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Ingredienti:

  • 400 g di farina di roveja
  • 2 l di acqua salata
  • 5 filetti dโ€™acciuga sottโ€™olio, piรน altri per decorare
  • 2 spicchi dโ€™aglio
  • olio EVO q.b.

 

Preparazione:

Mettete sul fuoco la pentola con lโ€™acqua salata. Appena lโ€™acqua arriva a ebollizione, versatevi la farina di roveja a pioggia e mescolate energicamente con una frusta per evitare che si formino grumi. Mantenendo un fuoco lento, continuate a girare la polenta con un mestolo di legno per circa 40 minuti. Mentre la Farecchiata cuoce, in una padella antiaderente scaldate lโ€™olio extravergine con gli specchi di aglio interi; quando saranno dorati rimuoveteli e inserite i filetti di acciughe, lasciandoli sciogliere lentamente a fuoco lento. Raggiunta la cottura della polenta rimuovetela dal fuoco, versatela nei piatti e condite con lโ€™olio insaporito che avete preparato; fatela riposare un minuto, poi servitela con un filetto di acciuga arrotolato al centro del piatto. La vostra Farecchiata di Roveja รจ finalmente pronta per essere gustata.
Una variante stuzzicante: per rendere piรน croccante la vostra Farecchiata, tagliatela a fette, friggetela e servitela con un filetto di acciuga.

 


La Farecchiata, (o polenta con farina di Roveja), รจ una polenta tipica dal gusto delicato e lievemente amarognolo che viene preparata in diverse zone delle Marche, ma soprattutto nella zona di Castelluccio di Norcia, in Umbria. Si tratta di un piatto antichissimo della tradizione pastorale castellucciana: un’importante fonte di sostentamento
ย per le famiglie di pastori e contadini dei Monti Sibillini. Un piatto molto povero ma che si mantiene nel tempo, ragion per cui in passato fungeva da colazione proprio per i pastori della zona. L’ingrediente principale รจ la Roveja, un piccolo e saporito legume di colore marroncino, simile ai ceci ma dal sapore piรน forte. Conosciuta anche come pisello dei campi, robiglio o corbello, la roveja รจ un legume antico, che rischia di scomparire a causa delle difficoltร  legate alle condizioni impervie del territorio e alla morfologia della pianta. Ad oggi, infatti, sopravvive soltanto in una zona circoscritta della Valnerina grazie all’impegno di alcuni agricoltori che operano nella localitร  di Preci (Cascia), dove si trova anche un’antica fonte chiamata dei rovegliari. Estremamente nutriente, con un elevato apporto di proteine, fosforo, carboidrati e un ridotto contenuto di grassi, la roveja รจ oggi Presidio Slow Food.

ยซIn forma dunque di candida rosa che si mostrava la milizia santa (โ€ฆ) nel gran fiore discendeva che sโ€™addorna di tante foglie, e quindi risaliva lร  dove โ€˜l suo amor sempre aggiornaยป. (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXI, vv. 1- 2 e 10-12)

I rosoni, veri ricami di pietra posti sulle facciate delle chiese, attraverso i loro decori filtrano la luce divina, trasformandosi in fasci colorati che illuminano le navate.
Il rosone รจ una ruota a raggi che simboleggia, secondo la tradizione cristiana, il dominio di Cristo sulla terra. รˆ presente sull’asse dellaย navata principale, talvolta anche di quelle secondarie o in corrispondenza diย cappelle o bracci trasversali. La forma circolare e la gamma cromatica hanno permesso aiย maestri vetraiย di creare opere d’arte sacra raffigurando, sotto forma diย icona, i passi piรน significativi delย Vangelo. Il rosone rappresenta la ruota della Fortuna: Dante stesso la definisce come un’Intelligenza angelica che ha sede nell’Empireo e che opera fra gli uomini attraverso un progetto divino. Il rosone ยซesplicita chiaramente la ciclicitร  della fortuna umana e confina il tempo degli uomini nell’incommensurabilitร  del tempo di Dioยป.[1]

 

Basilica di San Benedetto, Norcia, prima del terremoto.

 

Il suo nome, in uso dal XVII secolo, รจ un accrescitivo del termine di derivazione latinaย rosa, che ne suggerisce la somiglianza con la struttura del fiore. La rosa, la cui freschezza e bellezza suggerisce un simbolo etereo, richiama inoltre il calice di Cristo.[2]
Nella Divina Commedia, nel XXXI canto del Paradiso, Dante evoca la rosa celeste che raccoglie in paradiso la cerchia dei beati ammessi a contemplare Dio. Il rosone รจ in stretta relazione con il cerchio, simbolo di perfezione e quindi di Dio, ma allo stesso tempo รจ anche il simbolo del labirinto, il quale รจ creato dai tanti motivi vegetali presenti al suo interno. Il labirinto richiama la ricerca interiore e il viaggio iniziatico. Esso cosรฌ rappresenta un anello di congiunzione tra il mondo umano e quello divino.

Chiesa di San Francesco. Norcia

Un percorso attraverso la Valnerina

L’Umbria, terra di profondo misticismo e spiritualitร , cela nel suo territorio le orme dei santi che hanno cambiato il volto del Cristianesimo. Fu infatti, sulle verdi colline e altopiani di Norcia che trovรฒ la fede San Benedetto. Nel centro storico della cittร  sorge la Basilica di San Benedetto, costruita presso la casa natale del santo e poi ampliata nel XIII secolo. La facciata, con un profilo a capanna, presenta nella parte inferiore un portale strombato ed รจ arricchita nella parte superiore da un rosone, decorato con foglie di acanto e accompagnato dai simboli dei quattro evangelisti. Purtroppo la basilica รจ stata profondamente danneggiata durante il terremoto del 2016, ma facilmente si puรฒ intuire il suo antico splendore.
Di notevole interesse artistico e architettonico รจ la chiesa di San Francesco a Norcia, edificata interamente in pietra bianca e portata a termine dai francescani conventuali. Pregevole รจ il grande rosone che domina la facciata: una cornice realizzata con rosette e archi a tutto sesto, come un vero ricamo, trafora la dura pietra, rivelando il suo profondo significato attraverso il vuoto della materia ma pieno invece della luce divina.
A pochi chilometri dalla patria di San Benedetto, a Preci, si erge lโ€™Eremo di Sant’Eutizio.

