito a proprio agio e captare il messaggio che Giulio con il suo progetto, ha voluto imprimere e donare ai suoi visitatori/degustatori. Infatti UNE significa acqua in antico umbro e qui di acque ne siamo circondati oltre che di sapori, profumi, tradizione e innovazione.
Il progetto di Giulio Gigli, chef dโ€™avanguardia in nome della tradizione, ha come mission quella di deliziare nel palato e nella mente i degustatori che vorranno apprezzare i prodotti tipici stagionali trattati con eccellenti tecniche culinarie stellate. Unโ€™ottima scelta di vini da abbinare ai piatti, completa lโ€™intrigante offerta gustativa.
La mia visita presso il ristorante di Giulio, ben conferma quanto scritto. Vale la pena andare a Capodacqua di Foligno, al ristorante UNE, dove le stagionalitร  dei prodotti alimentari vi aspettano sui tavoli del ristorante, provenienti direttamente dallโ€™orto di Giulio Gigli, chef di successo, che parla con nuovi e incantevoli linguaggi dโ€™arte culinari, tutti da percorrere per straordinarie e indimenticabili esperienze di gusto!

Ingredienti:

  • 400 g di farina
  • 200 g di zucchero
  • 100 g di uvetta
  • 1 scorza di limone non trattato
  • 50 g di lievito di birra
  • ยฝ litro di mosto fresco bianco
  • 1 bicchiere di olio extravergine dโ€™oliva
  • 1 pizzico di sale

 

Preparazione

Far intiepidire due o tre cucchiai di mosto, porvi mezzo cubetto di lievito e lasciar riposare, coperto, fino a quando sulla superficie non compariranno delle crepe (saranno necessarie circa 2 ore). Sciogliere in poca acqua tiepida il lievito rimasto. Mescolare farina, zucchero, uvetta, scorza grattugiata di limone, mosto e lievito. Impastare fino a ottenere una pasta di pane piuttosto morbida. Se lโ€™impasto fosse troppo fluido, unire un poโ€™ di farina; se fosse troppo duro, aggiungere del mosto.
Lavorare bene e ricavare delle pagnottelle del diametro di 5-6 centimetri. Disporle su una placca da forno unta, piuttosto distanti lโ€™una dallโ€™altra, coprirle con un telo pulito e poi con uno leggermente impermeabile. Far lievitare 2-3 ore. Infornare a 180ยฐ e cuocere per 20-30 minuti.

 

 

I maritozzi al mosto sono tipici dellโ€™Umbria del sud, in particolare del ternano. Si preparano anche maritozzi di forma ovale, senza mosto nellโ€™impasto (e, in questa versione, a Norcia erano tipici della trebbiatura) oppure sempre con il mosto, ma cotto. Il mosto cotto, dolcificante tipico di tutta lโ€™Italia contadina, si otteneva facendo cuocere per molte ore il mosto fresco in recipienti di rame bassi e larghi. Si arrivava al giusto punto di cottura quando il liquido si fosse ridotto di 2/3 rispetto a quello iniziale. Lโ€™uso del mosto cotto, squisito ma di lunga preparazione, รจ andato estinguendosi mano a mano che tutti potevano permettersi di acquistare lo zucchero. I maritozzi sono una preparazione che si trova anche nel Lazio. ย 

 


Per gentile concessione diย Calzetti&Mariucci.

Foto di Strada dei Vini Cantico

Eccoci al nostro primo appuntamento culinario con una delle quattro paste tipiche della cucina romana: la pasta alla Gricia.

Come abbiamo raccontato in precedenza su queste pagine, i pastori dellโ€™Appennino Centrale, durante la transumanza con le loro greggi verso la campagna circondante Roma, si portavano dietro, tra le altre cose, il formaggio, il pepe e il guanciale, gli ingredienti tipici per la preparazione della pasta alla Gricia. Usavano la pasta essiccata oppure la tiravano fresca, con farina e acqua, poggiandosi sui loro grembiuli da lavoro fatti in cuoio e realizzavano una specie di maltagliati. Lโ€™ipotesi del nome รจ quella derivante da Gricio, il termine con cui venivano chiamati i numerosi panettieri che, dal Cantone dei Grigioni, giungevano fino a Roma e indossavano il Griscium, lo spolverino da lavoro. Altra ipotesi รจ quella che il piatto sia nato a Grisciano, un piccolo paesino reatino del Comune di Accumoli, al confine con Umbria, Marche e Abruzzo.

