Varietà addomesticata nella tarda Età del Bronzo sull’Isola di Creta, il Crocus Sativus viene coltivato per i preziosi e aromatici stimmi, meglio conosciuti con il nome di zafferano.
Condimento e colorante, ma anche chioma degli angeli – secondo l’arabo za’faran – dalle proprietà psicopompe e magiche riconosciute e ricercate fin dall’antichità, lo zafferano fa la sua prima comparsa conosciuta in un documento assiro del VII secolo a.C. compilato sotto il re Sardanapalo. Essendo una pianta sterile – i fiori non riescono a riprodursi tramite i semi – ha bisogno dell’intervento dell’uomo, che deve dividere e ripiantarne i cormi (simili ai bulbi) in modo che, tra ottobre e novembre, possano sbocciare i fiori, dal profumo dolce e simile al miele. Le piante fioriscono tutte nell’arco di 15 giorni e i fiori – che racchiudono i preziosi stimmi – vanno raccolti all’alba, in modo che non sfioriscano col procedere della giornata. Non sorprende che lo zafferano venga identificato come l’oro rosso: per ottenerne 1 kg servono circa 120.000 fiori.
Tuttavia la preziosità dello zafferano non sta solo nei numeri. Il suo peculiare odore simile a fieno era talmente apprezzato nell’antichità che i Babilonesi erano soliti mescolarlo con incenso e mirra per ottenere un profumo, mentre i Greci – che pure ne attribuivano la genesi all’amore tra il padre di tutti gli dei, Zeus, e sua moglie Era – lo usavano come profumatore per i teatri. Gli Egizi, dal canto loro, cospargevano le mummie di stimmi per favorire l’ascesa delle preghiere tramite l’aroma.

Altre civiltà lo utilizzavano invece come pigmento: è il caso di quella minoica, che ne otteneva un cosmetico colorante, o dei Greci che, tendenzialmente scuri di capelli, se li imbiondivano mescolando gli stimmi all’acqua di potassio. A Gerusalemme con questo scopo veniva mischiato con l’henné, mentre Buddha e i monaci, prima di incamminarsi sul sentiero dell’estasi – ovvero verso la morte – lo utilizzavano per tingere le loro tuniche. Ma se in Persia era talmente prezioso da essere intessuto nei tappeti e nei sudari reali, in Occidente la sua fama è legata più che altro ai disperati tentativi di accaparrarselo per sfuggire alla peste. A questo scopo veniva importato via nave ma, durante uno di questi viaggi, un’imbarcazione diretta a Basilea fu oggetto di atti di pirateria: il fatto fu considerato talmente grave da scatenare una guerra, nota come Guerra dello Zafferano.
Apprezzato non solo per le proprietà amaro-toniche, anti-spasmodiche, coloranti e aromatizzanti, lo zafferano ha trovato in Umbria – e, in particolare, nei territori di Città della Pieve, Cascia, Gubbio e Spoleto – un territorio d’elezione. Proprio a Cascia – dove è stato reintrodotto nel 1999 – era molto diffuso tra il Tredicesimo e il Sedicesimo secolo per le sue proprietà terapeutiche, mentre a Città della Pieve era ricercato per le sue proprietà tintorie, al punto che già nello Statuto di Perugia del 1279 se ne vietava la semina da parte di forestieri.
Oggi il consorzio Il croco di Pietro Perugino – Zafferano di Città della Pieve è costituito da 30 soci produttori di zafferano e viene commercializzato esclusivamente in fili per garantire la sua autenticità, mentre a Cascia l’Associazione dello Zafferano di Cascia – Zafferano purissimo dell’Umbria, fissa il prezzo minimo del prodotto il 25 novembre, in occasione della festa di Santa Caterina di Alessandria, seguendo un’antica tradizione medievale. A fine ottobre, viene inoltre organizzata la Mostra Mercato dello Zafferano di Cascia.
Per finire, a Spoleto i produttori sono riuniti sotto il cappello di Zafferano del Ducato, mentre l’Associazione Zafferano di Gubbio nasce dall’intento di alcuni giovani di ripristinare le coltivazioni e promuovere lo zafferano, spezia da veri re.
Eleonora Cesaretti
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