La parte piรน antica dell’abbazia risale al IX secolo e nel 1190 fu completata per volere dell’abate Tendini I. L’abbazia ammalia lo spettatore poichรฉ รจ interamente edificata su un terrazzamento tra la scogliera e la vallata sottostante. Il rosone, vero gioiello della scultura, prevale sulla struttura della chiesa. รˆ un grande cerchio contornato dai simboli degli evangelisti, tipico dellโ€™architettura romanica, ma in se reca anche frammenti scultorei altomedievali.[3]

Abbazia Sant’Eutizio. Preci

Non molto distante da Norcia un altro eccelso rosone, piรน minuto dei precedenti, sovrasta e domina la facciata della chiesa di Santa Maria Assunta a Vallo di Nera. La chiesa risale al 1176 e presenta una facciata con pietre conce tipicamente romaniche. A contraddistinguerla รจ un portale gotico a ogiva ornato da capitelli e fregi e nella parte superiore un rosone scandito da dodici colonnine perfettamente in linea, il quale sembra essere riassorbito nel paramento murario.

Cittร  profondamente legata alla spiritualitร , ma anche al simbolo del rosone e quindi alla rosa รจ sicuramente la cittร  di Cascia, centro religioso legato alla figura di Santa Rita. Si erge in questo borgo la chiesa di San Francesco, presso la quale nel 1270 fu sepolto il Beato Pace francescano. Elemento di spicco della facciata, opera di maestri comacini, รจ il raffinato rosone, molto particolare poichรฉ รจ dato dall’ingranaggio delle due ruote contrapposte che creano un effetto dinamico di rotazione. รˆ composto da diciotto colonne con capitelli e diciotto archetti trilobati, i quali convergono verso il centro nel quale รจ presente la Madonna con il Bambino. Tutto intorno foglie d’acanto richiamo motivi classici. La delicatezza

Chiesa di San Francesco, Cascia

dell’intarsio rende questo rosone un vero capolavoro dell’arte scultoree regionale.

L’Appennino umbro รจ il custode silenzioso delle tracce di santi e pellegrini fondatori di eremi e cenobi ispirati alle regole della povertร , solitudine e semplicitร . A Sant’Anatolia di Narco la leggenda narra che passarono san Mauro, suo figlio Felice e la loro nutrice. Visto la loro condotta di vita, la popolazione gli chiese aiuto per essere liberati da un drago che infestava quei luoghi. San Mauro, grazie all’aiuto divino, affrontรฒ e uccise il drago. L’episodio della liberazione รจ raffigurato nel fregio della facciata. In essa รจ presente anche il rosone, tra i piรน interessanti esempi di scultura romanica umbra, a due ordini di colonne, iscritto in un quadrato con i simboli apocalittici. Il quadrato รจ delimitato da una fascia a mosaico a stelle. La simbologia della facciata รจ esemplare: il rosone rappresenta Cristo che porta luce nel mondo, identificata con la Chiesa, attraverso la voce dei quattro evangelisti che ne hanno permesso la conoscenza.[4]

Infine, un rosone molto particolare รจ sicuramente quello della chiesa di San Salvatore di Campi di Norcia, una delle testimonianze piรน importanti del territorio della Valnerina. I tragici eventi sismici del 2016 hanno portato al crollo di gran parte dell’edificio e alla distruzione del campanile risalente al XVI secolo. Le pareti rimaste sono state consolidate per rimettere in sicurezza le porzioni di affreschi che verranno reintegrate nelle parti recuperate. La chiesa, immersa nelle colline umbre, รจ un raro esempio a due navate, con due porte di accesso e due rosoni, oltretutto non allineati rispetto alla linea del tetto. Particolarmente interessante รจ la grande ghiera esterna del rosone, scolpita con tralci d’acanto disposti secondo un sinuoso movimento rotatorio a spirale.

 

Chiesa San Salvatore. Campi

Basiliche, abbazie e piccole chiese, immerse in vallate verdeggianti tipicamente umbre, luoghi magici e mistici allo stesso tempo, ma anche guide essenziali che aiutano il visitatore, spettatore o eremita a cogliere la parte piรน pura e profonda dell’Umbria. Questi e tanti altri luoghi restituiscono gioielli preziosi di un tempo passato.
Purtroppo molti di essi sono stati profondamente colpiti dal sisma di alcuni anni fa, ma molto spesso l’arte e la bellezza vincono il silenzio che scende sulle macerie, riportando questi luoghi alla loro antica bellezza.

 


[1] Claudio Lanzi,ย Sedes Sapientiae: l’universo simbolico delle cattedrali, Simmetria edizioni, Roma, 2009, pag. 162.โ‡‘
[2] M. Feuillet, Lessico dei simboli cristiani, Edizioni Arkeios, Roma, 2006, p. 97-98.โ‡‘
[3] L. Zazzerini, Umbria Eremitica. Ubi silentium sit Deus, Edizioni LuoghInteriori, Cittร  di Castello, 2019, pp. 124-131.โ‡‘
[4] L. Zazzerini, Umbria Eremitica. Ubi silentium sit Deus, Edizioni LuoghInteriori, Cittร  di Castello, 2019, p. 109.โ‡‘

ยซFamoso questo luogo, puรฒ dirsi francamente in tutta Europa, attesa la speciale arte di lavorare il ferro e lโ€™acciaio della piรน perfetta qualitร  introdottavi da tanti secoli. Per cui vengo assicurato che le migliori maestranze di Ferrara e della dominante Venezia, da questo paese sieno derivate. Lโ€™eccellenza dellโ€™arte del lavorare questo metallo, oltre alla particolaritร  delle acque, oltre a quello dellโ€™aria, secondo la piรน volgata opinione, proveniva dalle vene perenni del ferro che qua e lร  sparse ritrovansi nelle viscere della terraยป.

