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Un viaggio lungo 7.000 km, 2 anni e mezzo e 354 tappe: i ragazzi di Vaโ€™ Sentiero riprendono il loro percorso attraverso il sentiero piรน lungo del mondo, il Sentiero Italia. Prima tappa: Visso-Norcia.

Definito dalla CNN ยซIl piรน grande tra i grandi camminiยป, il Sentiero Italia รจ lโ€™alta via che percorre le catene montuose dello Stivale, collegando tutte le regioni (comprese quelle insulari) e oltre 350 borghi montani. Un percorso, lungo otto volte il Cammino di Santiago, รจ stato realizzato circa una trentina di anni fa dallโ€™Associazione omonima e dal Club Alpino Italiano, ma รจ stato, col passare del tempo, pressochรฉ dimenticato. Fino al 2018, quando il CAI ne annuncia il progetto di restauro, attraverso non solo interventi di ripristino del tracciato e della segnaletica, ma anche tramite una serrata campagna di promozione.

 

Il percorso, courtesy of www.vasentiero.org

Il progetto Vaโ€™ Sentiero

รˆ proprio nel tratto centrale di questo percorso che sfiora i 7.000 km che incontriamo i ragazzi di Vaโ€™ Sentiero, la spedizione che, nel maggio 2019, รจ partita da Muggia (TS) per attraversare prima tutto lโ€™arco alpino e poi discendere verso le estremitร  dello stivale, in nome dellโ€™amore per la montagna e del turismo lento, nonchรฉ della volontร  di rispettare le peculiaritร  locali e di contribuire al sostegno del tessuto socio-economico di aree interne in via di spopolamento. Il progetto, nato dalle menti dei fondatori Yuri Basilicรฒ, Giacomo Riccobono e Sara Furlanetto, รจ basato su due principali sfumature del termine condivisione, quella digitale โ€“ attraverso il racconto in tempo reale sui social (Facebook, Instagram) e di media partner di primo livello (Touring Club Italiano, Radio Francigena, Gazzetta dello Sport) โ€“ e quella fisica. Chi vuole, infatti, puรฒ aggregarsi per una o piรน tappe, cosรฌ da creare spazi di condivisione per idee, progetti e storie di vita, nonchรฉ per camminare qualche ora in compagnia circondati dalla bellezza autentica dei paesaggi italiani.

 

I ragazzi di Va’ Sentiero sulla cima del monte Patino (Norcia)

Il collante dei luoghi spezzati

In apertura del secondo anno di progetto โ€“ sebbene slittato di qualche mese a causa del Covid-19 โ€“ si sono poste tappe a cavallo tra Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio, in zone che recano ancora gli evidenti segni di un terremoto devastante e dove la presenza umana sembra sia stata quasi sopraffatta dalla natura. Norcia, Castelluccio di Norcia, Arquata del Tronto, Accumoli, Colle dโ€™Accumoli e Campotosto sono luoghi in cui lโ€™unica forma di turismo possibile รจ ormai quello lento, che permette di stare a contatto con la natura, di mangiare buon cibo e di fare esperienza di rapporti umani piรน genuini.

E allora il passaggio dei ragazzi di Vaโ€™ SentieroYuri Basilicรฒ, guida del team sul sentiero e coordinatore del progetto; Sara Furlanetto, fotografa e responsabile della comunicazione; Giacomo Riccobono, ufficiale logistico; Andrea Buonpane,ย  videomaker; Francesco Sabatini, cambusiere e responsabile della ricerca culturale; Martina Stanga, social media manager, Giovanni Tieppo, driver del furgone โ€“ assume qui un valore ancora maggiore, tanto da coinvolgere anche sezioni locali del CAI e associazioni come Trekkify (Perugia), Arquata Potest e Monte Vector (Arquata del Tronto, AP), Il Cammino delle Terre Mutate (Roma) e Discover Sibillini (Macerata).

 

Parco Nazionale Monti Sibillini, foto di Sara Furlanetto

Una sfida su piรน fronti

Si tratta senza ombra di dubbio di unโ€™enorme sfida. Non solo fisica – i ragazzi hanno giร  affrontato forti nevicate, uragani, pioggia, zecche, tendiniti, infiammazioni e vesciche โ€“ ma anche personale, data dalla difficoltร  del percorso e dal fatto di trovarsi sotto i riflettori, tutti insieme, per almeno sette mesi allโ€™anno. Di grande aiuto, in questo senso, sono lโ€™accoglienza data dalle comunitร  locali e il sostegno della community di oltre 40.000 followers, nonchรฉ quello della campagna di crowdfunding e degli sponsor (Montura, Ferrino, Oxeego, Lenovo, Motorola, Fondazione Cariplo, F. Carispezia, Wonderful Outdoor Week, F. di Venezia, F. Agostino De Mari, F. CariLucca, F. dei Monti Uniti di Foggia ed EOM Italia).

Ma cโ€™รจ anche unโ€™altra sfida, forse la piรน grande: far conoscere un percorso unico al mondo, capace di unire lโ€™Italia nonostante le sue differenze, godibile attraverso un punto di vista privilegiato, quello della montagna. ยซIl nostro sogno รจ che il progetto sia il seme per una svolta nellโ€™approccio dei giovani alla montagna. Siamo consapevoli si tratti di un percorso impegnativo: la montagna stessa รจ una strada in salita. Ma Walter Bonatti, cui dedichiamo il progetto, disse che โ€œchi piรน in alto sale, piรน lontano vedeโ€. E noi proprio lร  puntiamo, in alto!ยป dichiara Sara Furlanetto, co-founder di Vaโ€™ Sentiero.

