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Una poesia scritta per noi dal nostro lettore Giovanni Alunni, amante ed esperto di dialetto perugino, per celebrare San Costanzo, patrono di Perugia.

โ€˜N tra che iere stevโ€™a pranzo

ho pensatโ€™a San Costanzo,

che per tuttโ€™i Perugini,

dei Patronโ€™ รจ tra i piรน fini.

 

Sarร  chโ€™evo โ€˜l calendario,

โ€™n tra le manโ€™ lโ€™abecedario

e un libretto scritto bรฉne

da โ€˜n amico che ce tiรฉne.

 

E ce tiene cussรฌ tanto

che giร  โ€˜l titolโ€™รจ tamanto:

La Croce, Il Legno e Il Fuoco

…e scusate si รจ poco!

รˆ ย un racconto sui Patroni,

de Perugia, quilli boni,

del perchรฉ lโ€™hon fatti Santi,

che i miracolโ€™ eron tanti.

 

Lโ€™ha scrittโ€™uno mpรฒ lontano…

ma che dico.. un MARZIANO!

…che di nome fโ€™Antonino,

ma jโ€™amici โ€˜l chiamonโ€™ NINO.

 

De โ€˜sto Santโ€™ andato โ€˜n gloria

luโ€™ arconta la suโ€™ storia,

che fu al tempo dโ€™i Romani,

tempi brutti pโ€™i Cristiani.

 

Cosรฌ fรน che โ€˜sto por Santo,

lโ€™hon โ€˜fiettato โ€˜n se sa quanto,

che tra quilla e โ€˜l gรฌ โ€˜n tla croce,

โ€˜n cโ€™eva morte piรน atroce.

 

Passรฒ โ€˜ncora tanto tempo,

prima che, a cor contento,

tutto โ€˜l popolo pietoso

ta sto Santo virtuoso,

senza โ€˜nciampi e senza fallo,

โ€˜ncuminciรฒ a venerallo.

 

Fรน cusรฌ che la suโ€™ Chiesa,

messa su con bona spesa,

vidde poi, con emozione

la sua prima Prucissione.

 

Anchโ€™adessโ€™รจ tradizione

tra le freghe perugine,

che von lorโ€™ davantโ€™al Santo,

dajโ€˜n occhiata, mica tanto,

che si caso fa lโ€™occhietto…

entro lโ€™anno cโ€™รจ โ€˜l confetto!

 

De sti tempi โ€˜n perugino

anche chi nun cโ€™ha โ€˜n guadrino,

magna la su bella fietta

del suo torcolo nclโ€™uvetta!

 

Lo facen per tradizione,

che ce porta via โ€˜l magone

si pensano a San Costanzo

dei Patroni il piรน ganzo!

 

รˆ davero โ€˜n gran bel Santo,

che cโ€™onora, ce fa vanto.

La suโ€™ storia, si la scrivi,

va tranquillo che โ€˜n cโ€™arivi:

se la volโ€™ arcontaโ€™ sรจna

cโ€™รจ da feโ€™ โ€˜na settimena!

 


Grazie al libro La croce, il Legno e il Fuoco dell’amico Nino Marziano dove si parla diffusamente della vita dei nostri Santi Patroni.

Il nostro lettore Giovanni Alunni ci ha mandato queste poesie di Carnevale scritte da due poeti dialettali perugini, Umberto Calzoni e Nello Cicuti, per celebrare il Martedรฌ Grasso con un pizzico di goliardia e nostalgia.

La prima poesia in lengua perugina รจ di Umberto Calzoni (1881/1959), ben piรน noto per essere stato ยซun appassionato cultore di Archeologia e Preistoria. Conseguรฌ la libera docenza presso lโ€™Universitร  di Roma nel 1935. Fu direttore dei Musei Civici di Perugia dal 1925 al 1958ยป il quale, nelle sue Le trappele del monno, (tipografia Donini e Tilli) pubblicate fine anni Cinquanta, scrive:

CARNOVELE

Carnovรจle: mโ€™aguardo nsu lo specchio

e stento dโ€™arconosceme chi sรฒe:

mโ€™artrovo trasformรจto โ€˜n gran bel pรฒe,

nun resta piรน da illรนdese: soโ€™ vecchio!