Lime

 

Nel lontano 1789, risalendo lโ€™antica valle del fiume Vigi, durante una delle sue illuminate e illuminanti visite apostoliche, lโ€™alto prelato Pietro Torretti raccontava con queste parole quanto i suoi occhi avevano potuto cogliere in quel di Sellano, un borgo resiliente in cui non ne hanno avuto ragione i terremoti: qui gli uomini sono come il ferro che per secoli hanno lavorato in raspe e lime. E, come le raspe e le lime, questa terra sa essere ruvida.
Secondo la tradizione, la proverbiale arte della lavorazione dei metalli, nel sellanese, risale al XVI secolo. Presumibilmente fu introdotta nellโ€™area dalle comunitร  monastiche di Santa Croce di Sterpare e di Acqua Premula, nel tentativo di risollevare le sorti di un territorio profondamente impoverito dalle invasioni e dalle pestilenze che scrissero, secoli or sono, alcune delle pagine piรน drammatiche nella storia della Valnerina.

 

Lime e raspe

 

Il segreto svelato dai monaci – e che da secoli ne ha alimenta la leggenda – riguardava la fase di cementazione e tempera, nello svolgimento della quale il rasparo, dopo aver infornato i metalli con aggiunta di sale e polvere di corona, li immergeva nellโ€™acqua fredda: il risultato finale era un utensile estremamente resistente, difficilmente soggetto a usura e deformazione. Un segreto custodito con fierezza sino al 1778, quando il mastro limaro Francesco Antonini accolse nella sua bottega un promettente allievo milanese, tale Cristoforo Masina. Macchiatosi di alto tradimento, il giovane artigiano fu accusato di aver rivelato lโ€™impenetrabile segreto e, su verdetto del Camerlengo di Santa Romana Chiesa, fu allontanato dal borgo. Sembrerebbe che gli stessi monaci, intimoriti dallโ€™aviditร  degli artigiani, avessero maledetto chiunque si fosse macchiato di cupidigia, ammonendone lโ€™asservimento alla ricchezza.

Raspe

A Sellano, nel 1945, sulle vestigia di un passato glorioso, รจ stata fondata la Societร  Cooperativa Artigiana di Villamagina che, per decenni, ha tentato di salvaguardare la sapienza dei sellanesi, promuovendone la secolare maestria. In tempi non sospetti la Cooperativa contava undici soci e impegnava ben 19 dipendenti, ma le perverse logiche del mercato internazionale, che annichilisce ogni forma di identitร  territoriale riducendola a spicciola artigianalitร , ne hanno compromesso la sopravvivenza. Nel percorrere la valle del Vigi, indugiando con lo sguardo sui borghi di Villamagina, Casale, Ottaggi e San Martino, vogliamo immaginare che quellโ€™antica armonia di tintinnii si alzi ancora in cielo e che faccia da controcanto alle preghiere salmodianti di monaci dal volto ignoto, custodi del tempo e dei suoi segreti.

Tra i cibi che fanno bene allโ€™uomo, c’รจ la lenticchia, coltura in grado di risollevare le sorti della Terra oltre che fiore allโ€™occhiello dellโ€™Umbria.

 

Lenticchia di Castelluccio

 

Vendersi per un piatto di lenticchie รจ ciรฒ che fa Esaรน quando rinuncia alla sua ereditร [1] per rifocillarsi con un piatto di ยซminestra rossaยป[2]; ma perchรฉ Esaรน cede proprio a un piatto di lenticchie? Forse perchรฉ anche lui sa che sono in grado di ยซsaziare, infondere serenitร ยป[3], ed essere ยซnutrienti per chi non puรฒ permettersi carneยป[4]. La lenticchia รจ infatti ricca di carboidrati, proteine, minerali[5], vitamine[6] e ferro, รจ povera di grassi, adatta ai soggetti celiaci poichรฉ priva di glutine e ha elevate capacitร  salutistiche dovute allโ€™alto contenuto di polifenoli[7] di cui รจ ricco anche lโ€™olio EVO – come sostiene uno studio riportato dallโ€™AIRAS. Ma gli autori del passato lโ€™hanno esaltata riconoscendole lโ€™ulteriore merito di rendere fertile il terreno[8] grazie alla sua capacitร  di fissare lโ€™azoto[9], motivo per cui la FAO[10] lโ€™ha collocata tra le colture alla base della storia dellโ€™uomo[11] e inserita nei sistemi di coltivazione per i paesi in via di sviluppo. La Lens Culinaris, resistente alla siccitร , ha trovato in quello umbro territorio favorevole, riuscendo addirittura, grazie allโ€™agricoltura biologica di Norcia che permette il verificarsi della Fioritura di Castelluccio[12], a ottenere il vanto del bollino europeo IGP.