E noi, vedendo quanto coinvolgimento, quanta speranza e quanto senso comunitario ha scatenato tale impresa, non possiamo che essere dโ€™accordo con lei.

Ingredienti:

  • 400 g di farina di roveja
  • 2 l di acqua salata
  • 5 filetti dโ€™acciuga sottโ€™olio, piรน altri per decorare
  • 2 spicchi dโ€™aglio
  • olio EVO q.b.

 

Preparazione:

Mettete sul fuoco la pentola con lโ€™acqua salata. Appena lโ€™acqua arriva a ebollizione, versatevi la farina di roveja a pioggia e mescolate energicamente con una frusta per evitare che si formino grumi. Mantenendo un fuoco lento, continuate a girare la polenta con un mestolo di legno per circa 40 minuti. Mentre la Farecchiata cuoce, in una padella antiaderente scaldate lโ€™olio extravergine con gli specchi di aglio interi; quando saranno dorati rimuoveteli e inserite i filetti di acciughe, lasciandoli sciogliere lentamente a fuoco lento. Raggiunta la cottura della polenta rimuovetela dal fuoco, versatela nei piatti e condite con lโ€™olio insaporito che avete preparato; fatela riposare un minuto, poi servitela con un filetto di acciuga arrotolato al centro del piatto. La vostra Farecchiata di Roveja รจ finalmente pronta per essere gustata.
Una variante stuzzicante: per rendere piรน croccante la vostra Farecchiata, tagliatela a fette, friggetela e servitela con un filetto di acciuga.

 


La Farecchiata, (o polenta con farina di Roveja), รจ una polenta tipica dal gusto delicato e lievemente amarognolo che viene preparata in diverse zone delle Marche, ma soprattutto nella zona di Castelluccio di Norcia, in Umbria. Si tratta di un piatto antichissimo della tradizione pastorale castellucciana: un’importante fonte di sostentamento
ย per le famiglie di pastori e contadini dei Monti Sibillini. Un piatto molto povero ma che si mantiene nel tempo, ragion per cui in passato fungeva da colazione proprio per i pastori della zona. L’ingrediente principale รจ la Roveja, un piccolo e saporito legume di colore marroncino, simile ai ceci ma dal sapore piรน forte. Conosciuta anche come pisello dei campi, robiglio o corbello, la roveja รจ un legume antico, che rischia di scomparire a causa delle difficoltร  legate alle condizioni impervie del territorio e alla morfologia della pianta. Ad oggi, infatti, sopravvive soltanto in una zona circoscritta della Valnerina grazie all’impegno di alcuni agricoltori che operano nella localitร  di Preci (Cascia), dove si trova anche un’antica fonte chiamata dei rovegliari. Estremamente nutriente, con un elevato apporto di proteine, fosforo, carboidrati e un ridotto contenuto di grassi, la roveja รจ oggi Presidio Slow Food.

ยซIn forma dunque di candida rosa che si mostrava la milizia santa (โ€ฆ) nel gran fiore discendeva che sโ€™addorna di tante foglie, e quindi risaliva lร  dove โ€˜l suo amor sempre aggiornaยป. (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXI, vv. 1- 2 e 10-12)

I rosoni, veri ricami di pietra posti sulle facciate delle chiese, attraverso i loro decori filtrano la luce divina, trasformandosi in fasci colorati che illuminano le navate.
Il rosone รจ una ruota a raggi che simboleggia, secondo la tradizione cristiana, il dominio di Cristo sulla terra. รˆ presente sull’asse dellaย navata principale, talvolta anche di quelle secondarie o in corrispondenza diย cappelle o bracci trasversali. La forma circolare e la gamma cromatica hanno permesso aiย maestri vetraiย di creare opere d’arte sacra raffigurando, sotto forma diย icona, i passi piรน significativi delย Vangelo. Il rosone rappresenta la ruota della Fortuna: Dante stesso la definisce come un’Intelligenza angelica che ha sede nell’Empireo e che opera fra gli uomini attraverso un progetto divino. Il rosone ยซesplicita chiaramente la ciclicitร  della fortuna umana e confina il tempo degli uomini nell’incommensurabilitร  del tempo di Dioยป.[1]

 

Basilica di San Benedetto, Norcia, prima del terremoto.

 

Il suo nome, in uso dal XVII secolo, รจ un accrescitivo del termine di derivazione latinaย rosa, che ne suggerisce la somiglianza con la struttura del fiore. La rosa, la cui freschezza e bellezza suggerisce un simbolo etereo, richiama inoltre il calice di Cristo.[2]
Nella Divina Commedia, nel XXXI canto del Paradiso, Dante evoca la rosa celeste che raccoglie in paradiso la cerchia dei beati ammessi a contemplare Dio. Il rosone รจ in stretta relazione con il cerchio, simbolo di perfezione e quindi di Dio, ma allo stesso tempo รจ anche il simbolo del labirinto, il quale รจ creato dai tanti motivi vegetali presenti al suo interno. Il labirinto richiama la ricerca interiore e il viaggio iniziatico. Esso cosรฌ rappresenta un anello di congiunzione tra il mondo umano e quello divino.