 

รˆ โ€˜n pezzo che a cavรจ lโ€™acqua ncol secchio

dal fonno diโ€™ mรฌ anne โ€˜ncuminciรฒe,

e โ€˜l nummero de quanti ne cavรฒe

ve โ€˜l posso anco svelรจ, ma nto โ€˜n orecchio.

 

Carnovรจle: jโ€™รฒ ditto stamatina

de preparamme i strรนfoli ncol miรฉle

ta la miโ€™ moje e โ€˜l brodo de galina.

 

E si ntlo specchio cโ€™รฉsse visto mรจle

o mโ€™รฉsse aposta lue โ€˜na mascarina?

Lassรจmolo โ€˜n poโ€™ fรจ, โ€˜gni burla vรจle.

 

L’altra poesia รจ di Nello Cicuti e fa parte dalla raccolta De gnโ€™erba โ€˜n fascio del 1983.

โ€˜L CARNVALE

Mโ€™arcordo quanโ€™ chโ€™ cโ€™evo diciottโ€™anni,

a carnvale era โ€˜na gran festa:

partimme io, Giulio, Gino, Nanni

la sera, anchโ€™si cโ€™รจra la tempesta,

 

gimme a cercร  le veje famijari

perchรฉ alora nnโ€™era comโ€™adesso

che tuttโ€™ lโ€™anno ballonโ€™ ti โ€œlocaliโ€

e si nnโ€™รจ carnvalโ€™ ballon listesso;

 

alora cโ€™toccava de sfruttallo

โ€˜l periodo dedicato al carnvale

e โ€˜n sโ€™ faceva piรน mamanco โ€˜mballo,

fnito โ€˜l tempo e forse era normale.

 

Adesso โ€˜nvece โ€˜n guardonโ€™ piรน ta niente

sโ€™ polโ€™ fa tutto, รจ tutto regolare.

Ma saria ora che lโ€™capissโ€™ la gente

che oggigiorno รจ tutto โ€˜n carnvale!

ยซDue persone che si ponessero a scrivere uno stesso dialetto senza saper lโ€™uno dellโ€™altro, nรฉ seguire un metodo giร  ricevuto, si puรฒ scommettere che non iscriverebbero una parola sola nello stesso modoยป Giacomo Leopardi.

Lโ€™orvietano รจ una macedonia di dialetti che attinge in parte dallโ€™umbro, in parte dal toscano e in parte dal laziale, e si discosta molto dal dialetto ternano e dalla parlata perugina, o dai molti dialetti dellโ€™alto Lazio. Con la nuova tappa di Dialettiamoci andiamo a Orvieto (e zone limitrofe) per scoprire tutti i segreti del suo vernacolo che รจ colorito e decisamente simpatico, un miscuglio linguistico per certi versi bizzarro.

Gianluca Foresi

La sua peculiaritร  principale รจ il plurale maschile che viene declinato al femminile: i fagioli co le cotiche diventano le faciole co’ le cotiche, le sorde (soldi), le sasse (i sassi), le carabiniere co le baffe (i carabinieri coi baffi) e se: Volete lโ€™acqua ma le case? Scoperchiate le tette (Volete l’acqua nelle case? Scoperchiate i tetti).
A condurci passo dopo passo nel viaggio orvietano cโ€™รจ Gianluca Foresi, attore di rievocazioni storiche e nativo della cittร , che ama la lingua in tutti i suoi aspetti.
ยซPrima dโ€™iniziare la nostra chiacchierata annamo a mettese a ceccia sulle schiace del Duono (andiamo a sederci sulle scale del Duomo). Gli orvietani fanno questo, oltre che a usare diocaro come inflessione, come fosse un cioรจ. Non cโ€™รจ nulla di blasfemo. E poi se ti chiedono come stae? (come stai) si puรฒ rispondere: Cโ€™ho na fame che sgavuglio (ho una fame che non ci vedo), fame si dice anche lupa (nun ho magnato gnente da iersera… e mรฒ cโ€™ho na lupa!) poi dopo mangiato ce pija la scarfagna (sonno, abbiocco) che si dice anche cicagna o cecagna.
Ecco, a Orvieto parliamo cosรฌ. Se poi vuoi chiamare qualcuno, devi urlare Oh vรจ! oppure quellโ€™o/quella do; laggiรน diventa me la ju, vieni qui, vieni me qui e andato รจ ito. La testa da noi รจ la copoccia, il ragazzo o la ragazza sono il bardasso o la bardassa (usato anche per indicare il fidanzato/a), le chicchere sono le stoviglie mentre il pรฌolo รจ il chiacchierare ridendo e scherzando: deriva, in forma onomatopeica, dal suono del verso dei pulcini. Usiamo molto anche la parola gagliardo – decisamente romanesca – e quando iniziamo un racconto diciamo: sessimo io eโ€ฆ (eravamo io eโ€ฆ), invece, dicesse Foresiโ€ฆ quando riportiamo le parole di qualcunoยป spiega Gianluca Foresi.