 


[1] Guida del popolo ebraico.โ‡‘
[2] Libro della Genesi 25, 27-35.โ‡‘
[3] Naturalis Historia, Plinio il Vecchio.โ‡‘
[4] Lenticchie, tradizione e cultura in un piatto <www.stile.it> – La Stampa.โ‡‘
[5] Potassio, fosforo, magnesio, calcio, ferro, zinco, sodio e selenio.โ‡‘
[6] Vitamina A, gruppo B e C.โ‡‘
[7] Sostanze antiossidanti capaci di prevenire le malattie degenerative dellโ€™uomo.โ‡‘
[8] I legumi dellโ€™Umbria, Renzo Torricelli, Francesco Damiani <www.studiumbri.it&gtโ‡‘
[9] Diffuso in natura: nei 4/5 dellโ€™aria e in numerosi composti inorganici e organici.โ‡‘
[10] FAO: Anno internazionale dei legumi, Francesco Damiani <www.studiumbri.it&gtโ‡‘
[11] I legumi dellโ€™Umbria, Renzo Torricelli, Francesco Damiani <www.studiumbri.it&gtโ‡‘
[12] Lenticchie, tradizione e cultura in un piatto <www.stile.it> – La Stampa.โ‡‘

Il colle sul quale sorge Vallo di Nera, dominante sulla fertile valle irrigata dal Nera e protetto da monti boscosi, fu abitato sin da tempi remoti.

Chiesa di Santa Maria Assunta, foto di Enrico Mezzasoma

 

Agli inizi del III secolo avanti Cristo, dopo la conquista romana del territorio, lโ€™ukar, lโ€™antica arce umbra, divenne un uicus fortificato a guardia dellโ€™importante via di comunicazione che segue il corso del fiume Nahar, lโ€™attuale Nera: ne รจ la riprova il toponimo vallum, termine che letteralmente indica il fossato difensivo tipico delle antiche fortificazioni. Agli inizi del Duecento lโ€™assetto urbanistico del borgo, chiuso nella cinta turrita, assunse la fisionomia che ancora oggi, in buon parte, conserva e che ha elevato Vallo di Nera al rango di borgo bandiera Arancione.
Tra le imponenti torri medioevali, nei silenzi arcani del colle Flenzano su cui sorge il castello, si cela uno dei santuari piรน suggestivi della Valnerina: la Chiesa di Santa Maria Assunta, di epoca imperiale. La facciata del tempio, sulla quale campeggia un rosone scandito da 12 colonnine, nasconde lโ€™interno articolato in unโ€™unica navata, originariamente coperto con volte a crociera. Sebbene il tempo e gli interventi succedutisi nel corso dei secoli ne abbiano, in parte, mutato la fisionomia, un recente restauro ha restituito agli affreschi il loro antico splendore. I committenti, i cui nomi accompagnano le pitture, sovrapponevano nuovi dipinti ai precedenti documentando lโ€™intensitร  e la persistenza dโ€™una devozione iniziata con le prime communitates cristiane insediatesi sul territorio. Preghiere plasmate in figure, invocazioni solidificate nelle terre delle tempere che chiedono a Dio, mediante i santi intercessori, la salute per il corpo โ€“ a fulgore et tempestate, a peste fame et bello, libera nos Domine โ€“ e implorano la salvezza per lโ€™anima โ€“ e salutare tuum da nobis.

 

dipinto_chiesa Valnerina

Martirio di Santa Lucia

Un tour all’interno

Lโ€™interno della chiesa, partendo dalla parete sinistra della navata, ospita il Martirio di Santa Lucia, attribuito aย Cola di Pietro daย Camerino: la vergine รจ avvinta a due pariglie di buoi per essere trascinata in un postribolo, ma le bestie non riescono a smuoverla. Due aguzzini la tengono ferma per le spalle mentre il carnefice le affonda nella gola una daga. Dietro il magistrato Paschasius, una gamba sullโ€™altra e in contrasto coi corrucciati personaggi che lo circondano, assiste divertito alla scena. A destra dallโ€™altare – risalente agli inizi del Seicento – nel registro inferiore, da un affresco cinquecentesco che raffigura una Madonna del Latte tra San Gregorio Magno e un porporato, sโ€™affacciano due Vergini col Bambino, una delle quali intenta ad allattare. A essa si rivolgevano le madri per implorare lโ€™abbondanza del prezioso nutrimento.

 

Dormitio della Vergine

 

Indugiando ancora sulla destra dellโ€™altare, campeggiano le figure di due martiri: Barbara, protettrice del fuoco celeste, e Caterina dโ€™Alessandria. In prossimitร  del grande arco, nel registro inferiore, una piccola Madonna di scuola riminese sorregge il Figlio teneramente proteso a baciarle il volto. Sullโ€™abside tuonano le figure austere dei Santi Antonio Abate e Cristoforo. Nellโ€™abside, sulla parete di sinistra, in alto, la Dormitio della Vergine, attorniata dai 12 apostoli. Cinque angeli ne cantano le lodi, mentre altri quattro lโ€™elevano al cielo circonfusa di luce. Particolare menzione merita la scena raffigurante la Fuga in Egitto: due angeli guidano Giuseppe che reca in spalla un bastone a cui sono appesi un otre e due pani, Maria cavalca unโ€™asinella e un garzone sprona la bestia. Sullo sfondo, la pianta carica di frutti che, nella leggenda apocrifa volgarizzata da Jacopo da Voragine, abbassรฒ i rami per rifocillare la Vergine.

 

Fuga in Egitto

 

Tornando alla navata, sulla parete di destra, sono affrescati undici santi, tra i quali San Giuliano in vesti militari e Santโ€™Antonio Abate: San Giuliano forte, liberaci da mala morte, da foco ardente e da acqua corrente, cosรฌ recitano ancora nelle campagne i piรน vecchi. Sotto, la lunga processione dei Bianchi, movimento di penitenti sorto nel 1399 allo scopo di proclamare la pace universale e ottenere il perdono dei peccati: qui Mastro Cola di Pietro, nel 1401, li ritrae durante il loro passaggio alla volta di Roma, con i lunghi sai rossocrociati, intenti a scambiarsi il bacio della Pace, a cantare le lodi della Vergine o a implorare misericordia davanti al Crocifisso. Poco distante Santโ€™Antonio, protettore degli animali, con la campana il cui suono scacciava il demonio, il bordone e il lungo mantello segnato dal tau protettore; Gregorio Magno, coronato col triregnum, mostra un dipinto con i Santi Pietro e Paolo. Proseguendo, unโ€™austera Madonna in trono, della metร  del Quattrocento, porta sulle ginocchia il Bambino con un passerotto, allusivo al racconto apocrifo che narra come il piccolo Gesรน si divertisse a plasmare con la creta uccellini e a vederli volar via dopo aver infuso in essi la vita.