Chiesa di San Francesco. Norcia

Un percorso attraverso la Valnerina

L’Umbria, terra di profondo misticismo e spiritualitร , cela nel suo territorio le orme dei santi che hanno cambiato il volto del Cristianesimo. Fu infatti, sulle verdi colline e altopiani di Norcia che trovรฒ la fede San Benedetto. Nel centro storico della cittร  sorge la Basilica di San Benedetto, costruita presso la casa natale del santo e poi ampliata nel XIII secolo. La facciata, con un profilo a capanna, presenta nella parte inferiore un portale strombato ed รจ arricchita nella parte superiore da un rosone, decorato con foglie di acanto e accompagnato dai simboli dei quattro evangelisti. Purtroppo la basilica รจ stata profondamente danneggiata durante il terremoto del 2016, ma facilmente si puรฒ intuire il suo antico splendore.
Di notevole interesse artistico e architettonico รจ la chiesa di San Francesco a Norcia, edificata interamente in pietra bianca e portata a termine dai francescani conventuali. Pregevole รจ il grande rosone che domina la facciata: una cornice realizzata con rosette e archi a tutto sesto, come un vero ricamo, trafora la dura pietra, rivelando il suo profondo significato attraverso il vuoto della materia ma pieno invece della luce divina.
A pochi chilometri dalla patria di San Benedetto, a Preci, si erge lโ€™Eremo di Sant’Eutizio.

La parte piรน antica dell’abbazia risale al IX secolo e nel 1190 fu completata per volere dell’abate Tendini I. L’abbazia ammalia lo spettatore poichรฉ รจ interamente edificata su un terrazzamento tra la scogliera e la vallata sottostante. Il rosone, vero gioiello della scultura, prevale sulla struttura della chiesa. รˆ un grande cerchio contornato dai simboli degli evangelisti, tipico dellโ€™architettura romanica, ma in se reca anche frammenti scultorei altomedievali.[3]

Abbazia Sant’Eutizio. Preci

Non molto distante da Norcia un altro eccelso rosone, piรน minuto dei precedenti, sovrasta e domina la facciata della chiesa di Santa Maria Assunta a Vallo di Nera. La chiesa risale al 1176 e presenta una facciata con pietre conce tipicamente romaniche. A contraddistinguerla รจ un portale gotico a ogiva ornato da capitelli e fregi e nella parte superiore un rosone scandito da dodici colonnine perfettamente in linea, il quale sembra essere riassorbito nel paramento murario.

Cittร  profondamente legata alla spiritualitร , ma anche al simbolo del rosone e quindi alla rosa รจ sicuramente la cittร  di Cascia, centro religioso legato alla figura di Santa Rita. Si erge in questo borgo la chiesa di San Francesco, presso la quale nel 1270 fu sepolto il Beato Pace francescano. Elemento di spicco della facciata, opera di maestri comacini, รจ il raffinato rosone, molto particolare poichรฉ รจ dato dall’ingranaggio delle due ruote contrapposte che creano un effetto dinamico di rotazione. รˆ composto da diciotto colonne con capitelli e diciotto archetti trilobati, i quali convergono verso il centro nel quale รจ presente la Madonna con il Bambino. Tutto intorno foglie d’acanto richiamo motivi classici. La delicatezza

Chiesa di San Francesco, Cascia

dell’intarsio rende questo rosone un vero capolavoro dell’arte scultoree regionale.

L’Appennino umbro รจ il custode silenzioso delle tracce di santi e pellegrini fondatori di eremi e cenobi ispirati alle regole della povertร , solitudine e semplicitร . A Sant’Anatolia di Narco la leggenda narra che passarono san Mauro, suo figlio Felice e la loro nutrice. Visto la loro condotta di vita, la popolazione gli chiese aiuto per essere liberati da un drago che infestava quei luoghi. San Mauro, grazie all’aiuto divino, affrontรฒ e uccise il drago. L’episodio della liberazione รจ raffigurato nel fregio della facciata. In essa รจ presente anche il rosone, tra i piรน interessanti esempi di scultura romanica umbra, a due ordini di colonne, iscritto in un quadrato con i simboli apocalittici. Il quadrato รจ delimitato da una fascia a mosaico a stelle. La simbologia della facciata รจ esemplare: il rosone rappresenta Cristo che porta luce nel mondo, identificata con la Chiesa, attraverso la voce dei quattro evangelisti che ne hanno permesso la conoscenza.[4]

Infine, un rosone molto particolare รจ sicuramente quello della chiesa di San Salvatore di Campi di Norcia, una delle testimonianze piรน importanti del territorio della Valnerina. I tragici eventi sismici del 2016 hanno portato al crollo di gran parte dell’edificio e alla distruzione del campanile risalente al XVI secolo. Le pareti rimaste sono state consolidate per rimettere in sicurezza le porzioni di affreschi che verranno reintegrate nelle parti recuperate. La chiesa, immersa nelle colline umbre, รจ un raro esempio a due navate, con due porte di accesso e due rosoni, oltretutto non allineati rispetto alla linea del tetto. Particolarmente interessante รจ la grande ghiera esterna del rosone, scolpita con tralci d’acanto disposti secondo un sinuoso movimento rotatorio a spirale.

 

Chiesa San Salvatore. Campi

Basiliche, abbazie e piccole chiese, immerse in vallate verdeggianti tipicamente umbre, luoghi magici e mistici allo stesso tempo, ma anche guide essenziali che aiutano il visitatore, spettatore o eremita a cogliere la parte piรน pura e profonda dell’Umbria. Questi e tanti altri luoghi restituiscono gioielli preziosi di un tempo passato.
Purtroppo molti di essi sono stati profondamente colpiti dal sisma di alcuni anni fa, ma molto spesso l’arte e la bellezza vincono il silenzio che scende sulle macerie, riportando questi luoghi alla loro antica bellezza.

