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Montone

di Laura Zazzerini

  Montone appartiene al Club de I borghi più Belli d’Italia


«Correva l’anno 800 e sulle colline che dividono Città di Castello da Umbertide vivevano i cosiddetti popoli Arienatiche secondo quanto sarebbe stato riferito dallo storico Lucantonio Canizi in un’opera da lui scritta nel 1626, in quell’epoca abitavano nell’Alta Valle del Tevere, divisi in sei castelli.»

Storia

Con queste parole prende l’avvio la storia di Montone in un vecchio articolo;[1] mentre Mario Tabarrini scrive che «il primitivo Montone sarebbe poi stato distrutto dai Goti e solo intorno al 1000 esso fu riedificato»[2]. Di certo il primo documento che cita Montone definendolo castrum con un castaldo – diviso in due borghi e con una pieve già dotata di possedimenti terrieri posti tra le tenute dei marchesi del Colle (poi di Monte S. Maria) e del monastero benedettino di Camporeggiano – risale al 1121.

Andrea Fortebraccio, noto come Braccio da Montone (Perugia, 1 luglio 1368 – L’Aquila, 5 giugno 1424), foto Wikipedia

Nel gennaio dell’anno 1200 i due fratelli, Fortebraccio e Oddone, figli di Leonardo, chiedono a Perugia la cittadinanza, cedendo al comune ogni loro possedimento e venendo annoverati nella nobiltà cittadina con dimora nel rione di Porta S. Angelo. Anche Montone viene assegnato al contado di Porta S. Angelo e i consoli della città, firmando l’atto, scatenano la sollevazione, appoggiata da Città di Castello, della parte capeggiata dalla famiglia degli Olivi, avversa ai Fortebracci. La sconfitta dei tifernati che ne consegue, obbliga i montonesi, come tutti gli altri castelli sottomessi, a portare il palio a Sant’Ercolano. La sottomissione viene ribadita nel 1216 «con promissione di correr sempre et nella guerra et nella pace l’istessa fortuna del popolo perugino».[3]
Da questo momento e per due secoli a seguire Montone resta legata a Perugia, sebbene sempre contesa da Città di Castello, fino a che nel 1250 anch’essa finisce per sottomettersi a Perugia.
Il 1368 è un anno importante per Montone, infatti il 1° luglio nasce (alcuni storici sostengono proprio a Montone, altri invece a Perugia) Andrea Braccio da Montone, il più grande condottiero di ventura umbro. Nel 1392 lo troviamo schierato dalla parte dei nobili perugini in lotta contro i Raspanti, i quali però hanno la meglio e mandano in esilio tutti gli avversari sconfitti; compreso Braccio, che si rifugia a Montone. Da qui nel 1394 tenta di occupare la Fratta (l’odierno Umbertide) per impedire che finisca nelle mani dei Raspanti perugini, ma un agguato lo rende prigioniero. Interviene Biordo Michelotti a liberarlo, che era a capo dei Raspanti perugini, ma pretende che gli venga ceduto Montone, pertanto «l’avventura della Fratta costò a Braccio l’onore e alla famiglia il feudo»[4].
Successivamente Braccio lascia Montone e passa al servizio di Firenze. Alla morte di Biordo Michelotti i fuoriusciti tentano di rientrare a Perugia così Braccio, alleatosi con Bartolomeo degli Oddi detto il Miccia, insieme ad un piccolo drappello di uomini cerca di impossessarsi di Perugia, ma questa per difendersi si sottomette al Duca di Milano. Braccio passa poi al servizio di Alberico da Barbiano che si trovava in guerra con i bolognesi e poi di Ladislao, re di Napoli. Il 28 agosto 1414 l’antipapa Giovanni XXIII concede a Braccio e ai suoi discendenti la signoria perpetua di Montone. Nel 1416 Braccio attacca Perugia e ottiene a Sant’Egidio, dopo una cruenta battaglia, una schiacciante vittoria sui suoi nemici, così il 19 luglio può entrare trionfalmente a Perugia dove viene acclamato signore. Seguono le conquiste di Todi, Terni, Narni e Orvieto e ancora Montefeltro e Urbino.
Braccio Fortebracci muore a causa delle ferite riportate in battaglia a L’Aquila nel 1424. Con la sua scomparsa il Pontefice riprende possesso dei territori conquistati da Braccio e Montone nel 1478 diviene parte integrante dello Stato della Chiesa: le sue mura vengono distrutte così come la dimora della famiglia Fortebracci «che era delle più belle e magnifiche d’Italia»[5]. «Alla morte del grande Braccio […] il paese cessa di essere uno dei principali protagonisti nella storia dell’Italia medioevale e il suo nome ricorre con sempre minore frequenza nelle cronache del tempo»[6]. Ma la storia di Montone continua e dal 1518 al 1640 assistiamo alla presenza nella contea (elevata a marchesato nel 1607) della famiglia tifernate dei Vitelli a cui papa Leone X l’aveva data come compenso per l’aiuto prestato nella conquista del ducato di Urbino. Ultimo marchese è Chiappino Vitelli, alla cui morte Montone passa al governo diretto della Chiesa. Dopo Napoleone si mantiene libero comune e con il regno d’Italia entra a far parte del mandamento di Umbertide.