 

Processione dei Bianchi

 

A fianco, le immagini di S. Chiara e S. Maria Egiziaca, coperta dai prolissi capelli: specchio di purezza, la prima; meretrice, poi eremita nel deserto, la seconda. Col capo nimbato da unโ€™aureola, identica a quella di Chiara, lโ€™ex prostituta testimonia la potenza catartica del pentimento e la vastitร  della misericordia divina. Nel registro piรน basso, la Trinitร  reca un libro su cui รจ scritto: Pater e Filius et Spiritus Sanctus et tres unum sunt. Due modi per enunciare il dogma trinitario dei quali il primo, dedicato a quelli che non sapevano leggere, nella sua rustica formulazione risulta non meno efficace.

 

Santa Chiara e Santa Maria Egiziaca

In un contesto assurdo, quasi metafisico, dove paura significa ignoranza, ossia non conoscenza del prossimo futuro, proviamo a elaborare qualche riflessione sul significato dietrologico di questo momento.

Assisi-santa chiara

Assisi, foto by Enrico Mezzasoma

 

Il tempo sembra essersi fermato, in bilico tra passato e futuro, in unโ€™immagine di un orologio spezzato che riporta la gerarchia delle lancette totalmente capovolta. E se รจ vero che ogni evento straordinario รจ unโ€™opportunitร , almeno per il fatto che indica nella sua straordinarietร  un cambiamento rispetto a tutto ciรฒ che รจ ordinario, ossia scontato, previsto e prevedibile, la certezza che tutto o almeno una parte non sarร  piรน come prima diventa quasi un motto, lโ€™idea di una via di uscita, lโ€™opportunitร  di utilizzare un evento come speranza di rivalsa ai tanti insuccessi che nel corso del passato abbiamo subito, nella speranza di un cambiamento. E in un contesto cosรฌ assurdo la parola turismo in Umbria potrebbe assumere un significa diverso.

Sicuramente anche il turismo avrร  regole ferree nella cosiddetta fase 2, attraverso sistemi di distanziamento sociale e dispositivi di protezione come guanti e mascherine, ma verosimilmente verrร  privilegiata la ricerca di luoghi solitari e riflessivi dove poter dar sfogo alla nostra necessitร  di collocare il corpo e lโ€™anima allโ€™interno di una palestra di piccole ma serene meditazioni.

Lโ€™Umbria si scoprirebbe cosรฌ a essere una vera oasi di quel benessere la cui necessitร  stiamo riscoprendo in questi giorni. Non quindi spiagge affollate o centri benessere specializzati nella cura esasperata del corpo – e quindi nella ricerca spasmodica dellโ€™apparire – ma piccole e pure sorgenti dโ€™acqua dove appagare la nostra sete di tranquillitร  e di ricchezza di spirito, nella ricerca slow di voler essere.

Lโ€™Umbria scoprirebbe che quelle sue peculiaritร  che fino a ieri appartenevano a un dio-turismo minore, potrebbero diventare come dโ€™incanto il pane azzimo di un nuovo stile di vita. Se ci pensate siamo giร  pronti: pochi interventi nelle nostre strutture ricettive e un nuovo e vincente messaggio di comunicazione. Giร , la comunicazione sarร  fondamentale e non dovrร  commettere gli errori del passato, dove disperatamente si รจ cercato di imitare gli altri.

 

fioritura_castelluccio

Piana di Castelluccio di Norcia, foto by Enrico Mezzasoma

 

E allora mi abbandono a un sogno dove vedo lโ€™Umbria come modello di turismo sostenibile, dove la terra del Perugino e di Dottori, che ha ispirato Raffaello, diventa meta di gente che ha capito il grande insegnamento epocale che stiamo vivendo. Dove la massima aspirazione di riposo e di tranquillitร  sarร  ammirare un tramonto sulle distese della Valnerina sorseggiando dellโ€™ottimo vino di Montefalco con la persona amata, oppure ritrovarsi a lanciare una canna da pesca nelle acque del Trasimeno ed essere tra quei pochi fortunati che riescono a intravedere la propria anima rispecchiarsi nel lago. In un tempo cosรฌ, dove la paura della crisi economica sta sorpassando quella sanitaria… sognare non ha prezzo.

ยซLa bellezza salverร  il mondoยป, scriveva Fedor Dostoevskij in una delle sue piรน celebri fatiche letterarie, Lโ€™Idiota.

E se รจ vero che la bellezza salverร  il mondo, sta al mondo salvare la bellezza. Sรฌ, vogliamo concederci la licenza poetica di riadattare uno degli aforismi piรน in voga nel XXI secolo al disorientamento di queste ultime settimane. Non cโ€™รจ nulla, come la bellezza, che possa sopravvivere ai secoli e allโ€™oblio, trasformandosi in modo da trascendere tempo e spazio.