 

Per le vie di Orvieto

Se te pija a pittinicchioโ€ฆ รจ la fine!

Nel vernacolo gli insulti sono un vero fiore allโ€™occhiello e lโ€™orvietano non รจ certo da meno, quindi si spazia da lolo (sciocco) a marruano (grezzo, poco raffinato) o ciummello (imbranato). Per rinforzare possiamo dire che manco lโ€™billo te magna la capoccia (per dire che non sei molto intelligente) o sei proprio un metule (sei inutile. Il metule รจ il palo che sta in mezzo al pagliaio, sta lรฌ fermo e sembra che non serva a niente).
A Orvieto si puรฒ incontrare anche qualcuno che te pijร  a pittinicchio: mโ€™ha reso a pittinicchio, nun me mollava piรน! (si dice quando una persona chiacchiera tanto e non ti lascia piรน andare) o che dร  il pillotto (il tormento). Puรฒ capitare che in un luogo non ce se ribruglica (non ci si gira, si dice quando un luogo รจ troppo stretto), si puรฒ camminare a gnaolone (camminare come i gatti a quattro zampe) o me darebbe ma li cani! (per indicare una persona messa male) Ma lโ€™importante รจ levร  โ€˜ste struffajje de mezzo (vari oggetti in mezzo)… sinnรฒ โ€˜nciampico!
ยซUsiamo molto anche lโ€™imprecazione perdindirindio o il modo di dire Sโ€™รจ sfondato come โ€˜l pozzo de San Patrizio per indicare qualcuno che mangia molto. Invece quando si รจ fortunati si dice: sei passato par Arduino. Arduino si trovava anticamente nella zona di Porta Romana e si occupava della monta dei cavalli, รจ un modo elegante per dire che hai un grande fondoschiena. Molto usato รจ anche: sarร  che โ€˜l cane magna โ€˜l falasco, ma che scioje la balla (se il cane vuol mangiare il grano prima deve scogliere la balla) per indicare un obiettivo che non si riesce a raggiungere. Quando invece una ragazza รจ irraggiungibile per un ragazzo si dice n’รจ motore pe quela trebbiaยป conclude lโ€™attore orvietano.
Comunque caro lettore ricorda sempre che Quannรจ nero โ€˜l buco de lโ€™Apone nu la tiene manco Cristo col bastone (Quando da Orvieto, guardando verso lโ€™Apone (Viceno, una frazione) vedi nuvole nere, pioverร  di sicuro).

 


Le puntate precedenti

Perugino
Eugubino
Castellano
Folignate
Spoletino
Ternano

ยซIl dialetto non si salva solo con le poesie, le commedie e i festival. Si tramanda anche infilandolo nel discorso, come un cetriolino in un panino. รˆ un po’ snob, lo ammetto. Ma mica possiamo parlare tutti ingleseยป. Beppe Severgnini

Con la quarta puntata di #Di(a)lettiamoci – il tour che vi porta alla scoperta dei dialetti umbri – ci spostiamo a Foligno: cittร  in cui il patriottismo locale regna sovrano, dove non amano particolarmente Perugia โ€“ vorrebbero avere una provincia tutta loro – e dove l’attaccamento al territorio e il dialetto sono molto sentiti. Dopotutto sono sempre lu centru de lu munnu!
Giovanni Ruiu folignate D.O.C. che fa parte della redazione della rivista Stuzzicadenti ย – che racconta il territorio e le storie di Foligno – senza pensarci troppo, ha scritto lโ€™articolo e me lo ha inviato bell’e pronto: ยซPur di non farci mettere mano a una perugina, hai fatto tutto tu!ยป ho esclamato. ยซDovrei dire che non รจ cosรฌ, perรฒ un pochetto sรฌ, via!ยป. Quindi vi lascio condurre da Giovanni alla scoperta del dialetto folignate, delle sue parole e dellโ€™essenza di Foligno.