 

Pasta alla Gricia

Ma vediamo la ricetta tradizionale per preparare una buona Gricia:

Ingredienti per 4 persone:

  • 400 grammi di pasta (a scelta tra spaghetti, umbricelli, mezze maniche, rigatoni);
  • 280 grammi di guanciale di maiale;
  • 100 grammi di pecorino romano;
  • Pepe;
  • Sale per la pasta

 

Preparazione:

  • In una pentola con acqua salata, fate cuocere la pasta;
  • Nel frattempo tagliare il guanciale a listarelle sottili;
  • In una padella, far rosolare il guanciale tagliato che rilascerร  il suo grasso in forma liquida;
  • Togliere il guanciale rosolato e metterlo da parte;
  • Versare la pasta al dente e umida nella padella, dove รจ rimasto il grasso liquido del guanciale;
  • Aggiungere pochissima acqua di cottura e amalgamare;
  • A giusta cottura della pasta, spegnere la fiamma della padella, versare il pecorino grattugiato e continuare a mantecare;
  • Aggiungere il guanciale rosolato messo da parte;
  • Spolverare con pepe nero macinato e mescolare appena per armonizzare il tutto;
  • Impiattare, aggiustando con altro pecorino grattugiato e pepe nero macinato.

 

La pasta alla Gricia รจ un piatto molto gustoso e saporito, dove la grassezza del guanciale e la sapiditร  del pecorino devono armonizzarsi al profumo e al palato, con un buon vino. Se hai voglia di un vino bianco puoi abbinare la tua pasta alla Gricia con un Trebbiano Umbro servito fresco, dove la sua aciditร  sarร  tua complice. Se hai voglia di vino rosso, un Montefalco Rosso, sarร  di sostegno alla valorizzazione dei sapori decisi del piatto. A volte un peccato di gola, come quello per la Gricia e un bicchiere di buon vino, puรฒ farti sentire beatoโ€ฆ provare per credere!

 


La prima puntata

Per chi non รจ propriamente umbro sentir parlare di Brancaleone, Testanera e del Pellegrino suscita curiositร  e rimanda sovente a ricordi storici legati al Medioevo. Ma non รจ cosรฌ, รจ tutta un’altra storia.

Guardiamo dunque di cosa sto parlando. Chi scrive รจ umbro da qualche mese, esattamente dal novembre 2020, avendo scelto di vivere in un meraviglioso borgo medievale con tanto di Bandiera Arancione. Ho cercato di conoscere il paese e i comuni limitrofi non tanto per le loro peculiaritร  storiche, artistiche o architettoniche (prossimamente dedicherรฒ loro parte del mio tempo), ma per le loro tipicitร  gastronomiche visitando vigneti, cantine, oliveti, frantoi, caseifici e macellerie. Una collettivitร  e le sue caratteristiche vengono conosciute anche attraverso il cibo che viene prodotto e che viene consumato, senza scomodare troppo il filosofo tedesco Feuerbach famoso per la sua massima l’uomo รจ ciรฒ che mangia.

Ospiti e cibus

Cosรฌ, terminata la fase di lockdown, molti sono stati gli amici e i parenti che sono venuti a trovare me e mia moglie nel cuore verde d’Italia. Abbiamo cercato, credo con successo, di far assaggiare loro i prodotti tipici della regione mantenendo il nostro tipico intercalare toscano, da cui mai ci separeremo. Mangiando umbro ci siamo perรฒ sentiti tutti piรน vicini a questa regione che ha quel misterioso alone di spiritualitร . Chi viene in Umbria torna a casa piรน buono.
Le lumache in umido, gli spiedini di fegato di maiale, pasta fresca alla norcina, grigliate di agnello, fette di porchetta, testina di agnello al forno, la tamanta (lombata di maiale con pancetta in taglio unico), la porcaccia (capocollo inpanato e cotto alla brace).
Poi fra negozi, norcinerie e caseifici ho iniziato a sentir nominare il Brancaleone, il Testanera e il Pellegrino. Non ho immediatamente chiesto di cosa si trattasse, ho voluto mantenere la curiositร  alta senza scoprirla subito. A chi o cosa si riferiscono? Chi diavolo erano questi tipi? Ho fatto uno sforzo di memoria riaprendo quei cassetti chiusi una volta terminata la scuola e l’Universitร  e ho provato a risolvere il mio mistero.

