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Il mio nome è Walkiria, donna guerriera

«Il mio nome è Walkiria: le Valchirie erano le figlie del dio della guerra. Una donna guerriera poteva essere solo una Walkiria».

Nomen omen, quello di Walkiria Terradura ha scritto, insieme a quelli di molte altre italiane, la storia della Resistenza; una storia in cui la lotta contro il pregiudizio della società maschile dominante è stata ardua quasi quanto quella contro i nazi-fascisti. Ma la storia di questa eugubina straordinaria ci racconta come i sacrifici, le privazioni e nondimeno le perdite subite da ragazzi poco più che ventenni hanno finito per appianare le differenze di genere, in nome di un unico grande ideale, quello della libertà.

Stirpe di terra dura

Tutto ha inizio il 13 gennaio del 1944, quando i fascisti dell’OVRA (Opera Vigilanza Repressione

Walkiria Terradura

Antifascismo) fanno irruzione nel Palazzo dei Duchi di Urbino, a Gubbio, dove Walkiria vive insieme al padre Gustavo e ai fratelli. La stessa Walkiria, in alcuni articoli scritti per «Patria Indipendente», ricorda come un incubo quella terribile notte di gennaio[1]. Il padre non aveva preso sul serio gli avvertimenti riguardo ai movimenti sospetti dell’OVRA da Perugia a Gubbio, pensando che la neve e il gran freddo avrebbero fatto da deterrente: si trovò quindi braccato in casa propria. Fu proprio a Walkiria che venne l’idea di nasconderlo: si ricordava – a seguito dei suoi giochi di bambina – di una cavità tra le travi della soffitta. Quel fervente antifascista che era l’avvocato del Foro perugino Gustavo Terradura, non senza notevoli sforzi, vi si infilò e lì rimase per ben otto ore. I soldati rivoltarono tutta la casa come un calzino, ma non riuscirono a trovarlo. Quando finalmente se ne andarono, Gustavo e Walkiria – ormai nota alle autorità – si diedero alla macchia, scegliendo la Selva del Burano, al confine tra Umbria e Marche, come loro meta.

Sacrifici e patimenti in una vita all’addiaccio

Walkiria lungo le rive del torrente Burano, foto di «Patria Indipendente»

Ma nei boschi non erano soli. Molti partigiani già compartivano la durezza e la moltitudine di pericoli di una vita all’addiaccio, sotto il fuoco nemico e quello alleato. Gustavo si unì quindi alla V Brigata Garibaldi di Pesaro e Walkiria lo seguì come combattente aggregata al V Battaglione, chiamato Gruppo Panichi, dal nome del comandante Samuele Panichi.
Gli uomini, inizialmente, guardarono con diffidenza le giovani combattenti, ma vuoi per la loro bravura nel captare le informazioni, vuoi per la fame, il freddo e la paura che condividevano, ben presto si convinsero che anche le donne erano all’altezza dei compiti che quel momento delicato richiedeva. Al punto che Walkiria venne nominata dai suoi compagni capo di una squadra, chiamata Settebello, di cui era appunto l’unico membro femminile. Secondo Walkiria fu perché sapeva fare «un discorso politico»: aveva infatti ereditato dal padre un atteggiamento sprezzante verso il regime e più volte era stata interrogata in questura e redarguita. Non era l’unica: suo fratello Araldo si era arruolato nella Marina e stava scontando sette anni di prigionia in Egitto; l’altro, Enrico, era partigiano in Jugoslavia e Lionella, sua sorella minore, ben presto l’avrebbe raggiunta sui Monti del Burano.
Ma come si svolgeva quella vita da guerriglieri? Ci si spostava continuamente da un posto all’altro, trovando ospitalità presso le stalle che i contadini, poverissimi, mettevano a disposizione; ci si scaldava con il fiato degli animali e dormendo tutti insieme sul pagliericcio sparso sul pavimento. Spesso si riusciva a cucinare qualcosa di caldo, come una minestra di lardo, nei grandi camini delle cascine di una volta, persino in quelle abbandonate. Di giorno si discuteva di azioni, da compiere dopo che gli Alleati avrebbero lanciato dagli aerei armi e materiale bellico. Con i paracadute bianchi e rossi che li accompagnavano si potevano fabbricare camicie e fazzoletti.
Quando cominciò a piovere dal cielo soprattutto plastico, fu chiaro cosa bisognava fare: far saltare i ponti per impedire l’avanzata o, alternativamente, la ritirata, dei tedeschi. Fu proprio in questo ambito che si specializzò Walkiria: insieme al commilitone Valentino Guerra, minava gli stretti ponti fra i monti anche per impedire che i tedeschi, furiosi per le sconfitte subite sul piano internazionale, riversassero la propria rabbia sulla popolazione innocente e inerme. Una volta, Walkiria e Valentino, dopo una di tali azioni, si ritrovarono soli a contrastare un nutrito gruppo di avversari. Ebbero evidentemente la meglio, ma su Walkiria cominciarono a pesare ben otto mandati di cattura. Le truppe tedesche antiguerriglia, sebbene le stessero continuamente alle calcagna e girassero con la sua fotografia, non riuscirono mai a catturarla.