Chiesa di San Francesco


Foto di Enrico Mezzasoma

L’edificazione della Chiesa di San Francesco viene fatta risalire al primo decennio del Trecento, ma recenti ricerche d’archivio compiute da Maria Rita Silvestrelli hanno prodotto nuovi risultati per la ricostruzione della storia dell’insediamento francescano documentandolo già dal 1268[7]. Essa sorge all’interno delle mura cittadine, sul luogo denominato Castelvecchio, uno dei sei castelli situati all’imbocco della valle del Carpina e del Tevere. «Così, mentre sul colle, detto il Monte, dominavano le magioni dei Fortebracci e degli Olivi simbolo di guerra e di potenza, sull’altro colle, dove esisteva ab antiquo un oratorio dedicato a S. Ubaldo, i Minori Conventuali costruirono la loro chiesa, come simbolo di pace e di carità»[8]. La chiesa, di cui non si conosce l’architetto, presenta la struttura tipica degli edifici religiosi degli Ordini mendicanti: forme semplici e lineari, unica navata con abside poligonale, copertura a capriate.

Interno chiesa San Francesco, foto gentilmente concessa dal comune di Montone

I resti degli affreschi più antichi, databili alla seconda metà del Trecento, fanno ritenere che fin dalla sua costruzione la chiesa sia stata oggetto di un ampio intervento decorativo, tuttavia è nel secolo successivo che la sua decorazione consegue gli esiti più alti, quando divenne la chiesa di famiglia dei Fortebracci che la arricchirono di altari, suppellettili e dipinti. Al pittore di Braccio, al ferrarese Antonio Alberti tra il 1423 e il 1424 si devono le scene della Vita di S. Francesco e del Giudizio universale. Si deve invece al figlio di Braccio, Carlo Fortebracci, l’erezione di altare a metà della parete di sinistra della chiesa come ex voto per la nascita del figlio Bernardino. Il figlio Bernardino, come visibile sull’iscrizione posta nella targa in basso, commissionò al perugino Bartolomeo Caporali un affresco a completamento dell’altare voluto dal padre. Si deve invece a Margherita Malatesta, moglie di Carlo, la commissione del gonfalone a Bartolomeo Caporali. Nei primi anni del Cinquecento la chiesa si arricchisce delle belle porte lignee intagliate di Bencivenni da Mercatello. Durante l’occupazione francese il complesso subì gravi danni e a causa di un incendio andò perduto il ricchissimo archivio della chiesa-convento e con esso la gran parte dei documenti conservati oltre alla mobilia e agli affreschi con i quali era interamente decorata.
Oggi la chiesa è parte integrante del complesso museale, costituito oltre che dalla chiesa di S. Francesco, dalla Pinacoteca comunale e dal Museo etnografico. Tra le opere di maggior pregio conservate nella Pinacoteca vanno menzionati il gruppo ligneo della Deposizione proveniente dall’antica pieve di San Gregorio Magno fuori le mura, la Madonna della Misericordia dipinta da Bartolomeo Caporali, gli alberi genealogici della famiglia Fortebracci e l’Annunciazione della Scuola del Signorelli. Il museo etnografico Il Tamburo parlante nasce allo scopo di raccogliere ed esporre in modo sistematico la collezione di oggetti africani raccolti nei numerosi viaggi dall’antropologo Enrico Castelli.

La Santa Spina


La Santa Spina, foto gentilmente concessa dal Comune di Montone

 