Storia e leggende intorno a questi nomi

Ho cosรฌ ripercorso le vie dei ricordi tra villani, faccendieri, ordini cavallereschi, vecchi mestieri, personaggi immaginari e spunti di spiritualitร .

 

L’armata Brancaleone e Brancaleone

Brancaleone

Quando sentiamo parlare di Brancaleone non possono non venirci in mente i film L’armata Brancaleone e Brancaleone alle crociate, magistralmente interpretati da Vittorio Gassman. Il personaggio principale รจ per l’appunto il cavaliere di ventura Brancaleone da Norcia, nato intorno all’anno 1000. Tale cavaliere ha rappresentato lo stereotipo dell’italiano sbruffone protagonista di rocambolesche disavventure. Ambientati nella societร  medievale narrano, fra altre situazioni, dell’incontro con la bellissima principessa Matelda, della cattura dei pirati saraceni, dell’ardua prova di camminare sui carboni ardenti e della ricerca di nuove avventure attraversando il deserto.

 

Testanera

Per Testanera รจ stato un percorso piรน difficile da fare, non ho ricordi specifici di personaggi storici o immaginari con questo tipico nome. Ho pensato a Giovanni dalle Bande nere, condottiero del Rinascimento, a Maschera Nera (Black Mask) personaggio dei fumetti disegnati da Tom Mandrake, al Corsaro Nero di Emilio Salgari e all’investigatore Nero Wolfe. Ho esaurito la mia ricerca con le Teste di Moro tipici vasi ornamentali siciliani, ma oltre non sono riuscito ad andare.

 

Il Pellegrino

Quando si parla di pellegrino e pellegrinaggio si fa generalmente riferimento a un viaggio compiuto per devozione, per una ricerca spirituale e perfino per una penitenza. La destinazione รจ un luogo considerato sacro. Il pellegrinaggio devozionale e quello penitenziale ha anch’oggi lo scopo di raggiungere il vantaggio spirituale e il perdono. Come non citare il Cammino di Santiago, che ha resistito nei secoli ai prolungati periodo di fame, di crisi economica e di pensiero nonchรฉ alla Guerra dei cento Anni e alla peste nera.

 

Ma non รจ cosรฌ… รจ tutta un’altra storia

Ma tutto questo che ho esposto non c’entra niente con il vero Brancaleone, il vero Testanera e il vero Pellegrino. Ebbene sรฌ, รจ tutta un’altra storia e parliamo di formaggio o meglio quell’alimento tipico, in queste tre specialitร , che ti fanno pensare che qualcosa di divino c’รจ davvero: basta assaggiarli.
Il Brancaleone รจ un formaggio con una storia particolare, infatti si racconta che veniva fatto stagionare all’interno dei molini situati all’interno delle Marcite di Norcia, dove i prati sono molto umidi. Questa caratteristica del terreno permette al Brancaleone di formare delle muffe nobili permettendo al formaggio di restare molle. La pasta cremosa ha un sapore aromatico e gusto intenso, alcuni profumi richiamano il taleggio. รˆ prodotto con 60% di latte vaccino e 40% di latte ovino proveniente da animali che pascolano in Valnerina a circa 600 metri di altezza. La lavorazione รจ quella classica dei misti. Dopo la cagliata, la posa in forma e la salatura si va per una stagionatura di circa sei mesi su tavole di legno.
Il Testanera รจ un pecorino prodotto con latte ovino del territorio di Norcia. Ha una crosta rossiccia dovuta al trattamento della stessa con pomodoro o concentrato di pomodoro. Raggiunge la sua maturazione dopo una stagionatura di circa un mese, questa รจ la variante Fresco, ha un sapore equilibrato e una consistenza friabile. Deve essere conservato in luogo fresco, a una temperatura che puรฒ oscillare fra + 6ยฐ e + 12ยฐ.
La variante Stagionato ha una stagionatura da 4 a 8 mesi con sapori intensi e consistenza granulosa. In generale possiamo affermare che il suo sapore, forte e deciso, specialmente nella versione stagionata, lo rende un formaggio unico nel suo genere e che, una volta in bocca, tende a sciogliersi rilasciando gli aromi tipici del latte di pecora.

