Paolo Massei: «Parlo al ferro e gioco con il fuoco»

Quattro chiacchiere d’arte con Paolo Massei, lo scultore che lavora a Bevagna. L’ho incontrato nel suo studio per osservare le sue opere e i suoi materiali: «Ho fatto esposizioni anche con le cipolle e il pane, non disdegnando la ceramica, la pietra, l’alluminio, il marmo e il bronzo ovviamente».

Paolo Massei nasce a Bevagna nel 1954, è un uomo con i capelli lunghi raccolti in coda, caratteristica tipica di chi si nutre di libertà, stile e creatività. Inizia la sua esperienza lavorativa all’età di 8 anni in una bottega del ferro dove il padre lo aveva mandato a imparare il mestiere. È proprio l’officina che diventerà per sempre il suo spazio, il suo ardore e il suo slancio. Qualcuno in paese lo chiama ancora fabbro, malcelando un sentimento di risentimento o per mitigare un senso di frustrazione scaturita dal confronto.
Ha collaborato con artisti del calibro di Ettore Colla, lo svizzero Paul Wiedmer, l’americano Solomon Le Witt, detto Sol, Agapito Miniucchi, Bruno Ceccobelli e T. Haynes.
Fra le mostre personali più importanti si evidenziano: Io e il mio amico fuoco, Ontario Canada, Paolo Massei Galleria Steinon, Anversa, Così io sono Galleria Gaspar Pirano Slovenia, In tempo col tempo Villa Fidelia Spello, Segni, tracce e sogni, museo Nazionale di Jasi Romania. Numerose le opere pubbliche: Vunya, Ostia; Vallucciole ferro e fuoco, Stia; Le sirene del lago, Tuoro sul Trasimeno; Segno in aria, Wellington Nuova Zelanda; Ai morti di Nassrya, Bettona e le più recenti L’insostenibile leggerezza del ferro, Mugnano (PG); Omphalos, Bevagna, Archè Il principio del reale, Roma. È stato l’ideatore e curatore del Parco Scultoreo di Castelbuono (Bevagna).

L’ho incontrato presso il suo studio, in Vicolo Porta Molini a Bevagna, per osservare le sue opere e i suoi materiali, ho prestato attenzione ai dettagli e al modo in cui sono state realizzate. È nato subito un dialogo genuino e perciò ho lasciato che la conversazione scorresse naturalmente, confrontandosi su vocazione, libertà, astrattismo, simbolismo, idee, concetti e tormenti. Ama definirsi: «Umile servo della materia» e uno dei suoi slogan preferiti è: “Quello che gli altri scartano diventa il materiale su cui creare“.

Paolo Massei

Massei come ha scoperto la vocazione per la scultura?
In officina avevo già una certa predisposizione. La vocazione, il desiderio e la profonda inclinazione verso la scultura probabilmente erano celate, o meglio non erano state ancora esplorate, ma ci furono, negli anni ’60, due eventi che per me, allora adolescente dalle mille speranze, rappresentarono il punto di svolta. A 13 anni visitai una mostra a Foligno e conobbi Ettore Colla, pittore e sculture protagonista dell’astrattismo italiano. Mi impressionò molto il suo modo di reperire pezzi di scarto e assemblarli in modo astratto per creare un’opera d’arte. Poi la possibilità di conoscere l’arte di David Smith, Alexander Calder e Beverly Pepper, protagonisti anni prima della mostra/allestimento a cielo aperto a Spoleto, dettero a me stesso la certezza che stavo per intraprendere il mio percorso di artista.

Quali materiali usa?
Io parlo al ferro e gioco con il fuoco, anche se tutta la materia è adatta al mio lavoro. Pensi che ho fatto esposizioni anche con le cipolle e il pane, non disdegnando la ceramica, la pietra, l’alluminio, il marmo e il bronzo ovviamente. Ogni movimento manuale, ogni attrezzo che uso, è come un prolungamento delle mia braccia, delle mie mani, fratturate molteplici volte. Per me forgiare il ferro va oltre il lavoro manuale con sentimento di dedizione, evoca soprattutto la trasformazione e la passione.

Come si sviluppa il suo processo creativo?
Il mio lavoro parte dalla ricerca di un’idea che sia valida e per trovarla devo leggere, documentarmi, informarmi, aggiornarmi e visitare mostre. Trovata l’idea ampia e creativa e un concetto che può essere definito e astratto, inizia la sperimentazione e vedo se funziona. Infine, la realizzazione. Io sono uno scultore e per colmare il vuoto (la mia anima) devo riempire una parte dello spazio creando una forma.

Invece il percorso creativo come si è evoluto?
Il percorso mi vede, nella prima fase, protagonista dell’astrattismo, grazie anche all’influenza di Ettore Colla, per passare successivamente al simbolismo e ritornare ancora all’astrattismo nelle sue diverse forme, prediligendo quello geometrico.