 

Panorama Vallo di Nera

Vallo di Nera, foto di Enrico Mezzasoma

La bellezza resiste al virus

Che la bellezza non sia solamente una questione soggettiva ce lo testimoniano anche le ricerche del dottor Semir Zeki, precursore e pioniere della Neuroestetica, scienza che studia i meccanismi biologici alla base della percezione estetica. Che si tratti di uno scorcio, di un qualunque affresco, di una pala dโ€™altare, di una torre medioevale o di un santuario, quando osserviamo un qualcosa di esteticamente bello stiamo entrando in empatia con la mano di chi l’ha plasmato. Ed รจ altrettanto provato, piรน sul piano emotivo che su quello scientifico, che non esiste virus, malanno di stagione o pandemia in grado di offuscare la bellezza del mondo.
Specie in Valnerina, lโ€™armonica bellezza della natura, la quiete dei piccoli borghi e la vita semplice regalano al visitatore immagini indimenticabili, sempre ricche di profonditร  e non solo sul piano esclusivamente estetico. Percorrendo un itinerario che tocchi le cittร  in cui santi, pittori, cavalieri ed eremiti hanno vissuto lasciando importanti testimonianze, รจ possibile ammirare le imponenti opere architettoniche e artistiche a loro dedicate, comprendendo quanto il loro passaggio sia stato significativo per chi ha avuto il privilegio di conoscerli e apprezzarli. รˆ allora possibile percepire la magica essenza di questi luoghi e comprendere perchรฉ spiritualitร , natura, arte, tradizioni e bellezza abbiano trovato in Valnerina naturali radici.

 

Panorama di Cerreto di Spoleto,

Panorama di Cerreto di Spoleto, foto by Enrico Mezzasoma

Come quadri impressionisti

Con lo sguardo rapito dal Pian di Chiavano, da Castelluccio di Norcia e dalla Valle del Nera che, da Cerreto di Spoleto scorre fino a Scheggino, abbiamo richiamato i libri di storia dellโ€™arte che hanno accompagnato la nostra formazione. E come un lampo, un nome รจ balzato alla mente: Pierre-Auguste Renoir, artista francese considerato come la sublimazione espressiva dellโ€™Impressionismo dโ€™Oltralpe.
Come mai? Perchรฉ i paesaggi di questo angolo di Umbria ricordano incredibilmente la centralitร  paesaggistica dei pittori impressionisti, la supremazia del colore rispetto alle forme, la continua ricerca dellโ€™emozione come fonte di ispirazione e di bellezza. Curiosamente fu proprio Renoir a scrivere: ยซIl dolore passa, la bellezza restaยป. Un pugno di parole che oggi, come non mai, รจ divenuto un vero e proprio mantra per chi ha scelto di vivere in Valnerina e di Valnerina, uno slogan capace di unire tutti coloro che hanno saputo preservare il fascino arcaico di questa terra: dai cavatori di tartufo ai mastri norcini, dalle guide escursionistiche e alle comunitร  religiose del territorio, dagli albergatori e agli imprenditori dellโ€™agroalimentare, dagli allevatori e agli artigiani, dai ristoratori ai commercianti.

La brava e attiva artista Linda Lucidi ha organizzato la scorsa estate, con il supporto dell’Associazione AISTEL, un’estemporanea di pittura a Sellano dal titolo Tesori nascosti della Val Vigi: borghi, monti e sorgenti, celebrando cosรฌ questo territorio ricco d’acqua e boschi, ancora incontaminato, che ospita fascinosi borghi da visitare.

 

La Val Vigi รจ la culla del fiume Vigi e ha le sue sorgenti tra i declivi del Monte Pizzuto, nel maceratese; i suoi 22 chilometri di lunghezza, prima di gettarsi nel fiume Nera, sono percorsi prevalentemente nel Comune di Sellano. Il fiume corre rapido tra i meandri della valle montana e incontra la bellezza naturalistica dei luoghi ricchi di fiori spontanei ed erbe aromatiche, di ginepri, ontani, lecci e faggi. Anche la fauna selvatica come lepri, volpi, lupi, aquile, tassi, martore e gufi ha trovato un habitat pressochรฉ inviolato dal tempo e dalle offese del consueto bipede demolitore.
Nella Val Vigi si possono ammirare molte attrazioni sia naturali sia costruite, come le Cascate delle Rote, il laghetto artificiale dalle acque chiare e limpide, il fiume Vigi e il suo mulino, Sellano, Cerreto di Spoleto, Montesanto, Chiese, opere d’arte e borghi disseminati sul territorio, oltre alla fauna e alla flora dei luoghi e a molte altre particolaritร . Una valle incontaminata che evoca emozioni e suggestioni naturalistiche, una raritร .

 

Sellano, tra acqua e agricoltura

Il borgo di Sellano si trova su un colle a 640 metri s.l.m. ed รจ una cittadina nei cui dintorni si possono ritrovare numerose sorgenti e falde acquifere: alcune di queste vengono utilizzate per l’imbottigliamento delle loro preziose e ricercate acque. Di origini romane, il suo territorio รจ stato inserito, in alto Medioevo, nel Ducato longobardo di Spoleto e, dopo circa due secoli di indipendenza, รจ tornato sotto il controllo spoletino; in ultimo assurge, nel XIX secolo, a Comune del neo costituito Stato Italiano.
La ricchezza del territorio sellanese da sempre รจ stata rappresentata dall’abbondanza di acqua e dai prodotti dell’agricoltura, selvicoltura e pastorizia, cosรฌ come dai legumi, i tartufi e i formaggi che prevalgono, nei generi, per caratteristiche e qualitร .

