Ha partecipato al progetto di AboutUmbria Collation rappresentando con le sue foto la morte nel “Cantico” di San Francesco, lo ha fatto con due modelle vestite da lupo e pecora: «Ho voluto usare due figure femminili e non puntare su una maschile perché l’aggiungere un uomo avrebbe potuto declinare il progetto in maniera diversa, facendo concepire il perdono in modo differente».
Raccontare storie con le immagini, che siano in movimento o statiche, poco importa. È questo che fa Matteo Novelli, regista, fotografo e sceneggiatore perugino che nel 2016 ha fondato NoviFilm, la sua casa di produzione che da diversi anni cresce giorno dopo giorno. Diverse sono le sue opere realizzate, tra cortometraggi (Solo, Rouge e Lost Garden), foto e videoclip (Tanst) con cui ha partecipato a festival nazionali e internazionali, ricevendo anche dei premi. «Potrei considerare il mio lavoro viscerale, ma anche fantasioso; è un modo diretto per comunicare il mio pensiero. Diciamo che è comunque un procedimento in evoluzione, perché sto ancora cercando di capirmi». Cerchiamo noi, invece, di capire chi è questo giovane regista…

Regista, sceneggiatore, fotografo e docente: chi è Matteo Novelli?
Sicuramente sono la combinazione tra regista e sceneggiatore, che a volte si declina in fotografo. Per quanto riguarda l’insegnamento – il trasmettere ad altri quello che ho imparato – è stata una porzione di tempo, che magari si ripeterà in futuro.
Quale di queste professioni lo rappresenta di più? In quale è più bravo?
L’attività di regista è quella su cui faccio più affidamento. Spero che la creazione di storie, che metto in pratica unendo regia e sceneggiatura, sia il lavoro che mi riesca meglio. Io almeno ho questa percezione.
Quando, e come, è nata NoviFilm, la sua casa di produzione?
NoviFilm è la mia entità lavorativa nata nel 2016 quando ho realizzato il mio primo lavoro; poi, negli ultimi 5-6 anni, si è incrementata, diventando la mia attività ufficiale. La regia e la fotografia si sono trasformate in un lavoro quotidiano, non sono più solo una passione.
Nel magazine AboutUmbria Collection dedicato al “Cantico” di San Francesco ha scattato le foto riguardanti la parte dell’opera dedicata alla terra e alla morte. C’è un motivo per cui ha scelto questo argomento?
La sofferenza è uno stato d’animo che trovo molto affascinante, mi ha sempre aiutato a creare. Il dolore e l’erotismo sono le fonti principali delle idee della maggior parte degli artisti. Non sto dicendo nulla di nuovo, sono da secoli due argomenti alla base di innumerevoli canzoni, dipinti e film: personalmente le reputo le esperienze più stimolanti. Quindi ho deciso di rappresentare la morte, perché riesce a sollecitare maggiormente la mia immaginazione, inoltre, facendo riferimento ai miei lavori precedenti, avevo già un legame con lei, quindi mi è piaciuta come trama da sviluppare.
Ha rappresentato il tutto fotografando due modelle nei panni di un lupo e di una pecora: perché questa scelta?
Ci sono state più strade che mi hanno portato a questa scelta. La prima è stata di carattere personale e AboutUmbria mi ha lasciato carta bianca, in più le due ragazze sono state le protagoniste in altri miei progetti, quindi riproporle anche in questo è stata una dedica ai lavori già realizzati con loro.
Perché due donne?
Ho voluto usare due figure femminili e non puntare su una maschile perché l’aggiungere un uomo avrebbe potuto declinare il progetto in maniera diversa, facendo concepire il perdono in modo differente. Se avessi usato un lupo maschio sarebbe potuto sfociare in quello che è semplicemente il perdonare una mala relazione di coppia, ma in questo caso non stiamo parlando di questo, parliamo del senso universale del perdono trasmesso dalle idee di San Francesco, quindi due ragazze annullavano questa ipotesi.

Sono un lupo e una pecora che non sono più nemici, ma si abbracciano e si baciano… la sua è una speranza di pace?
Ho scritto una brevissima storia fotografica dove si passa dalla morte, al dolore fino al perdono. Ho pensato che perdonare è la forma massima di amore, il suo punto più alto; queste due figure (il lupo e la pecora) arrivano a quel tipo di perdono che sfocia in una sfumatura dell’amore. Il perdono puro è questo: capire la natura dell’altro, chiedersi perché una cosa è avvenuta e non buttarsi in quello che oggi sfocia nel populismo di aggressione, anche verbale. Due creature che sono completamente diverse non per forza devono scontrarsi. Inoltre, non potevo non farmi ispirare da un lupo, parlando di San Francesco.
Ho notato che ha una particolare attrazione verso il lupo: è anche il simbolo della sua casa di produzione, oltre al ritorno della figura nel cortometraggio “Rouge” (un cappuccetto rosso ecologico per raccontare la storia di un orso e dell’impatto ambientale dell’uomo).
È una casualità. Dopo la realizzazione di Rouge il lupo è diventato anche il simbolo di NuoviFilm, come se il cortometraggio avesse segnato un prima e un dopo. Poi è arrivato quello di San Francesco. Credo che per un po’ staremo senza lupi, ne abbiamo fatti abbastanza (ride!). Anche se effettivamente, oramai questo animale è diventato il nostro simbolo.
Sfogliando le sue foto si nota che predilige fotografare donne… è solo una questione estetica e di gusto o sente con loro una maggiore connessione?
Potrei dire che sono tutte queste cose, ovviamente non è stata un’esclusività, però – è vero – spesso mi capita di immortalare donne. È la ricerca di una tipologia di gusto e di estetica che mi affascina e mi permette di divagare e costruire maggiormente.