A questo punto ci siamo soffermati a parlare di libertà quando Paolo Massei ha voluto sottolineare: «L’arte per me ha il compito di cogliere ed evidenziare solo quelle forme poetiche, anche se drammatiche, che comunicano, danno commozione, che traghettano verso l’indefinita felice libertà». È emerso che il rapporto tra scultura e libertà è profondo e complesso. La scultura è un’espressione di libertà creativa, poiché lo scultore ha la possibilità di plasmare e modellare il materiale secondo la sua visione e la sua ispirazione. Inoltre, la scultura può essere utilizzata per rappresentare la libertà in senso più astratto, come concetto filosofico. Direi che nel caso di Massei, scultura e libertà sono complementari e legate da un rapporto di reciproca influenza. La scultura è libertà e attraverso la sua opera si manifesta. In Paolo Massei c’è la libertà d’azione e di espressione, la libertà di sperimentare e innovare, la libertà di creare opere che invitano a riflettere, la libertà di rifiutare una commissione se non rispetta i suoi canoni.
In lui vedo molto il Wanderer del Romanticismo tedesco. Qui, chi segue un cammino non si dirige soltanto verso qualcosa di connotabile fisicamente, verso un luogo reale, tangibile (nel suo caso la scultura); al contrario, egli è un protagonista dello spirito, un essere che va alla ricerca di sé stesso, o meglio dell’indefinibile, rifiutando le convenzioni sociali.

Spesso nelle sue esposizioni parla di affliggersi, cosa intende esattamente?
L’arte è sofferenza, la ricerca è sofferenza, l’affliggersi fa parte di tutte quelle domande che conducono l’artista a quel tormento interiore che lo porterà, attraverso un accumulo di idee, a studiare e creare in solitudine la propria opera. Il tormento è il mio inseparabile amico, senza di esso non sarei arrivato dove sono. L’affliggersi non si esaurisce mai, si alimenta in continuazione. Da quando trovo l’ispirazione, con l’immaginazione o la visione, a quando termino la mia opera l’affliggersi è una costante che inspiegabilmente si trasferisce anche sull’idea e il concetto del prossimo lavoro che andrò a fare.

Questo passaggio mi ha ricordato Dante e le anime “afflitte” nella Divina Commedia, quelle dannate nell’Inferno e quelle penitenti nel Purgatorio. Nel suo caso non è tristezza colpevole  che si condanna, bensì un dolore giusto che purifica e redime. Nel Purgatorio infatti la tristezza e il tormento hanno una funzione positiva, purificante legata alla speranza della salvezza e anche in Paolo Massei il tormento, anche se non voluto e non cercato, è un dolore giusto, utile per il suo percorso di artista.

Come si supera un blocco creativo e un feedback negativo?
Sono due aspetti importanti del mio lavoro e direi anche necessari. Il blocco creativo è una temporanea e frustante mancanza di idee, ispirazioni ed energia che colpisce tutti gli artisti. Io personalmente non mi siedo in un angolo aspettando l’ispirazione, non mi fermo, continuo a creare e, con la sofferenza e la sperimentazione, cerco di superarlo. Il feedback negativo lo accetto, è uno stimolo per spiegare il mio pensiero. Da esso può nascere un confronto alla fine del quale posso far ricredere il fruitore o ricredermi io stesso, ma per essere efficace esso deve essere costruttivo, specifico e focalizzato sull’opera e non sulla persona, altrimenti è solo ignoranza.

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Per concludere, alla fine cos’è per lei l’Arte?
L’arte è anima, spiritualità e vita e la materia è importante comprenderla, mettersi in sintonia con essa, così da riuscire a forzarla e penetrare oltre quelle che sono le sue naturali potenzialità costruttive. L’arte non va solo fatta, va vissuta e vivere l’arte significa ricerca. La ricerca poi non deve essere indirizzata solamente all’opera, ma soprattutto verso l’io, verso la costruzione di se stessi. Inoltre, il successo dell’opera dell’artista non è il messaggio che vuole dare perché in realtà nel mio caso non c’è, quanto la capacità di far vivere al fruitore una serie di emozioni, turbamenti ed eccitazioni. Il fruitore deve vivere l’emozione della forma, elaborare l’opera e costruirla nella propria mente. Ergo, se nel ricettore si scatena l’emozione di immaginazione e il farsi proprio di un messaggio nato dalla sua osservazione l’opera ha avuto successo.

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Domenico Arcangeli

Nato a Pistoia nel 1962, dopo il diploma di maturità scientifica si laurea in Scienze Politiche – indirizzo politico sociale – all'Università degli studi di Firenze. Lavora per oltre venti anni come consulente finanziario per poi seguire la tabaccheria di famiglia. Nel 2020 si trasferisce in Umbria alla ricerca di nuove avventure. Nonno delle bellissime Alma e Giada, è articolista, ghostwriter e scrittore di "romanzi ingialliti".