 

Le compagne partigiane

Rosina, al secolo Rosa Luxemburg Panichi, con la sua cavalla Ribella, in «Patria Indipendente»

Il V Battaglione, lassù sulle montagne del Burano, resisteva anche grazie ad altre partigiane, quattro delle quali Walkiria stessa ricorda con affetto nei suoi scritti.
C’era Rita, di soli 16 anni, cui era toccato un moschetto modello 91 che, quando aveva la baionetta innestata, era alto quanto lei; c’era Iole, scappata dalla Repubblica di San Marino dopo aver saputo le violenze perpetrate nei confronti della popolazione e l’ennesima cattura di ebrei; c’erano Rosina[2], figlia di Samuele Panichi, e Lionella, la Furia dai capelli rossi che non smentì di certo il carattere intrepido della famiglia Terradura.
Walkiria ricorda Rosina per il suo corpo grande e solido, così come per la sua grande forza e il suo linguaggio a dir poco colorito. Sembra che una volta avesse abbattuto un vitello con un pugno dritto tra gli occhi; eppure era una persona generosa e allegra, dall’umorismo facile, che trasportava sempre grandi carichi per assicurarsi che nemmeno alla madre, anch’essa alla macchia, non mancasse nulla. Portava con sé anche erbe medicinali essiccate per curare i malanni di tutta la squadra, ma anche caramelle, da distribuire ai bambini che incontravano durante i frequenti spostamenti.
Lionella, invece, aveva costituito una vera e propria sorpresa, pure per la stessa Walkiria. La ragazza, dopo la fuga del padre e della sorella, aveva deciso di restare a casa perché certa di non avere nulla da temere: non aveva mai fatto scelte politiche paragonabili a quelle dei familiari. Eppure, qualche tempo dopo, era arrivato l’ordine di arrestarla; durante gli interrogatori si era dimostrata arguta, tanto da riuscire a interpretare, quando necessario, il ruolo della ragazzina sprovveduta e ignorante.  Così i fascisti l’avevano liberata e lei, contravvenendo ai loro ordini, aveva subito lasciato Gubbio per raggiungere Walkiria e Gustavo sulle montagne.

Lionella Terradura, in «Patria Indipendente»

Lì si rese protagonista di azioni estremamente coraggiose, tanto da essere soprannominata Furia per la sua imprevedibilità e irruenza: se Walkiria armeggiava con l’esplosivo, Lionella «andava a sequestrare il grano ammassato nei vari silos della zona prima che lo trafugassero i tedeschi e ne curava, insieme ai compagni, la distribuzione alla popolazione affamata; faceva incetta sia di moderni fucili da caccia che di antiche doppiette, in attesa che arrivassero dal cielo i rifornimenti di armi promessi dagli anglo-americani; nei paesi limitrofi alla zona partigiana curava la raccolta di denaro per pagare almeno in parte i prodotti alimentari che ci fornivano i contadini più poveri; cercava nuove basi per i ragazzi che arrivavano alla macchia sempre più numerosi, spostandosi da un luogo all’altro a cavallo, che montava a pelo, con una maestria e una disinvoltura invidiabili.[3]»

Il 25 aprile del 1945

Molti dei volti che prendono forma tra le pagine, Walkiria non li rivedrà mai più: ragazze e ragazzi che, per la libertà, donarono gli anni più spensierati della vita, diventando adulti prima che il tempo facesse il suo naturale corso. Molti di essi, conosciuti nei boschi umbro-marchigiani, erano americani, giunti a combattere in terra straniera e forse lì periti. Ma dalle parole di Walkiria non traspare alcun rimpianto né rimorso: la consapevolezza di aver contribuito a liberare il mondo da regimi oppressivi cancella i sacrifici individuali e attenua le sofferenze fisiche e spirituali.
E poi molti degli amici e compagni torneranno con lei nella natia Gubbio, così da festeggiare insieme la tanto attesa Liberazione:

walkiria terradura
Una scena di Bandite, un documentario del 2009 di Alessia Proietti, visibile gratuitamente in streaming fino al 26 aprile su Openddb