Facemo a capisse…

Giovanni Ruiu

Semo jente de Fulignu, semo fatti cuscรฌ: queste le parole cantate da Massimo Bagnato di cui ogni folignate un poโ€™ si risente, sia quelli che non je sta vene (non gli sta bene) – la j la mettemo dappertutto – sia a quelli che je sta vene (gli sta bene). Perchรฉ semo fatti realmente cuscรฌ, un poโ€™ incazzosi e un poโ€™ rompi scatole, ma tanto socievoli. Il patriottismo folignate ci contraddistingue, basta chiedere anche a un solo vecchietto che trovi in piazza da dove viene e lui ti risponderร  da Fulignu, al massimo forse dalla zona de appartenenza. Eh giร  perchรฉ, noi ce litigamo le zone, Prato Smeraldo e Sportella Marini se possono vedรฉ poco, Cave e Maceratola non so stati mai troppo amici, li Vurruni – un paesino che si chiama Borroni – e limitrofi non ne parliamo.
Comunque, in qualsiasi zona tu ti trovi, sentirai le parole finire sempre e solo con una lettera: la U, infatti, approposito de esse incazzusu, basta pocu pe piร  focu.

Nรฉ capoluogo nรฉ marchigiani

E quello che non sopportiamo piรน di tutto รจ quando i nostri meriti li associano agli altri: perchรฉ non ci nascondiamo dietro a un dito, a noi il capoluogo non ci piace, non ce la facemo a sentรฌ parlร  co ‘n gatto nta la vocca – la B e la V per noi sono uguali – i folignati pensano che i perugini parlano con un gatto in bocca, il famoso donca.
E quando ci dicono di essere simili ai marchiciani (marchigiani) io vorrei far notare questo: la storia insegna che il popolo degli Umbri insediรฒ i territori dallโ€™attuale Lazio, arrivando a Foligno e dirigendosi verso il mare, quindi diciamo la veritร , non semo noi quelli fori luogo, ecco. E se questa puรฒ sembrare una magra consolazione, pacenza (pazienza) a noi ce basta, e come se dice da noi, chi spizzica non digiuna (meglio poco che niente, lโ€™importante รจ accontentarsi).

 

La cattedrale di San Feliciano. Foto di Enrico Mezzasoma

Velli e impossibili

E non posso non dedicare due parole ai paesetti de montagna, perchรฉ so il nostro collegamento al mare, il nostro motore agricolo, lโ€™origine delle parole piรน strane, e poi perchรฉ me sentirei rinfacciร  la frase chi fiji chi fijiastri? (Alcuni sรฌ e alcuni no?). Quindi o tutti o nessuno. Foligno รจ questo e molto di piรน: ma dโ€™altronde non basterebbe un articolo per spiegare quanto semo velli (siamo belli) ma anche quanto semo intoccabili, praticamente come una bella donna che perรฒ รจ accompagnata; ma dโ€™altronde, come direbbe un mio caro amico de Cifo: ยซLi rigori se tirano da lu portiere, mica a porta votaยป (non รจ sempre facile fare delle coseโ€ฆ). Per concludere: forza Foligno sempre!

 


Le puntate precedenti

Perugino

Eugubino

Castellano

ยซInsegnare ai bambini il dialetto รจ affondarne le radici nellโ€™humus della propria stirpe e comunitร ยป. (Cesare Marchi)

Il tour dei dialetti umbri – in questa seconda puntata – punta dritto a nord, a Gubbio. Nella terra dei ceri, del picchiarume e del fร nfeno; dove lo stesso dialetto, vista la vastitร  del comune, cambia da zona a zona, con piccole sfumature che i veri eugubini sanno riconoscere.