Testanera

Il Pellegrino รจ un formaggio misto stagionato a pasta compatta. Presenta un colore avorio e un sapore aromatico e il suo tipico retrogusto rimanda al sapore di panna. Ha una stagionatura di oltre 16 mesi. Prodotto con latte vaccino e latte ovino, caglio, fermenti lattici e sale presenta una crosta non edibile. Una combinazione che sembra abbia molto successo รจ quella di fare la pasta fresca in casa e condirla con acciughe (lavate, diliscate, cotte in padella e passate al setaccio) e formaggio Pellegrino abbondantemente grattugiato.

Conclusioni

Concludo con una ricetta che ho personalmente provato in casa: mezze maniche con zucca e formaggio Brancaleone. Preparazione: cuocere la zucca a tocchetti in una padella con aglio e cipolla tritata, aggiungere il Brancaleone a cubetti e panna fresca. Scolare la pasta, tenendo da parte un po’ di acqua di cottura, e versarla in padella dove l’aspetta la salsa. Aver cura che non rimanga troppo asciutta, casomai aggiungete un po’ di acqua di cottura della pasta, mescolate e macinate al momento abbondante pepe nero. Un trebbiano o un grechetto penso che ci possano stare piรน che bene.

Il “Gamay del Trasimeno”, รจ un vino umbro di eccellenza che ha una storia un poโ€™ particolare: infatti per molto tempo รจ stato frainteso e scambiato per un altro vitigno a cui deve il suo attuale nome. Un errore, a volte, puรฒ scatenare problemi o creare un capolavoro.

Immaginiamo per esempio il celebre dolce milanese che ha preso il nome dal garzone Toni, che si adoperรฒ per rimediare a un guaio culinario e da qui nacque il Pan de Toni, oggi Panettone. Lo stesso vale per la nascita del gorgonzola, dovuto a un errore di un casaro che per una dimenticanza diede vita al celebre e amatissimo formaggio. Cosรฌ come il ghiacciolo che nacque involontariamente dopo aver lasciato un bicchiere, contenente una bevanda con un bastoncino per girarla, per una notte allโ€™influenza delle gelide temperature esterne.
Cosรฌ come per la scoperta di alcuni vaccini, nati quasi per caso o per il risultato casuale di alcune scoperte o sperimentazioni scientifiche che hanno, inavvertitamente, sovvertito certe tesi conclamate o ipotizzate: solo per fare alcuni esempi, le scoperte di Cristoforo Colombo, Sobrero, Nobel, Rontgen, Curie, Fleming per quanto riguarda nuove terre, la nitroglicerina, i raggi X, la penicillina, oppure i fiammiferi, la penna biroโ€ฆ

 

Gamay del Trasimeno, foto via Facebook

La storia del nome

Ma torniamo al nostro straordinario vino Gamay del Trasimeno e alla sua storia del nome sbagliato. Fin dal suo arrivo sulle sponde lacuali nel XVI secolo, il vitigno veniva allevato con la tecnica ad alberello e chiamato Vitigno Francese e perciรฒ denominato erroneamente, fin dai suoi albori di piantumazione nelle terre circondanti il Trasimeno, Gamay, come il vitigno francese coltivato ad alberello e che da origine al vino Beaujolais. Nella dote che portรฒ la nobildonna spagnola Eleonora de Mendoza quando convolรฒ a nozze a Castiglione del Lago con il duca Fulvio della Corgna, cโ€™erano alcune viti di provenienza spagnola portate in Umbria come buon auspicio per un felice matrimonio.
Da allora quelle viti sono state da sempre chiamate Gamay, ma in realtร  appartengono alla famiglia della Grenache, vitigno che dร  origine, tra gli altri vini, allโ€™Alicante e al Cannonau.
Lโ€™errore persiste ancora oggi e nellโ€™immaginario collettivo, quel superbo vino, viene ancora chiamato Gamay a cui, per differenziarsi da quello che da origine al Beaujolais francese, qualcuno ha ben pensato di abbinare la parola Trasimeno. Quindi il Gamay del Trasimeno non รจ un Gamay ma una Grenache con il nome sbagliato.
Per le sue caratteristiche possiamo dire che รจ un vino che nasce da una bacca rossa, alla vista รจ di colore rosso rubino, dal profumo intenso con sentori di frutta secca e rossa e a volte di cacao.