Lโ€™estemporanea di pittura

In questo bellissimo contesto paesaggistico e naturistico si รจ tenuta l’estemporanea di pittura coordinata dall’artista Linda Lucidi, che ci ha detto: ยซIl tema individuato sui tesori della Val Vigi รจ per dare un tributo pittorico a questi luoghi magici; un tributo che nasce da un senso creativo e innato per il bello e per il suggestivo paesaggio storico e naturale della zona, a cui io sono ovviamente molto affezionataยป. L’estemporanea รจ diventata una valida cartolina artistica per la promozione del territorio e a favore di un turismo ecologico e sostenibile.
I pittori intervenuti si sono portati supporto, materiale per l’esecuzione, sedia e tanta creativitร , la quale รจ stata poi imprigionata cromaticamente sulle tele, ciascuna poggiata saldamente sul proprio cavalletto. Gli artisti hanno dipinto tra le vie del paese sotto occhi curiosi che, in un silenzio suggeritore, avrebbero voluto vedere le singole opere terminate il prima possibile. Una giuria popolare ne avrebbe poi decretato la classifica. Ha vinto Valter Sensini; a seguire, Giovanna Gubbiotti e ha chiuso il podio l’organizzatrice Linda Lucidi.
Non con meno soddisfazione hanno partecipato, bellamente e con tecniche diverse, Patrizia Latini, Lella Simonetti, Susana Graciela Rastelli e Marina Sereda.
Le opere sono state esposte in serata con modalitร  di vendita, nei pressi degli stand alla Sagra della Fojata di Villamagina. La Fojata, una sfoglia di pasta salata farcita con verdure e formaggio, รจ un altro dei tesori della zona, assolutamente da assaggiare e gustare in questo meraviglioso ambiente naturale.
I bravi pittori che hanno partecipato e dipinto con gioia, hanno visto la loro felicitร  accresciuta in modo cospicuo, dopo aver apprezzato le molteplici bontร  culinarie proposte come tipicitร  dei luoghi.
Vale la pena venire nella Val Vigi, splendido paesaggio ispiratore per un bel dipinto o per un prelibato e delizioso sfizio per il palato…

Natale 1942, Bing Crosby incide White Christmas ed entra nella storia cantando:

I’m dreaming of a white Christmas

Just like the ones I used to knowโ€ฆ

(Sto sognando un Natale bianco

come quelli che ricordoโ€ฆ)

 

In Europa infuria la guerra, fa freddo e la gente ha fame.ย  A Colfiorito fa freddo e cโ€™รจ la neve, e la strada non รจ percorribile. Al Campo 64 i confinati e i prigionieri di guerra sono allo stremo. Militari e civili sognano la casa e la famiglia lontana, un pasto decente e un poโ€™ di caldo.
Colfiorito, altopiano tra Umbria e Marche, era stato scelto per internare i dissidenti e gli antifascisti. Un luogo, a soli 750 metri di altezza, dove lโ€™inverno durava sei mesi e quando nevicava rimaneva isolato. Troppo freddo e troppo paludoso per coltivare alcunchรฉ. Buono solo per il confino.
Migliaia di persone sono state ospitate sullโ€™altopiano e tutte hanno patito freddo e fame, vivendo nelle casermette. Erano cosรฌ alla buona, le casermette, che non poterono essere usate a lungo perchรฉ il freddo dellโ€™altopiano e la mancanza di riscaldamento negli alloggi era incompatibile con la sopravvivenza.

 

Una ex casermetta

 

Durante il ventennio fascista Colfiorito รจ stato usato alla stregua di Ponza, Lipari, Ventotene, Ustica, Pantelleria, Tremiti, Lampedusa, Favignana: luoghi isolati, poco frequentati dove confinare gli avversari del regime. Tra tutti un nome famoso, Lelio Basso, che รจ stato ospite delle casermette nel 1939. Poi, durante la guerra, hanno ospitato prigionieri albanesi, montenegrini, britannici e neo zelandesi.
Le chiamavano casermette per addolcire Campo 64 che diceva crudamente quello che erano quei capannoni: un campo di concentramento. Erano solo otto per 1500 persone. Erano troppo grandi per essere riscaldate con mezzi di fortuna. Erano troppo precarie per dare un vero riparo. Settantโ€™anni dopo sono ancora in piedi. Adesso sono localini e ristoranti e negozi che accolgono i turisti con le specialitร  della zona.
Quel luogo cosรฌ ingrato, che non offriva altro che paludi oggi รจ diventato parco, ed รจ unโ€™area di particolare interesse naturalistico-ambientale. La palude รจ un biotopo tutelato e protetto, mentre il terreno dellโ€™altopiano offre numerose specialitร  alimentari. Le patate e i legumi di Colfiorito sono rinomati e ormai migliaia di turisti salgono velocemente a rifornirsi. Una superstrada collega in 10 minuti Foligno a Colfiorito.
Accanto alla realtร  storica circola una simpatica leggenda.
Si dice che tra le persone transitate da Colfiorito ci sia stato anche un francese famosissimo: Napoleone. Nel 1797 andรฒ a Tolentino per firmare il trattato di pace con papa Pio VI, quindi potrebbe essere passato da Colfiorito. Qui si inserisce la leggenda che vuole che sia stato il Primo Console, non ancora imperatore, a dare lโ€™ordine di piantare le patate. Nel 1797 le patate le conosceva solo Antoine Parmentier e pochi altri e si pensava anche che fossero velenose.
Poco importa, conta il fatto che Napoleone รจ la leggenda che mette una coroncina sulla produzione di patate della zona che non sono piรน patate qualsiasi, ma sono diventate patate imperiali.

In Valnerina, tra i simboli che esprimono il mistero mariano, vi sono la grotta e lโ€™acqua, entrambe allegorie di maternitร  e rinascita. La grotta compare spesso nelle raffigurazioni della Nativitร  in sostituzione della stalla in muratura o dellโ€™umile capanna adibita a ricovero del bestiame, evocando, nellโ€™immaginario tradizionale, lโ€™utero in cui la vita prende forma e dal quale si manifesta.