Simone Zaccagni

ยซSe uno vive a Branca o a Mocaiana si capisce, la parlata รจ un poโ€™ diversa: a Branca pronunciano la C con il suono SCI, invece verso Mocaiana, soprattutto le persone piรน anziane, sostituiscono la A con la E (gimo a chesa, per dire andiamo a casa); mentre chi abita nella zona di Burano ha influenze marchigiane. Il dialetto eugubino come tutti i dialetti ha una sua dignitร : parlarlo non deve essere di nicchia o relegato alle persone anziane o poco istruite, sta tornando di moda ed รจ giusto cosรฌ. Moltissime parole dialettali hanno origine latina e vantano una lunga storiaยป spiega Simone Zaccagni, scrittore, insegnante, giornalista e appassionato di dialetti (ha pure creato un dizionario di eugubino-italiano: Dopo lo Zanichelli, Zingarelli, sempre con la Zโ€ฆ รจ arrivato lo Zaccagni!) che ci guiderร  tra i segreti dellโ€™eugubino. Un dialetto che, come tutti i dialetti umbri, รจ inimitabile e poco riconoscibile da chi non vive nella regione. Un dialetto che condivide molte parole con il marchigiano e il romagnolo e che ha subito contaminazioni dallo Stato Pontificio e dal Ducato di Urbino.

ยซPer parlare lโ€™eugubino devi essere nato a Gubbio. Questa รจ una certezza. Ma come tutti i dialetti umbri anche lโ€™eugubino ha alla base lโ€™italiano, che viene colorito e farcito con parole dialettali. Non รจ una vera e propria lingua come puรฒ essere il siciliano, il veneto o il napoletano (per citarne alcuni): loro passano dal dialetto allโ€™italiano facendo un vero e proprio switch e questo non gli fa commettere errori sullโ€™individuare una parola dialettale o italiana. Noi umbri invece cadiamo in questo tranello: da ragazzino mi capitรฒ di chiedere i succini (prugne) a un fruttivendolo marchigiano, ovviamente non capรฌ. Errori del genere sono molto frequenti nel nostro caso, non รจ facileโ€ฆ il dubbio spesso viene! Tipico nostro รจ il troncamento delle parole che appare evidente nella frase: Ma me si diโ€™ i fij, que li fiโ€™ a faโ€™? (Mi sai dire perchรฉ continui a fare bambini)ยป spiega Zaccagni.

 

Gubbio, Palazzo dei Consoli. Foto di Enrico Mezzasoma

Picchiarume, tausana eโ€ฆ tanto buligame!

Una parola che non manca mai nelle chiacchiere eugubine รจ picchiarume. Picchiarume vuol dire tutto, dipende dal contesto, ha diversi significati: dal fare un lavoretto in casa, al piccolo impegno (lasceme gรฌ, chรจ cโ€™ho da fa โ€˜n picchiarume, lasciami andare che devo fare un lavoretto) fino allโ€™avere un flirt con una ragazza (cโ€™ho โ€˜n picchiarume con una!). Si dicono spesso anche frego/a (ragazzo/a) o buligame (confusione, caos): forzando lโ€™etimologia, potremmo farlo derivare dallโ€™inglese bowling game, per il rumore che cโ€™รจ nei luoghi dove si pratica questo sport.
Immancabili per le vie di Gubbio anche vocaboli come tausana, noiosa esposizione orale volta a ottenere qualcosa, ma anche un rumore continuo (ma quรจ โ€˜sta tausana? Cosโ€™รจ questa noia?), furattola (salvadanaio), che viene usata anche in relazione agli occhi semi chiusi: Te cโ€™hi glโ€™occhi a furattola, per dire che hai uno sguardo sonnolento; o fร nfeno, una persona furba e sorniona (sete certi fร nfeni!).

 