 

Vini del Trasimeno, foto by Facebook

 

Come ci ha evidenziato Valentina Clemente, la Strada del Vino Colli del Trasimeno ha potuto segnalare con orgoglio che nel concorso internazionale Grenaches du Monde 2021, il Gamay del Trasimeno ha ricevuto 5 medaglie dโ€™oro con 4 cantine lacustri: Madrevite, Coldibetto, Duca della Corgna e Casaioli. I viticoltori del Trasimeno hanno lavorato con dedizione e passione e il Gamay del Trasimeno conferma, con i premi ricevuti, il suo riconoscimento e apprezzamento a livello mondiale. Siamo certi che questa eccellenza enologica umbra continuerร  a dare altre soddisfazioni ai suoi produttori e ai suoi crescenti estimatori. Assaggiare questo fantastico vino, magari ammirando il paesaggio lacustre e nel contempo degustando la tipica zuppa di pesce di lago, il tegamaccio, รจ certamente unโ€™occasione da non perdere anzi da provare e soprattuttoโ€ฆ da ri-provare.

INGREDIENTI (per 4 persone):

  • 600 g di fave sgranate
  • 120 g di guanciale di maiale tagliato a dadini
  • 4 cipollotti freschi
  • finocchio selvatico
  • qualche foglia di mentuccia
  • 3 pomodorini piccoliย  o 2 pelati
  • 5 cucchiai di olio extravergine d’oliva
  • sale
  • pepe

 

PREPARAZIONE:

Ponete in una casseruola l’olio, il guanciale e i cipollotti tritati, aggiungete quindi le fave e un trito grossolano di mentuccia e finocchio selvatico. Regolate di sale e pepe, fate insaporire, quindi unite i pomodorini a pezzetti. Portate a termine la cottura versando qualche goccia d’acqua calda se necessario. Il sugo di cottura dovrร  essere piuttosto denso.
Ricetta dell’archivio di Nicoletta De Angelis.

 

Questa รจ la versione orvietana della scafata, detta cosรฌ dal termine dialettale scafo, che indica il baccello della fava. Questa preparazione รจ diffusa, seppur con varianti, in tutta l’Umbria ed รจ conosciuta anche con il nome di baggiana. Nell’Umbria del sud le ricette per prepararla sono simili a quella orvietana, nell’eugubino come erbe aromatiche al posto del finocchietto selvatico e mentuccia si usano la maggiorana e anche il basilico. Sempre nell’eugubino esiste una versione in cui alle fave si unisce pari quantitร  di bietola. Nella zona del lago la scafata veniva chiamata fave in umido.ย 

 


Per gentile concessione diย Calzetti&Mariucci.

Certi sapori antichi fanno parte dei nostri geni, che hanno accumulato storia, tradizioni e cultura fin dalle nostre origini etrusche-romane e ci fanno sentire orgogliosi e fieri. Il senso di appartenenza a un territorio รจ visibile anche in un piatto, il cui gusto ci tocca fino in fondo allโ€™anima.