 


[1] Claudio Lanzi,ย Sedes Sapientiae: l’universo simbolico delle cattedrali, Simmetria edizioni, Roma, 2009, pag. 162.โ‡‘
[2] M. Feuillet, Lessico dei simboli cristiani, Edizioni Arkeios, Roma, 2006, p. 97-98.โ‡‘
[3] L. Zazzerini, Umbria Eremitica. Ubi silentium sit Deus, Edizioni LuoghInteriori, Cittร  di Castello, 2019, pp. 124-131.โ‡‘
[4] L. Zazzerini, Umbria Eremitica. Ubi silentium sit Deus, Edizioni LuoghInteriori, Cittร  di Castello, 2019, p. 109.โ‡‘

Tra i cibi che fanno bene allโ€™uomo, c’รจ la lenticchia, coltura in grado di risollevare le sorti della Terra oltre che fiore allโ€™occhiello dellโ€™Umbria.

 

Lenticchia di Castelluccio

 

Vendersi per un piatto di lenticchie รจ ciรฒ che fa Esaรน quando rinuncia alla sua ereditร [1] per rifocillarsi con un piatto di ยซminestra rossaยป[2]; ma perchรฉ Esaรน cede proprio a un piatto di lenticchie? Forse perchรฉ anche lui sa che sono in grado di ยซsaziare, infondere serenitร ยป[3], ed essere ยซnutrienti per chi non puรฒ permettersi carneยป[4]. La lenticchia รจ infatti ricca di carboidrati, proteine, minerali[5], vitamine[6] e ferro, รจ povera di grassi, adatta ai soggetti celiaci poichรฉ priva di glutine e ha elevate capacitร  salutistiche dovute allโ€™alto contenuto di polifenoli[7] di cui รจ ricco anche lโ€™olio EVO – come sostiene uno studio riportato dallโ€™AIRAS. Ma gli autori del passato lโ€™hanno esaltata riconoscendole lโ€™ulteriore merito di rendere fertile il terreno[8] grazie alla sua capacitร  di fissare lโ€™azoto[9], motivo per cui la FAO[10] lโ€™ha collocata tra le colture alla base della storia dellโ€™uomo[11] e inserita nei sistemi di coltivazione per i paesi in via di sviluppo. La Lens Culinaris, resistente alla siccitร , ha trovato in quello umbro territorio favorevole, riuscendo addirittura, grazie allโ€™agricoltura biologica di Norcia che permette il verificarsi della Fioritura di Castelluccio[12], a ottenere il vanto del bollino europeo IGP.

 


[1] Guida del popolo ebraico.โ‡‘
[2] Libro della Genesi 25, 27-35.โ‡‘
[3] Naturalis Historia, Plinio il Vecchio.โ‡‘
[4] Lenticchie, tradizione e cultura in un piatto <www.stile.it> – La Stampa.โ‡‘
[5] Potassio, fosforo, magnesio, calcio, ferro, zinco, sodio e selenio.โ‡‘
[6] Vitamina A, gruppo B e C.โ‡‘
[7] Sostanze antiossidanti capaci di prevenire le malattie degenerative dellโ€™uomo.โ‡‘
[8] I legumi dellโ€™Umbria, Renzo Torricelli, Francesco Damiani <www.studiumbri.it&gtโ‡‘
[9] Diffuso in natura: nei 4/5 dellโ€™aria e in numerosi composti inorganici e organici.โ‡‘
[10] FAO: Anno internazionale dei legumi, Francesco Damiani <www.studiumbri.it&gtโ‡‘
[11] I legumi dellโ€™Umbria, Renzo Torricelli, Francesco Damiani <www.studiumbri.it&gtโ‡‘
[12] Lenticchie, tradizione e cultura in un piatto <www.stile.it> – La Stampa.โ‡‘

In Valnerina, tra i simboli che esprimono il mistero mariano, vi sono la grotta e lโ€™acqua, entrambe allegorie di maternitร  e rinascita. La grotta compare spesso nelle raffigurazioni della Nativitร  in sostituzione della stalla in muratura o dellโ€™umile capanna adibita a ricovero del bestiame, evocando, nellโ€™immaginario tradizionale, lโ€™utero in cui la vita prende forma e dal quale si manifesta.

Analogicamente lโ€™antro roccioso nellโ€™iconografia mariana della Valnerina diviene immagine di maternitร  spirituale e di rinascita mistica: fin dalla piรน remota antichitร , le pareti rocciose delle grotte circoscrivono uno spazio sacro dedicato alla meditazione, al ritiro e al silenzio.

Il luogo in cui sorge il santuario della Madonna della Stella, circondato dalle grotte degli antichi eremiti, รจ impregnato di una sacralitร  tipicamente mariana, connotata dalla valle, dallโ€™acqua che cade e scorre limpida, dalla selva ombrosa, dal silenzio dellโ€™eterno e dagli antri eremitici. Contemplando dal basso la rupe in cui quelle grotte si ergono marmoree, si ha lโ€™impressione di osservare dei nidi ormai vuoti, abbandonati da uccelli che hanno trasvolato lโ€™oceano per non farmi piรน ritorno.

La storia dellโ€™eremo risale allโ€™VIII secolo quando, nella valle del torrente Tissino alla confluenza delle valli Noce e Marta, sorse il Monasterium S. Benedicti in Faucibus o in Vallibus, soggetto allโ€™Abbazia longobarda di S. Pietro di Ferentillo. Questo luogo pur fuori dal mondo era lambito da antichi itinerari che, provenienti da Leonessa e Cascia, confluivano verso il gastaldato di Ponte e quindi verso Spoleto, capitale dellโ€™omonimo ducato longobardo: la costruzione del monastero, lungo un nodo stradale cosรฌ importante, fu dovuta sia alla politica di controllo del territorio esercitata dai duchi di Spoleto, sia allโ€™opera di evangelizzazione e di espansione del monachesimo nella montagna. A quel tempo nel solo territorio di Cascia erano presenti ben undici celle monastiche e una quindicina di monasteri benedettini.