L’alzata dei Ceri. Foto by URP di Gubbio

Dialetto e ceri

Ma a Gubbio, dialetto e ceri sono legati a doppio filo. I ceri hanno una terminologia tecnica molto specifica che si unisce e ispira parole e modi di dire dialettali: ยซTa quello glie dร  du stradoni deriva dalla corsa dei ceri: infatti si dice quando un cero sale bene sul monte e distanzia di molto lโ€™altro, appunto di due stradoni. Ritroviamo questa frase anche nella parlata comune per dire: cโ€™รจ una distanza abissale, รจ molto piรน bravo. Questo รจ un modo di dire talmente radicato a Gubbio che un mio amico in discoteca a Palinuro per corteggiare una ragazza le disse: Te, ta la cubista glie diโ€™ du stradoni! Lui voleva farle un complimento, lei ovviamente non capรฌ. Un altro modo di dire molto comune legato ai ceri รจ: fatte sto pezzo a capodieci (guarda che bella cosa che ti aspetta). Indica la parte migliore, qualcosa di prelibato, perchรฉ nella corsa il Capodieci รจ il ruolo di massima autoritร . รˆ una terminologia ceraiola che usiamo anche nella vita di tutti i giorni quando vogliamo offrire qualcosa di buono, di pregiato. Narra la leggenda che qualche sposa lโ€™abbia pronunciata al marito, che finalmente poteva avere la giusta ricompensa di tanta attesa, nella prima notte di nozze. Invece, quando uno sta troppo vicino a una persona si dice: que me fiโ€™ โ€˜l braccere? ย (non mi stare troppo appiccicato). Il braccere รจ colui che dร  una mano a chi porta il cero, corre appunto abbracciato a lui e lo aiuta a scaricare il peso. Dovete sapere che la vita degli eugubini รจ legata ai ceri, fin dalla prima infanzia. I bambini a Gubbio dicono: giochiamo ai ceri? che vuol dire prendere un bastone, una scopa, un ombrello metterselo sulle spalle e rincorrersi. A Gubbio non giochiamo a chiapparellaโ€ฆ giochiamo ai ceri! E se questo viene detto a un bambino non eugubino, lui sicuramente non capirร ยป conclude Simone Zaccagni.

 


Il dizionario eugubino-italiano lo trovate presso cartolibreria Pierini e edicola Shangai di Gubbio.

Comune di Gubbio

ยซLa nostra vita avrebbe tuttโ€™altro aspetto se fosse detta nel nostro dialettoยป. (Italo Svevo)

Il nostro viaggio alla scoperta dei dialetti umbri parte dal dialetto perugino. Un dialetto che potremmo definire inimitabile: nemmeno grandi imitatori come Maurizio Crozza e Gioele Dix (rispettivamente nei panni di Serse Cosmi e Fabrizio Ravanelli) sono stati in grado โ€“ diciamolo chiaramente โ€“ di riproporlo correttamente. Insomma, un dialetto difficile da riprodurre, o sei perugino oppure rischi di fare solo una tiepida e ridicola imitazione. A guidarci nel mondo del donca e a svelarci qualche piccolo segreto รจ Riccardo Cesarini, ideatore e curatore di Wikidonca, un vero e proprio dizionario online dedicato al perugino.

Riccardo Cesarini

Wikidonca รจ nato per caso una sera dellโ€™estate del 2008, in un pub davanti a una birra: ยซEro in compagnia di un amico e, tra le chiacchiere piรน varie, venne fuori un โ€œcomโ€™รจ possibile, nellโ€™era di internet, che non esista una catalogazione e un sito dove si possano trovare le traduzioni delle parole in dialetto?โ€ Cosรฌ mi si รจ accesa la lampadina e mi sono detto, ora lo invento io. E cosรฌ รจ nato Wikidonca. Giorno dopo giorno ho inserito le parole, facendo aggiornamenti continui. Il nome invece รจ nato dopo tre giorni di conclave: unire un sistema open source e il donca รจ stata unโ€™intuizione efficace e semplice, una settimana dopo il sito era onlineยป racconta Riccardo, che specifica di essere un appassionato di computer e di dialetto (ex studente di scienze politiche) e non un accademico.

Cosโ€™รจ il donca?

ยซDonca รจ una parola che letteralmente vuol dire dunque; รจ stata eletta parola caratteristica del dialetto perugino proprio per quella D molto pesata (in linguistica: occlusiva retroflessa sonora), tipica proprio della parlata perugina, come sono anche i suoni B, GN e la Z sempre (o quasi) sorda. Questo vuol dire avere il doncaโ€ฆ Inoltre, per parlare un perfetto dialetto occorre โ€“ dice ironicamente – portare in avanti la mandibola e forzare sulla pronuncia delle consonanti, in questo modo uscirร  tutto molto facile. Va detto che il perugino รจ un dialetto inimitabile: i tentativi sono stati tantissimi anche in tivรน, ma mai riusciti veramente. Specie chi tenta di replicarlo da fuori, finisce con lo scadere in un qualche dialetto umbro simile alla cadenza folignate piรน che al perugino. Lโ€™unico che รจ riuscito nellโ€™impresa โ€“ per chi ha buona memoria – รจ Michelangelo Pulci dei Cavalli Marci (gruppo comico di Genova) a inizio anni 2000 su Italia1, nel ruolo di Michele, lโ€™informatico de Perugia. Ovviamente cโ€™รจ il trucco: il comico aveva contatti diretti con la zona essendo originario di Cittร  di Castello. รˆ quindi un dialetto praticamente inimitabile, o ce lโ€™hai o non ce lโ€™hai, ed รจ parlato da poche personeยป prosegue Cesarini.

