Era febbraio quellโanno e la neve scendeva e copriva lโEuropa. Tutta lโItalia lentamente si trovรฒ imbiancata dal Brennero a Palermo.
In Umbria scesero prima 10 centimetri poi 50 e la vita si fermรฒ a guardare. Lu nevone, la chiamarono a Norcia. Dopo la neve la temperatura cominciรฒ a scendere, poi nevicรฒ ancora e poi gelรฒ. A Terni la temperatura scese fino a -15ยฐ C e il termometro si schiantรฒ. LโItalia batteva i denti. Quando lโinverno sembrava finito – era il 13 marzo – il cielo si coprรฌ ancora di nubi grigie, la primavera fece un passo indietro e di nuovo cominciarono a scendere inesorabilmente i fiocchi bianchi, tanti, troppi.
Dopo la neve tornรฒ ancora il gelo, duro, terribile, crudele. Il proverbio dice sotto la neve pane, ma la neve del โ56 non ebbe pietร per il pane. Il freddo intenso distrusse il grano nei campi, bruciรฒ gli olivi e seccรฒ le viti. Gli agricoltori si trovarono senza niente da mangiare, niente da vendere, niente da vivere. Le industrie erano scarse in Umbria, nel โ56, non cโerano reti di salvataggio per chi lavorava la terra.
Un duro inverno
Fu un inverno di dolore che travolse intere famiglie e che cambiรฒ la vita di molte persone. Troppi furono costretti a lasciare la loro casa, il loro mondo, gli affetti piรน cari e prendere la via dellโesilio. Ci fu chi si spostรฒ solo fino a Terni o a Roma e chi fu costretto ad andare lontano, fino in Germania o in Francia o in Belgio. Chi rimase doveva continuare a vivere e fare i conti con la natura ma essa, con la sua forza devastatrice, non aveva tenuto conto della tenacia degli agricoltori.
Ci furono piantagioni che andarono interamente sostituite. Si buttarono via i frutti sugli alberi e anche gli alberi. Gli olivi che tenacemente resistono anche quando la temperatura scende sottozero, si arresero sotto la sferza del gelo troppo intenso e troppo lungo: si spaccรฒ la corteccia, i rami cedettero sotto il peso della neve, le foglie mutarono colore da verde a marrone. Le colline avevano cambiato volto e gli olivi sembravano zombi. I danni erano gravi, anzi gravissimi, ma quello che si vedeva non era tutto. Gli alberi si alzano da terra belli e frondosi, ma sottoterra ci sono le radici che sono lโapparato vitale e le radici avevano resistito ed erano vive.
La rinascita a primavera
Non tutto รจ perduto! fu il grido che si levรฒ ovunque. Quando finalmente la primavera arrivรฒ si portรฒ via la neve. Allora andarono tutti nei campi con la sega e tagliarono gli alberi fino a metร tronco, li capitozzarono e rimase la ceppaia. Poi tornรฒ di nuovo lโinverno e tornรฒ la primavera e la ceppaia cominciรฒ a gettare i primi rametti e lรฌ i contadini intervennero.
Invece di far crescere un solo tronco ne lasciarono crescere tre, con spazio e aria tra i rami per difenderla meglio dai vari parassiti che lโattaccano e distruggono il raccolto. Avevano inventato il vaso policonico, cioรจ erano tre strutture piramidali che avevano la funzione di abbassare i rischi in caso di condizioni avverse. Le avversitร atmosferiche sarebbero sempre tornate allora non restava che aumentare le probabilitร di sopravvivenza: se i tronchi sono tre, forse uno si salva.
Dopo la gelata del โ56 o meglio, dopo il Nevone del โ56, il panorama delle colline umbre รจ leggermente cambiato: sono spariti quegli alberi biblici che avevano un solo tronco contorto, lavorato dai parassiti ma ricco di leggende e al loro posto si sono sviluppati alberi bassi, facilmente lavorabili, che, dopo un breve tronco, si aprono in tre e che vediamo ovunque attraversando la Regione.