 

 

Dโ€™altronde fin dal V secolo nellโ€™intera Valnerina alcuni monaci siriani avevano trasferito lโ€™esperienza monastica orientale nelle grotte e negli anfratti che poi portarono alla fondazione delle abbazie di Santโ€™Eutizio (Preci), dei Santi Felice e Mauro (Santโ€™Anatolia di Narco) e di San Pietro in Valle (Ferentillo). Fondamentale impulso per lo sviluppo delle esperienze monastiche nella miriade di celle e monasteri della Valnerina fu nel 480 la nascita di San Benedetto a Norcia e la successiva diffusone della Regola. Il declino dei Benedettini verificatosi dal XIII secolo, con il seguente abbandono di beni e monasteri, favorรฌ lโ€™insediamento dellโ€™ordine degli Agostiniani: nel 1308 il Capitolo Lateranense concesse i possedimenti ai frati Andrea da Cascia e Giovanni da Norcia, eremiti dellโ€™ordine di Santโ€™Agostino di Cascia, con lโ€™obbligo di versare un danaro allโ€™anno in favore della chiesa di San Benedetto in occasione della festa del Santo. Risalita la stretta valle, i due eremiti diedero inizio allโ€™opera di edificazione dellโ€™eremo attuale che poi prese il nome di Santa Croce in Valle.

 

Eremo

In questo luogo appartato ยซin mezzo a due altissimi monti, dove non si vede altro che due palmi di cieloยป alla nuova chiesa, in parte ricavata nella roccia, si aggiunsero con il tempo una decina di celle monastiche, ricavate anchโ€™esse nella parete rocciosa con lโ€™aggiunta di parti murarie. Sorgeva cosรฌ una sorta di laura, dove lโ€™esperienza cenobitica si fondeva con quella piรน antica degli eremiti orientali. La chiesa, alla quale era addossato un refettorio di cui restano solo pochi resti, fu affrescata nel 1416 da un maestro umbro. Entrando, a destra, troviamo due Pietร  e San Michele Arcangelo che uccide il drago. Compresa in una cornice in finto mosaico cโ€™รจ una Madonna in trono con Bambino tra i santi Pietro e Paolo; seguono Santa Caterina dโ€™Alessandria (con una ruota in mano), Santa Lucia (con le fiaccole in mano) e San Benedetto (che regge il libro della Regola).

Madonna della Stella

I documenti, redatti a seguito di una visita apostolica nel 1571, ci dicono che a quel tempo la chiesa era abbandonata e diruta. Nei secoli successivi di questo luogo quasi si perse la memoria. Tale situazione permase fino alla prima metร  dellโ€™Ottocento quando, nel 1833, due pastori di Roccatamburo rinvennero un dipinto tra i rovi. Da quel momento la chiesa, restaurata dai fedeli, prese il nome di Madonna della Stella in onore della veste trapuntata di stelle che indossa la vergine ritratta nel ciclo interno di affreschi. Da allora alcuni eremiti volontari si sono occupati del luogo sacro: lโ€™ultimo, ancora ricordato dagli anziani del posto, fu Luigi Crescenzi che visse nellโ€™eremo tra il 1919 e il 1949, morendo a seguito di una caduta dalle rocce strapiombanti di questo luogo lontano dalla frenesia dei tempi moderni.

Lโ€™antro, naturale o artificiale, tipico degli insediamenti anacoretici, รจ suscettibile dโ€™interpretazione simbolica. Dalle tebaidi dei deserti africani alle folte selve della verde Umbria, gli eremiti scelgono le grotte come dimore a essi piรน congeniali. Lโ€™antro roccioso รจ la tana di una belva, il demonio, con cui lo spirito prigioniero sperimenta i limiti della natura terrestre e tenta lโ€™impresa terribile del loro superamento, tramutando la caverna eremitica nellโ€™ancestrale anfiteatro in cui Dio e la belva domata sโ€™incontrano. Tra i due estremi, tomba e utero di rinascita, lโ€™angusto spazio della grotta รจ agone, campo di battaglia e martyrion, spazio sacro in cui avviene il supplizio dellโ€™Io.

Tra cornici di roccia e corone di pioppi che trafiggono il cuore piรน selvaggio della Valnerina, la convivenza col lupo, guardiano silvestre consacrato alla cosmogonia pagana della foresta, appartiene alla quotidianitร  di quella civiltร  rurale che dipinse, tra i petali di unโ€™Umbria millenaria, acquerelli di idilli bucolici custoditi oggi nello sguardo severo di unโ€™antica abitante di Gavelli che affida, alla voce flebile della memoria, il ricordo del baluginare sinistro dei lupi che tra le ombre della notte intonavano alla luna strazianti ululati.

Dalle pievi longobarde ai casseri medioevali posti a dominio delle potenti abbazie e degli eremi fioriti lungo lโ€™argine del fiume Nera, si racconta che il lupo abbia timore dalla musica. Non a caso lโ€™apparato dei miti e delle leggende dischiuse dal passato arcaico della Valnerina ha conservato le vicende di un suonatore di organetto dal volto ignoto che, tornando verso Rocchetta, avamposto medievale sorto a difesa di un antico tracciato pedemontano, incrociรฒ lo sguardo sinistro dalla bestia, che lo attaccรฒ. Colto di sorpresa, lโ€™uomo cadde e, nella caduta, lโ€™organetto che portava a tracolla emise la caratteristica timbrica cristallina che salvรฒ la vita del suonatore mettendo in fuga la bestia e dissolvendo lโ€™oscuritร  che la creatura evoca con le sue orme.