Le parole da conoscere

Il perugino รจ un dialetto, alla fine, molto simile allโ€™italiano, non ci sono quindi parole fondamentali e indispensabili per parlarlo correttamente, ma se ne vogliamo individuare alcune caratteristiche potremmo segnalare: bulo (che non lo dicono da nessunโ€™altra parte) o fraido (che ha 100 interpretazioni diverse, in base al contesto).
ยซAnche lโ€™anatomia perugina va conosciuta: se vai allโ€™ospedale e incontri un medico di fuori regione, occhio a dirgli โ€œme fonno male i reniโ€ potrebbe capire qualcosa di piรน grave invece di un semplice un mal di schiena. Comunque, รจ impossibile conoscere tutte le parole dialettali, anche perchรฉ col tempo cambiano, ne spariscono alcune e ne nascono di nuove. Il mi nonno “bulo” non lo diceva, nemmeno sgaggio o sdatto. Col tempo le parole cambiano e assumono anche diversi significati. Bulo ad esempio รจ nato come trasposizione di fare la bula, oggi รจ unโ€™esclamazione o un aggettivo e si puรฒ tradure con il termine inglese cool. Ci sono poi parole come marampto o strappacerque che significano maldestro, sgraziato, ma sono difficili da tradurre in modo letteraleยป spiega Riccardo.

 

Il grifo e il leone, simboli di Perugia

Il ritorno al dialetto e la vittoria di duelle

Il dialetto oggi รจ motivo di vanto, รจ tornato di moda in tutta Italia e non รจ piรน un qualcosa relegato alle persone piรน anziane o poco istruite. รˆ una vera e propria lingua, per questo sarebbe opportuno conoscerla e capirla, scavando anche nelle proprie radici, per non cadere nella rozza cafonaggine. Dโ€™altronde, chi parla dialetto e basta puรฒ venire considerato un bifolco e un ignorante, ma chi sa parlare dialetto e italiano รจ in realtร  bilingue.
ยซรˆ fondamentale saperli distinguere e connotare entrambi, altrimenti si crea una zona grigia dove emerge la mancata capacitร  di parlare sia lโ€™uno sia lโ€™altro. A tal proposito, mi ha fatto molto sorridere qualche anno fa un catalogo-premi di una nota catena di supermercati dove, tra le precise schede di tutti i premi disponibili, a un certo punto compariva lui: lo scalandrino (italiano: scaletto), scritto proprio cosรฌ! รˆ stato bellissimo perchรฉ evidentemente chi ha curato la redazione del catalogo non sapeva che scalandrino รจ dialetto e magari non conosceva il corrispettivo in italiano. Scoppiai a ridere e lo feci anche lโ€™anno successivo, perchรฉ lโ€™errore venne ripetuto. Quindi anche il dialetto merita di essere conosciuto e va a suo modo studiato bene, soprattutto per chi lo vuole usare a scopo identitario o di divertimento tra amiciยป aggiunge il fondatore di Wikidonca.
Wikidonca, anche nel 2020, ha fatto il suo storico sondaggio, eleggendo la parola piรน bula – e non poteva essere altrimenti. La parola dello scorso anno รจ stata duelle. Me sa che oggi nn girรจ duelle (Mi sa che oggi non andrai da nessuna parte) sembra proprio il sunto perfetto del 2020.
ยซMe lo aspettavo. Non gi duelle รจ stato il leitmotiv del 2020, anno di pandemia, e non poteva essere altrimenti. E anche oggi ve dico: freghiโ€ฆ Non gite a pericolavve nโ€™giro! Voglio concludere, dicendovi la frase che per me rappresenta la sintesi perfetta del carattere dei perugini: Chi vol Cristo se l preghi, chi vol l pan se l fietti e chi j rode l cul se l grattiยป conclude Cesarini.


Per saperne di piรน su Wikidonca

Non รจ la prima (e, scommettiamo, neanche lโ€™ultima) avventura in vernacolo perugino per Ida Trotta, autrice di altri cinque libri al sapore di cucina umbra.