Analogicamente lโ€™antro roccioso nellโ€™iconografia mariana della Valnerina diviene immagine di maternitร  spirituale e di rinascita mistica: fin dalla piรน remota antichitร , le pareti rocciose delle grotte circoscrivono uno spazio sacro dedicato alla meditazione, al ritiro e al silenzio.

Il luogo in cui sorge il santuario della Madonna della Stella, circondato dalle grotte degli antichi eremiti, รจ impregnato di una sacralitร  tipicamente mariana, connotata dalla valle, dallโ€™acqua che cade e scorre limpida, dalla selva ombrosa, dal silenzio dellโ€™eterno e dagli antri eremitici. Contemplando dal basso la rupe in cui quelle grotte si ergono marmoree, si ha lโ€™impressione di osservare dei nidi ormai vuoti, abbandonati da uccelli che hanno trasvolato lโ€™oceano per non farmi piรน ritorno.

La storia dellโ€™eremo risale allโ€™VIII secolo quando, nella valle del torrente Tissino alla confluenza delle valli Noce e Marta, sorse il Monasterium S. Benedicti in Faucibus o in Vallibus, soggetto allโ€™Abbazia longobarda di S. Pietro di Ferentillo. Questo luogo pur fuori dal mondo era lambito da antichi itinerari che, provenienti da Leonessa e Cascia, confluivano verso il gastaldato di Ponte e quindi verso Spoleto, capitale dellโ€™omonimo ducato longobardo: la costruzione del monastero, lungo un nodo stradale cosรฌ importante, fu dovuta sia alla politica di controllo del territorio esercitata dai duchi di Spoleto, sia allโ€™opera di evangelizzazione e di espansione del monachesimo nella montagna. A quel tempo nel solo territorio di Cascia erano presenti ben undici celle monastiche e una quindicina di monasteri benedettini.

 

 

Dโ€™altronde fin dal V secolo nellโ€™intera Valnerina alcuni monaci siriani avevano trasferito lโ€™esperienza monastica orientale nelle grotte e negli anfratti che poi portarono alla fondazione delle abbazie di Santโ€™Eutizio (Preci), dei Santi Felice e Mauro (Santโ€™Anatolia di Narco) e di San Pietro in Valle (Ferentillo). Fondamentale impulso per lo sviluppo delle esperienze monastiche nella miriade di celle e monasteri della Valnerina fu nel 480 la nascita di San Benedetto a Norcia e la successiva diffusone della Regola. Il declino dei Benedettini verificatosi dal XIII secolo, con il seguente abbandono di beni e monasteri, favorรฌ lโ€™insediamento dellโ€™ordine degli Agostiniani: nel 1308 il Capitolo Lateranense concesse i possedimenti ai frati Andrea da Cascia e Giovanni da Norcia, eremiti dellโ€™ordine di Santโ€™Agostino di Cascia, con lโ€™obbligo di versare un danaro allโ€™anno in favore della chiesa di San Benedetto in occasione della festa del Santo. Risalita la stretta valle, i due eremiti diedero inizio allโ€™opera di edificazione dellโ€™eremo attuale che poi prese il nome di Santa Croce in Valle.

 

Eremo

In questo luogo appartato ยซin mezzo a due altissimi monti, dove non si vede altro che due palmi di cieloยป alla nuova chiesa, in parte ricavata nella roccia, si aggiunsero con il tempo una decina di celle monastiche, ricavate anchโ€™esse nella parete rocciosa con lโ€™aggiunta di parti murarie. Sorgeva cosรฌ una sorta di laura, dove lโ€™esperienza cenobitica si fondeva con quella piรน antica degli eremiti orientali. La chiesa, alla quale era addossato un refettorio di cui restano solo pochi resti, fu affrescata nel 1416 da un maestro umbro. Entrando, a destra, troviamo due Pietร  e San Michele Arcangelo che uccide il drago. Compresa in una cornice in finto mosaico cโ€™รจ una Madonna in trono con Bambino tra i santi Pietro e Paolo; seguono Santa Caterina dโ€™Alessandria (con una ruota in mano), Santa Lucia (con le fiaccole in mano) e San Benedetto (che regge il libro della Regola).

Madonna della Stella

I documenti, redatti a seguito di una visita apostolica nel 1571, ci dicono che a quel tempo la chiesa era abbandonata e diruta. Nei secoli successivi di questo luogo quasi si perse la memoria. Tale situazione permase fino alla prima metร  dellโ€™Ottocento quando, nel 1833, due pastori di Roccatamburo rinvennero un dipinto tra i rovi. Da quel momento la chiesa, restaurata dai fedeli, prese il nome di Madonna della Stella in onore della veste trapuntata di stelle che indossa la vergine ritratta nel ciclo interno di affreschi. Da allora alcuni eremiti volontari si sono occupati del luogo sacro: lโ€™ultimo, ancora ricordato dagli anziani del posto, fu Luigi Crescenzi che visse nellโ€™eremo tra il 1919 e il 1949, morendo a seguito di una caduta dalle rocce strapiombanti di questo luogo lontano dalla frenesia dei tempi moderni.

Lโ€™antro, naturale o artificiale, tipico degli insediamenti anacoretici, รจ suscettibile dโ€™interpretazione simbolica. Dalle tebaidi dei deserti africani alle folte selve della verde Umbria, gli eremiti scelgono le grotte come dimore a essi piรน congeniali. Lโ€™antro roccioso รจ la tana di una belva, il demonio, con cui lo spirito prigioniero sperimenta i limiti della natura terrestre e tenta lโ€™impresa terribile del loro superamento, tramutando la caverna eremitica nellโ€™ancestrale anfiteatro in cui Dio e la belva domata sโ€™incontrano. Tra i due estremi, tomba e utero di rinascita, lโ€™angusto spazio della grotta รจ agone, campo di battaglia e martyrion, spazio sacro in cui avviene il supplizio dellโ€™Io.

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