 

Il lupo, re indiscusso del Parco Nazionale dei Monti Sibillini

Leggende popolari

Tra i rovi della memoria popolare, consegnata allโ€™eternitร  del pensiero religioso e magico della Valnerina e custodita dallโ€™elsa dellโ€™antropologia, sopravvive lโ€™antica credenza secondo la quale il bambino che succhiava il latte da una madre che aveva mangiato la carne di una bestia azzannata dal lupo, non riusciva a saziare lโ€™appetito, tantโ€™รจ che nel Casciano si esprime meraviglia e stupore verso chi non riesce a saziarsi attraverso la perifrasi dialettale ยซE che te si magnatu la carne de lu lupu?ยป. Una creatura totemica per antonomasia che da un lato raffigura il lato primordiale della selva, allegoria del passaggio dalla caducitร  del corpo allโ€™eternitร  dello spirito, e dallโ€™altro evoca le suggestive rivelazioni epifaniche delle primitive tradizioni nordiche.

 

Un luparoย mostra orgoglioso la sua preda in una fredda giornata invernale

Il luparo

La Valnerina, una terra ricca di Tempo, le cui campane scandiscono il ritmo della storia intorno a focolari che rischiarano le tenebre di quelle lunghe notti dโ€™inverno e che tramandano biografie e ritratti di uomini e cacciatori di lupi, pionieri dellโ€™ultima frontiera i cui fantasmi ย appaiono e scompaiono tra ย le torri di fumo della memoria e del mito. Il luparo, cavaliere della civiltร  contadina a cui il pastore affida una missione salvifica, lโ€™uccisione della bestia e la salvaguardia degli armenti, era un eroe che riceveva gli onori della battaglia esibendo nella piazza del villaggio il corpo esanime dellโ€™animale e celebrando il dominio dellโ€™uomo e dellโ€™audacia sulla ferocia della bestia.

ยซDallโ€™alto si contemplano paesaggi come patinati, conche di un verde argenteo, colline che scendono lentamente a valle recando torri, campanili, basiliche, monasteri. Tramonti limpidi, di un rosso privo di eccesso, sfumano sulle rocche e sugli oliveti, tra suoni di campane e rondini. Lโ€™aria leggera dร  un senso di euforia fisica. Umbria, cuore verde dโ€™Italiaยป.
(Guido Piovene)

Cinque segreti da scoprire, cinque idee di viaggio per un weekend alla scoperta della Valnerina.

 

Vallo di Nera

Vallo di Nera

Una lunga storia umana e naturale, che sopravvive da secoli in un delicato equilibrio, ha modellato un territorio dal fascino medioevale:ย Vallo di Nera,ย un antico castello fondato nel 1217. Se da un lato il fiume Nera, che scorre tra ripidi versanti coperti di boschi, ha creato uno degli angoli piรน belli dโ€™Italia; dallโ€™altro lโ€™uomo, con le sue esigenze di sopravvivenza e difesa, ha arricchito questo angolo diย Valnerinaย creando uno dei piรน limpidi esempi di borgo umbro. Non a caso,ย Vallo di Neraย รจ riconosciuto come uno deiย Borghi piรน Belli dโ€™Italia. Dal castello si sviluppa una fitta rete di sentieri a quote diverse da percorrere a piedi, in bicicletta o a cavallo. Un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato, un castello che custodisce al suo interno percorsi gastronomici dai sapori antichi,ย fra tutti il formaggio, principe della tavola locale.

 

Abbazia dei Santi Felice e Mauro

Abbazia dei Santi Felice e Mauro

Lโ€™Abbazia dei Santi Felice e Mauro, sfiorata dallo scorrere armonioso del fiume Nera, narraย le epiche gesta dei due monaci sirianiย a cui รจ consacrata. Lโ€™Abbazia, mirabile esempio di architettura romanica umbra, sorge in un luogo intriso di fascino: secondo la tradizione, la Valle del Nera che oggi appare come un dipinto di borghi medioevali e antichi vigneti, in antichitร  era una selva paludosa, dimora di unโ€™oscura creatura:ย un drago. La leggenda narra che i due monaci siriani, il cui coraggio รจ narrato dal fregio finemente scolpito che sorregge il rosone, uccisero il drago ed evangelizzarono laย Valle del Nera.ย Gli affreschi del 1100, la facciata meravigliosamente scolpita, la grotta in cui si credeva abitasse il drago e la natura rigogliosa in cui รจ immersa fanno dellโ€™Abbazia dei Santi Felice e Mauroย uno dei gioielli piรน preziosiย dellaย Valnerina.

 

Eremo della Madonna della Stella

Eremo della Madonna della Stella

Lโ€™Eremo della Madonna della Stella,scolpito nella rocciaย  dalla sapiente mano di monaci benedettini, รจ uno dei luoghi piรน suggestivi della verde Umbria. Era il VII secolo quando i primi eremi si insediarono in questo angolo diย Valnerina.ย Tra i silenzi del vento e della natura, in un luogo in cui non si vedono altro che due palmi di cielo, al canto della preghiera si unรฌ quello dellโ€™arte:ย lโ€™Eremo, infatti,ย prende il nome da una suggestiva opera dโ€™arte che raffigura la Madonna vestita di stelle, rinvenuta casualmente in un dirupo. A incorniciare il sentiero che porta fino allโ€™Eremo della Madonna della Stella, un limpido ruscello che nasce sui versanti orientali dellaย Valnerina, formando una piccola cascata a poca distanza dal Santuario.