Racchiusa in un prezioso reliquiario d’argento un tempo era conservata nella chiesa di San Francesco, mentre ora si trova nella collegiata di Santa Maria Assunta. Molti testi ne parlano, ma il più dettagliato è senza dubbio la Lettera istorico-genealogica della famiglia Fortebracci da Montone scritta da Giovanni Vincenzo Giobbi Fortebracci, il quale racconta come «vivente il conte Carlo, siccome portava grand’affetto alla sua patria, così non volle mancare di riconoscerla con farle un preziosissimo regalo, mentre l’anno 1473 mandò con molto onore a Montone, una delle spine con le quali fu coronato il Signore N. Giesù Cristo, e la fè collocare nella Chiesa di San Francesco dè Minori Conventuali, dove si conserva anche al presente con somma venerazione e riguardo. Si può pienamente e certamente credere che sia quella, la quale più d’ogni altra penetrasse adentro nel cervello di Cristo del che si vedono chiarissimi argomenti; poiché nell’essere da capo a piedi aspersa del suo preziosissimo Sangue, vi restano due capelli sottilissimi, quali appaiono intrecciati insieme, misti col sangue, e nella sommità della Spina sopravanzano assai; sì come a piedi di quella si vede la radichetta di essi. Ma quello che è sopramodo stupendo e terribile, ogni anno nel Venerdì santo nell’ora della passione, la Spina si rinverde, il Sangue si rinfresca, e dall’una e dall’altro insieme si vedono apparire piccoli fiori aurei bianchi, azurri e verdi con alcuni splendoretti, che appariscono e spariscono; quasi ribollisse quel pretioso sangue, e la Spina non fosse arida da migliaia d’anni, ma colta in questo giorno, e ora, da uno spineto vivo e verdeggiante. Questa meravigliosa Reliquia il conte Carlo l’ebbe, essendo Generale de’ Venetiani, da un arciprete della villa di Tugnano, contado di Verona, e insieme con essa mandò a Montone l’autentica, che conservandosi in pergamena nell’armadio della Sacrestia de’ Minori Conventuali, l’ho più di una volta veduta…»[9]. Angelo Ascani due secoli più tardi attesta che la pergamena «è ora introvabile, anche se questo nulla toglie alla veridicità della traslazione a Montone d’una così preziosa reliquia» e aggiunge «lasciamo stare le fioriture leggendarie circa i prodigi verificatisi al suo arrivo a Montone […] parto della fantasia popolare degna del Seicento o giù di lì»[10]. Egli si rifà poi agli Annali di Montone che riferiscono delle feste in occasione dell’ostensione della reliquia iniziate nel 1597, mentre risale al 1635, come documentato da un manoscritto parrocchiale, la collocazione della Santa Spina in un reliquiario d’argento finemente cesellato e da quell’anno fu stabilito di spostare la festa dal venerdì santo al lunedì di Pasqua[11]. Nell’aprile del 1703 giunge una lettera da Roma indirizzata al Vice-Governatore di Montone: «la festa solita celebratasi costì nel secondo giorno di Pasqua per l’Ostensione della Santissima Spina è cagione di tantissimo concorso. Per evitare dunque i disordini, che potessero nascere, dovrà Ella ordinare al Capitano deputato secondo il solito d’assistere alla Porta con li venticinque huomini, che a tutti quelli che vogliono entrare facci lasciare le armi di ogni sorte». La Rievocazione storica della Donazione della Santa Spina è nata con la Pro Loco Montonese nel 1961. Nei primi anni era legata quasi esclusivamente all’evento religioso dell’ostensione della Santa Spina, con l’arrivo nella piazza del Conte Carlo Fortebracci che portava in dono la reliquia al popolo montonese e che negli anni successivi si è sviluppato arricchendosi nella parte del corteo storico. Anche i tre Rioni di Montone, Porta del Borgo, Porta del Monte e Porta del Verziere iniziano a prendere parte al corteo con i propri stendardi e le coppie di nobili. È invece degli anni Settanta del Novecento l’introduzione del Palio dei Rioni che si assegna con una sfida tra gli arcieri di Montone.

Per maggiori informazioni sulla rievocazione storica si veda qui

Per saperne di più su Montone

 


[1] Una finestra sull’Umbria. Montone, Spoleto, Panetto & Petrelli, 1968, p. 3.

[2] M. TABARRINI, Montone, in M. TABARRINI, L’Umbria si racconta, v. E-O, p. 418.

[3] P. PELLINI, Dell’historia di Perugia, Venezia, Giovanni Giacomo Hertz, 1664, v. 1, p. 238.

[4] A. ASCANI, Montone. La patria di Braccio Fortebracci, Città di Castello, GESP, 1992, p. 56.
[5] P. PELLINI, Dell’historia di Perugia, Venezia, Giovanni Giacomo Hertz, 1664, v. 2, p. 769.
[6] P. PELLINI, Una finestra sull’Umbria. Montone, Spoleto, Panetto & Petrelli, 1968, p. 8.
[7] P. PELLINI, M. R. SILVESTRELLI, Appunti sulla storia e larchitettura della chiesa di San Francesco, in G. SAPORI, Museo comunale di San Francesco a Montone, Perugia, Electa, 1997, p. 23.
[8] A. ASCANI, Montone. La patria di Braccio Fortebracci, Città di Castello, GESP, 1992, p. 250.
[9] G.V. GIOBBI FORTEBRACCI, Lettera istorico-genealogica della famiglia Fortebracci da Montone, Bologna, Giacomo Monti, 1689, pp. 84-85.
[10] A. ASCANI, Montone. La patria di Braccio Fortebracci, Città di Castello, GESP, 1992, p. 263.
[11] Notizia riferita da A. ASCANI, cit., p. 264.