Oggi, tutti, con un cellulare in mano, possono fare foto, video e addirittura film: come vede questa evoluzione? Può essere una minaccia per il suo lavoro?
Sono sempre a favore dell’evoluzione tecnologica. Non sento assolutamente minacciato il mio lavoro perché ritengo che sia fatto di idee: non servono a molto dei buoni mezzi, se non si hanno idee. Trovo anche giusto che questo tipo di tecnologia sia diventata alla portata di tutti: abbiamo così la possibilità di guardare dei lavori realizzati anche da chi, per questioni economiche, non poteva permettersi un’adeguata strumentazione. Se torniamo indietro di 15-20 anni, certi dispositivi per realizzare fotografie e video erano molto costosi, non che ora siano economici però sono più accessibili, ciò permette a un numero maggiore di persone di approcciarsi a questo mondo. Poi, ovviamente, ci sono tanti lavori che non sono di mio gusto, ma al contempo si possono anche conoscere più prodotti interessanti. Quindi, se la tecnologia viene usata in maniera etica, sono sempre a favore.
È entrata – se è entrata – l’intelligenza artificiale nel suo lavoro? Le fa paura?
Nei miei lavori non è ancora entrata, sono molto analogico. Per mio gusto e perché, se cerchi un tipo di estetica, non la trovi di certo nell’intelligenza artificiale. Un conto è creare un volantino e un conto una fotografia che deve trasmettere un’idea e una sensazione. Scrivere con l’AI una foto che faccia emozionare richiede un grandissimo impegno, non è solo dare un input; devi studiare molto, soprattutto per un progetto fotografico dove tutto è più complesso: faccio prima a scattare che a capire come scrivere il testo. Credo che l’intelligenza artificiale possa essere utile per la scrittura dei soap opera o teen drama fatti a stampo e scritti male… potrebbero solo migliorare. Non può però minacciare la creatività pura – non mi fa affatto paura per il mio lavoro – al contrario può intervenire su progetti più frivoli. Non ci trovo nulla di male. Comunque si parla poco del fatto che l’AI esiste già da tanti anni nel mondo del cinema, dell’audiovisivo e della musica; la correzione artificiale, il velocizzare alcuni processi tramite un tool di montaggio ed editing sono utilizzati da diverso tempo.
C’è un regista che la ispira e che ha influenzato il suo modo di fare cinema?
Guillermo del Toro, anche per come utilizza i costumi. Mi piace come riesce a raccontare le fiabe per adulti. Non mi ritrovo nei suoi schemi registici – movimenti di macchina o cose del genere – però se parliamo di alcune sue trasposizioni, dico lui. Poi ci sono tanti registi che, pur facendo lavori lontani dalla mia visione di cinema, guardo con gusto e apprezzo proprio perché hanno idee completamente diverse dalle mie.
Tipo?
Restando in Italia penso a Paolo Sorrentino e Matteo Garrone. Mi piacciono molto, però come dicevo, sono lontanissimi da quello che io porterei in scena, hanno idee proprio diverse dalle mie.
C’è un film che avrebbe voluto girare lei?
El Conde di Pablo Larraín, uscito due anni fa. Se potessi rubare un film, ruberei quello. Non è il film preferito quasi di nessuno, ma a me piace da morire. Lui è un grande regista cileno, fa ritratti di personaggi in maniera molto personale, e in questo caso parla di Augusto Pinochet – il suo dittatore – utilizzando la figura di Dracula. Questa rappresentazione mi è piaciuta tantissimo.
Come descriverebbe il suo lavoro?
Lo potrei considerare viscerale, ma anche fantasioso; è un modo diretto per comunicare il mio pensiero. Mi capita anche di costruire sul nulla. Diciamo che è comunque un procedimento in evoluzione, perché sto ancora cercando di capirmi. Sono in una fase iniziale della carriera quindi sto costruendo e capendo me stesso: anno dopo anno ci sono sempre novità.
A tal proposito: ha dei progetti in cantiere?
Ci sono due progetti di regia. Per ora non so chi passerà davanti dei due, però cercheremo di capirlo. Al momento siamo in fase burocratica.
Agnese Priorelli
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