 

Altipiano di Castelluccio

Lโ€™altipiano di Castelluccio

Il ยซluogo piรน simile al Tibet che esista in Europaยป, cosรฌ un celebre viaggiatore definรฌย lโ€™altopiano di Castelluccio,ย una terra antica dai colori pastelloย custodita allโ€™ombra deiย Monti Sibillini. Un angolo di Umbria dai mille volti:ย regno della naturaย eย terra di antiche leggende, di fate dai piedi di capra e di mistici oracoli, fra tutti la Sibilla, che dร  il nome alla catena montuosa che oggi รจย Parco Nazionale. Tra le mille esperienze che si possono fare sullโ€™altopiano di Castelluccioย ce nโ€™รจ una che non delude mai:ย unโ€™escursione a piedi o a cavalloย tra i mille sentieri che costituiscono il cuore del luogo, uno scivolare quasi involontario tra le braccia di Madre Natura. E poi sapori inconfondibili che sembravano perduti, ma che provengono dal cuore di una terra generosa:ย dalla lenticchia ai cerealiย questo รจ un angolo di paradiso che parla una lingua comune, quella della tradizione.

 

Lo zafferano

Lo zafferano

Lโ€™arcano mistero che avvolge lโ€™etimologia della parola Crocus Sativus, denominazione scientifica con cui viene comunemente indicato lo zafferano, si perde nella leggenda di Croco, che si innamorรฒ mortalmente della ninfa Smilaceย per poi essere tramutato in un biondo fiore di zafferano. La coltivazione delloย zafferano, elemento identitario della storia e dei costumi umbri, attinge alle esperienze di un passato importante inteso come patrimonio prezioso dal quale trarre ispirazione.ย Un lavoro in cui lโ€™elemento umano รจ esclusivo:ย dalla preparazione delย terreno alla scelta dei bulbi, passando per il momento della sfioratura fino al confezionamento del prodotto finale.

INGREDIENTI

4 trotelle da porzione

40 g di tartufo nero di Norcia

2 alici sotto sale

1 spicchio dโ€™aglio

ยฝ bicchiere di olio extravergine dโ€™oliva

 

PREPARAZIONE

Lessate le trote, togliete pelle e spine, fate a pezzetti la polpa e ponetela in un piatto da portata. Dissalate le alici, diliscatele e fatele a pezzetti, sbucciate lโ€™aglio, schiacciatelo e fatelo soffriggere nellโ€™olio, quindi gettatelo via. Ponete lโ€™olio cosรฌ insaporito con le acciughe, fatele sciogliere a fuoco basso, quindi allontanate la pentola dal fuoco e ponetevi il tartufo a scagliette. Mescolate e versate sulle trote.

 

Questa รจ una ricetta della Valnerina. Le trote venivano consumate dalla gente piรน ricca che poteva permettersi di acquistarle; gli altri, se le trovavano, le vendevano. La trota si faceva anche arrosto, dopo averla farcita e spolverizzata con un trito di prezzemolo, aglio e pane, salato e papato, e irrorato col limone. Si cuoceva in olio e si serviva.ย 

 

Per gentile concessione di Calzetti e Mariucci Editore.

INGREDIENTI:
  • 600 g di pasta da pane giร  lievitata
  • 3 grosse cipolle
  • 12-15 foglie di salvia
  • ยฝ bicchiere d’olio extravergine d’oliva
  • sale
  • olio o strutto per la tortiera

 

PREPARAZIONE:

Sbucciate le cipolle, tagliatele a fette sottili, stendete su una placca da forno e spolverizzatele di sale. Lasciate cosรฌ per unโ€™oretta, poi strizzatele bene. Ungete una tortiera rettangolare e non troppo alta, disponetevi la pasta da pane in uno strato alto non piรน di un centimetro e cospargetene la superficie con fettine di cipolla e con foglie di salvia, lavate e asciugate. Irrorate la superficie della schiacciata con un filino dโ€™olio e fate cuocere a 180ยฐ circa per 30-40 minuti. Servite la schiacciata calda o fredda.

 

 

La schiacciata alla cipolla โ€“ che a Cittร  di Castello chiamavano pampassato โ€“ รจ conosciuta in tutta lโ€™Umbria. Si facevano perรฒ anche schiacciate con la sola cipolla oppure con le foglioline di rosmarino e, in mancanza dโ€™altro, solo con un poโ€™ di sale in superficie. A Norcia, dove era di regola prepararla quando si faceva il pane e dove veniva chiamata anche spianata, accanto alle versioni piรน povere (con sale, ciccioli o rosmarino), ve ne erano con zucchine, pomodori, a volte patate.

 

Per gentile concessione di Calzetti-Mariucci

ยซDefinire รจ limitareยป sosteneva Oscar Wilde tracciando il profilo di un Dorian Gray, tanto dannato quanto reale. Cristallizzare in una sterile definizione ciรฒ che i sensi riescono a percepire, equivale a svuotare la realtร  della sua essenza prima, quel fondamento ontologico inteso nella sua piรน profonda accezione filosofica.  