«Appena appresi la notizia della definitiva vittoria partigiana, ricordo di aver riso e pianto, stordita da tale avvenimento che pur sapevo vicino. Uscii di casa quasi correndo per incontrarmi con quei ragazzi eugubini che avevano combattuto con me nella V Brigata Garibaldi, e anche con i ragazzi di altre formazioni, per festeggiare insieme la vittoria. Ricordo che ci abbracciammo commossi e che andammo a brindare, ora in una osteria e ora in un bar, gridando tanti evviva e tanti abbasso sino a diventare rochi. Rimasi poi soltanto con i miei tre amici più cari, Carlo, Oreste e Silvio per cercare Nanne Monacelli, un compagno che aveva tenuto nascosti, a rischio della vita, moschetti, bombe e fucili mitragliatori, prelevati dopo l’armistizio da una polveriera del nostro esercito che poi, portati in montagna, ci permisero di formare i primi gruppi armati. Nanne, non appena ci vide, ci invitò tutti a pranzo e sua moglie preparò – come si dice a Gubbio – un sugo finto (cioè senza carne) leggero ma assai gustoso, con il quale condì un bel piatto di pasta asciutta. Mise poi in tavola pane, salsicce secche, insalata e due grandi boccali di vino. Quello fu il pranzo con il quale festeggiammo il 25 aprile che ancora ricordo per tutto ciò che ci dicemmo e per le risate egli scherzi che si protrassero fino a sera, di cui tutti fummo bersaglio.[4]»

Partigiana per la vita

Nonostante il matrimonio con il capitano dell’OSS (Office Strategic Service) Alfonso Thiele e l’iniziale trasferimento negli Stati Uniti, Walkiria decise di tornare in Italia per partecipare attivamente all’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)[5]. Attualmente vive a Gubbio. Siamo certi che oggi, nonostante il passare degli anni, festeggerà con lo stesso entusiasmo e orgoglio di quel 25 aprile 1945, giorno della Liberazione dal nazifascismo.

 

 

 


[1] Per chi volesse apprendere i fatti direttamente dalla penna di Walkiria, si consiglia Partigiana tra i monti del Burano, «Patria Indipendente», 11 marzo 2007. https://www.anpi.it/media/uploads/patria/2007/3/22-24_TERRADURA.pdf
[2] Diminutivo di Rosa Luxemburg Panichi. Walkiria ne traccia le caratteristiche in questo articolo di «Patria Indipendente» del 23 giugno 2002: Le compagne partigiane del mio battaglione: Rosina, https://www.anpi.it/media/uploads/patria/2002/6/38-39%20.%20Terradura.pdf da cui emerge il ritratto di una ragazza con un forte senso del dovere verso la famiglia, pronta a sacrificare la propria felicità per quella del prossimo.
[3] Cfr. Mia sorella “Furia”, la partigiana dai capelli rossi, in «Patria Indipendente», 19 aprile 2009. https://www.anpi.it/media/uploads/patria/2009/3/90-91_TERRADURA.pdf
[4] Cfr. Alla vittoria ricordo di aver riso e pianto, «Patria Indipendente», 31 marzo 2005. https://www.anpi.it/media/uploads/patria/2005/3/45_TERRADURA.pdf
[5] Anche Lionella sposò un americano, il mastro macchinista Thomas Bruno, e insieme ebbero due figli. È morta nella Contea di Hudson, New Jersey, nel 2009. Cfr. https://it.findagrave.com/memorial/112892925/lionella-terradura-bruno


 

Approfondimenti:

La figura di Walkiria ha ispirato un libro-archivio visibile qui  https://www.behance.net/gallery/30779023/Walkiria-Terradura e qui https://cargocollective.com/massimilianovitti/following/all/massimilianovitti/WALKIRIA-TERRADURA.

Per altre storie sui compagni partigiani di Walkiria:

Spunti per una riflessione della Resistenza femminile: Le voci di 12 partigiane, la Resistenza ha dimenticato le donne: non erano ben viste era una società maschilista, «Il Messaggero», 4 giugno 2019. https://www.ilmessaggero.it/mind_the_gap/donne_partigiane_resistenza_uomini_maschilismo_libro_nazismo_fascismo-4536559.html

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Eleonora Cesaretti

Giornalista, è laureata in Lettere Moderne e in Informazione, Editoria e Giornalismo ed è appassionata di letteratura contemporanea, scrittura, fumetto e nuovi media. Ha collaborato come editor per diverse case editrici e come articolista per testate online. Caporedattrice, editor e web designer, svolge attività di creazione di contenuti, correzione bozze, coordinamento e realizzazione di siti web.