I popoli, le comunitร  e le persone si sono da sempre adattati a ciรฒ che offriva il proprio territorio, dando valore a quelle pietanze preparate per nutrirsi. Nel tempo, lโ€™estetica e la creativitร  espresse nella cottura hanno reso certi cibi piรน accattivanti e attraenti per unโ€™esperienza sensoriale che si รจ tatuata per lโ€™eternitร  nel nostro DNA. Sapori e profumi hanno pervaso e dimorano con pazienza nella nostra genia, e ogni volta che vengono risvegliati dai profumi dei cibi, ci adducono verso inebrianti sensazioni gastronomiche di assoluto compiacimento con lโ€™arte culinaria. In questa visione, una delle preparazioni che ha generato le proprie radici al tempo degli Etruschi รจ un cibo tanto semplice quanto delizioso per la sua particolaritร : il brustico, piatto tipico del lago Trasimeno e dei chiari di Chiusi e Montepulciano.

 

Il brustico, foto by www.valdichianaliving.it

 

Al tempo degli Etruschi

I nostri antenati etruschi adagiavano il loro pescato direttamente su un letto di cannine palustri umide e il pesce veniva ricoperto da un altro strato di giunchi lacustri. Il fuoco avvampava abbrustolendo il pesce esternamente. Dopo averlo raschiato, eviscerato, spinato e sfilettato veniva mangiato gustando il sapore leggermente amarognolo per la violenta bruciatura subita e per lโ€™odore di fumo. Tali antiche caratteristiche sensoriali sono rimaste intense ancora oggi nella degustazione del piatto a cui sono stati aggiunti olio extravergine di oliva, aceto o limone, sale e pepe e talvolta salvia o prezzemolo.
Ai tempi degli Etruschi i pesci utilizzati erano le tinche e le scardole, successivamente si sono aggiunte le specie inserite nellโ€™habitat lacustre in tempi relativamente recenti.
รˆ necessario ricordarsi che le specie ittiche autoctone del lago Trasimeno sono considerate in numero di sei: lโ€™anguilla, la tinca, il luccio, la scardola, lโ€™albo e la lasca (scomparsa nella metร  del secolo scorso). Oggi si possono contare 18 specie ittiche, alcune immesse nel Trasimeno in tempi differenti e successivi. Per il brustico preparato ai tempi nostri vengono utilizzati anche il boccalone o persico trota e il persico reale.

La preparazione

La preparazione del brustico ha una liturgia ben precisa, nellโ€™allestimento delle cannine, nella cottura del pesce, nella sua raschiatura e nella sua elaborazione per la degustazione. Gli Etruschi ci hanno trasmesso dei sapori antichi che ancora oggi si gustano nel brustico, con il suo sentore di fumo. Questo piatto, nel suo spirito e per le arcaiche pratiche culinarie, fa rivivere al DNA la nostra identitร  privilegiata di essere originari e appartenenti a questo nobile e misterioso territorio etrusco, che con magia ci accoglie tra le sue suggestive ed eterne rimembranze lacustri. Al brustico si puรฒ abbinare un Sangiovese rosso giovane dei Colli del Trasimeno o, per chi preferisce i bianchi, un blend di vigne lacustri a prevalenza Trebbiano con Malvasia e Grechetto che possono essere apprezzati congiuntamente o da soli e caratterizzati da un sapore delicato, armonico e fruttato.
Il brustico, con i suoi odori etruschi, unitamente a un bicchiere di buon vino, con i suoi profumi delle terre etrusche, possono rendere indimenticabili le sensazioni enogastronomiche provate nella degustazione dei sapori, che vengono accompagnate dagli splendidi tramonti pastello che si riflettono nelle placide ed eterne acque aranciate dellโ€™etrusco Tarsminass.

INGREDIENTI:

  • 600 g di piselli sgranati
  • 40 g di prosciutto tagliato a dadini
  • 1 cipollotto fresco
  • 1 bicchiere di brodo di carne
  • 4 cucchiai di olio extravergine dโ€™oliva
  • sale
  • pepe

 

PREPARAZIONE:

Fate soffriggere nellโ€™olio un cipollotto tritato e i dadini di prosciutto; unite i piselli, lasciateli insaporire per qualche minuto e portateli a cottura versando un goccio di brodo caldo se necessario. Regolate di sale e di pepe e servite.

 

 

I piselli al prosciutto, preparati soprattutto nel perugino, nellโ€™eugubinoย e nello spoletino, sono una diffusi anche nella cucina laziale.

 


Per gentile concessione diย Calzetti&Mariucci.

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