Eppure, sin dai primordi della specie, lโ€™essere umano ha sempre avvertito il bisogno di definire, di fissare. Dopo migliaia di anni tutto ha un nome. Un nome statico, che difficilmente cambierร . Eppure questa castrante catalogazione affonda le sue aride radici nel timore piรน grande che atterrisce lโ€™animo umano, la paura per ciรฒ che egli non riesce a definire e dunque comprendere. Definizioni di carta, nel vero senso della parola. Ma ci sono luoghi e visioni che si sottraggono a questa dura legge definitoria, luoghi che sembrano nascondersi e poi riapparire tra queste nebbie tanto fitte quanto rivelatrici. Ed รจ proprio da un luogo chiave del peregrinare umano che inizia la traversata: da uno stazzo, porto alpestre che da luogo di sosta diventa arrivo e partenza di nuove rotte, in un mare di nebbia che nasconde una terra ricca e sconfinata, abitata da abili contadini e celebri artigiani: la Piana di Santa Scolastica

Piana di Santa Scolastica

Delineare cosa sia uno stazzo nel suo aspetto fenomenico non รจ difficile. Linee semplici che celebrano il trionfo della funzionalitร  sullโ€™estetica, in quegli ambienti tanto spartani quanto vissuti. Ma nessuno si รจ mai soffermato su cosa rappresenti realmente, su quel fondamento ontologico che tutti schivano perchรฉ incapaci di comprendere. Lo stazzo: epopea di una civiltร  senza tempo. Definizione straordinariamente calzante che richiama alla memoria lโ€™eroico peregrinare di Ulisse. Stazzi sorti in luoghi estremi, che non sono i luoghi dellโ€™abitare, ma invitano lโ€™uomo alla contemplazione del creato. Visioni che qui si manifestano con una forza quasi titanica, con una chiarezza che sembra rendere vano non solo ogni tentativo di definizione da parte dellโ€™uomo, ma anche la sua stessa presenza. 

Eretta su fondamenta di sangue di sudore la chiesa Madonna della Neve – rudere di Castel Santa Maria e vittima dellโ€™atroce terremoto del 1979 – sembra quasi capitolare sotto i colpi dโ€™ascia di un laconico silenzio. Una grandiositร  tanto imponente quanto muta, dove i volumi ispirano soggezione. Una pianta ottagonale in cui lโ€™otto รจ universalmente considerato espressione dellโ€™equilibrio cosmico e al tempo stesso simbolo dellโ€™infinito, se ruotato di novanta gradi. Cicli pittorici di bramantesca ispirazione sembrano supplicare il piccolo uomo di non lasciarli nella solitudine muta dellโ€™universo, di non abbandonarli in quei giorni di metร  ottobre che annunciano lโ€™arrivo dellโ€™inverno. 

Piano di Santa Scolastica

Eppure nonostante i terremoti questa รจ un terra nella quale si riconosce una netta impronta del passato, un distacco abissale da una modernitร  che da queste parti viene quasi esorcizzata. E allora viene istintivo pensare a quel borgo medievale in cui architettura e memoria diventano i termini imprescindibili che ne forniscono una precisa connotazione spazio-temporale, a quel paese addormentato che prende il nome di San Marco. ยซPax tibi Marce evangelista meusยป, recita il libro che, nellโ€™iconografia tradizionale, il santo sembra difendere a spada tratta. Una pace che riecheggia forte tra queste antiche mura, tonante come il ruggito del leone che lo rappresenta. Immobile nella sua monumentalitร , la cinta muraria del paese sembra quasi dissuadere lo straniero dallโ€™espugnarla e invitare chi la osserva a scavalcare questi muri di medioevale memoria. Ed รจ proprio questo lโ€™atteggiamento migliore, quello di aprirsi allโ€™inaspettato, a sensazioni nascoste dietro ostacoli che non ne precludono la visione, ma la proteggono da sguardi indiscreti. Sentieri che si arrampicano tra questi colli, ma dove portano? Charles Peguy rispondeva con una domanda ยซChe senso ha una strada se non porta ad una Chiesa?ยปโ€ฏGiร , perchรฉ quella stradina conduce proprio a un santuario, quella di Santa Maria Annunziata, tempio mariano immerso in un laconico silenzio, tra muretti a secco e querce brulicanti di formiche. Rappresentazioni sacre che si mescolano a elementi architettonici di altissimo spessore, in un santuario che ispira beatitudine; una beatitudine che non รจ semplice assenza del dolore, ma consapevolezza di una vita eterna, che trascende una realtร  che sembra ancorarci a terra. Ma il nostro viaggio non si ferma di certo a San Marco: ricomincia proprio da quelle campagne in cui รจ fiorita la regola benedettina dellโ€™ora et labora

San Marco

Proprio lasciandoci alle spalle il paese di San Marco sembra quasi che nella mente tuoni lโ€™addio ai monti di Lucia, un addio che perรฒ รจ piรน un arrivederci. Perchรฉ lโ€™animo umano avverte il bisogno di tornare su quei passi, di dare continuitร  a quelle esperienze che lo hanno delicatamente scosso, di respirare nuovamente lโ€™essenza di questa terra, di una natura che sa essere diversa in contesti differenti. Verosimilmente la forma armonica della cittร  di Norcia rivive in quella perfezione geometrica di campi fortificati da siepi e querce, nellโ€™eleganza lineare di chiese e palazzi che connota quel mosaico di paesi sparsi nella campagna e uniti tra loro da un comune passato; un filo sottile che non รจ astensione dal futuro, ma consapevolezza della propria storia. Paesi in cui storie di vergini e santi si mescolano a sinistre manifestazioni di esseri demoniaci che la tradizione ritrae in prossimitร  di una quercia secolare, quella di Nottoria, a cui la comunitร  del posto deve la propria fama. Eppure in pochi conoscono ciรฒ che si nasconde sotto questa terra, quel fondamento ontologico inteso nella sua piรน stretta accezione materiale che qui assume la forma di unโ€™antica necropoli, luogo che trasuda unโ€™eternitร  vissuta in maniera diversa, ma che conserva la sua connotazione piรน intima. Necropoli e cimiteri, archรจ e telos dellโ€™investigare umano, di quel continuo porsi domande che accompagnerร  lโ€™uomo fino alla fine dei tempi. E forse anche oltre. 

Piano di Santa Scolastica
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