Una passione, quella dellโ€™autrice, che in passato lโ€™ha vista vincere due concorsi con ricette da lei inventate, nonchรฉ sedersi in cattedra alla Scuola di torte di Pasqua di Mantignana. Perchรฉ Ida considera il cibo come un bene collettivo e il ben mangiare come espressione di educazione e rispetto: tutti elementi che non possono esistere senza una conclamata eccellenza di base. La cucina umbra โ€“ con la sua rustica nobiltร  e cosรฌ ospitale, calda e distesa (per parafrasare lโ€™autrice) โ€“ ha ampiamente dimostrato come la sua eccellenza derivi da sapori semplici e genuini; si tratta della stessa semplicitร  che oggi gli chef stellati vanno cercando per differenza โ€“ togliendo ciรฒ elementi agli elaborati piatti del passato โ€“ e che lโ€™Umbria, invece, presenta nella sua tradizione culinaria fin da tempi remoti.

Operazione testimoniata anche da Ida, che ricorda la ricchezza dei profumi e dei sapori esperiti durante lโ€™infanzia passata a casa dei nonni. La personalizzazione continua poi con le ricette, ma non si pensi che Perugia a Tavola sia un semplice ricettario: ogni creazione appartenente alla tradizione perugina รจ corredata di una presentazione in versi โ€“ rigorosamente in dialetto, con tutte le difficoltร  del caso โ€“ e da curiositร , in cui si compiono incursioni nellโ€™etimologia e negli usi e costumi. Ida รจ anche lโ€™artefice delle illustrazioni poste a intercalare le sezioni in cui si divide la prima parte del libro โ€“ antipasti, pane e torte salate, primi piatti, zuppe, minestre e legumi, secondi piatti, contorni, frittate, salumi, dolci.

Ma la particolaritร  del libro non termina qui. In calce a questo ricettario sui generis, vi sono i Minima culinaria, dei componimenti in versi in vernacolo perugino approvati dellโ€™Accademia del Donca: il donca รจ, emblematicamente, la particolare inflessione diffusa nella zona di Perugia che identifica, per estensione, il dialetto stesso. La sezione รจ curata da Sandro Allegrini, che ha firmato anche la prefazione.  

A chiudere il volume, infine, unโ€™appendice piรน turistica: lโ€™autrice ha infatti selezionato una serie di luoghi dua se magna bene (dove si mangia bene), ossia ristoranti selezionati per il loro modo di riproporre quelle stesse ricette della tradizione di cui si parla nel volume, nonchรฉ per la loro capacitร  di divulgazione e promozione del territorio.

Insomma, unโ€™opera unica nel suo genere quella di Ida Trotta, vera e propria ambasciatrice della tradizione culinaria e vernacolare umbra.


Perugia a tavola โ€“ Tradizione, identitร , cultura

Di Ida Trotta

Morlacchi Editore

Perugia 2017

369 pagine

Strangozzi, stringozzi, strozzapreti, bringoli, umbricelli, bigoli, umbrichelle, lombrichelli, ciriole, anguillette, manfricoli: se mai vi capitasse di fare un giro nelle osterie umbre, sedendovi in quelle sale dalle rustiche atmosfere e addentrandovi nella lettura dei prelibati menu, vi accorgereste che nella sezione dedicata ai primi piatti campeggiano portate dai nomi evocativi quanto ambigui.

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Farina e acqua

Non รจ facile ricostruire la storia di un piatto dalle antiche origini, soprattutto nel caso in cui regni ancora indisturbata la confusione persino sul nome da attribuirgli, contaminato com’รจ dall’imprecisione propria della lingua parlata e dall’uso consuetudinario di alcuni termini piuttosto che di altri.

Ma andiamo per ordine: stiamo innanzi tutto parlando di un tipo di pasta fresca, rustica in quanto fatta a mano e dunque imprecisa, grossolana, la cui bontร  sta proprio nella ruvidezza della sua composizione. Le fonti concordano sulle origini povere di questo piatto, realizzato con acqua e farina di grano tenero. Ciรฒ che fa la differenza รจ perรฒ la forma che assume: ecco dunque che dallo stesso impasto nascono molti tipi di pasta, i cui nomi sono spessi confusi a causa di una somiglianza etimologica.

A Spoleto, ยซErti de stinarello e fini de cortelloยป

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Gli stringozzi di Spoletoโ€“ chiamati strangozzi a Terni, manfricoli a Orvieto, anguillette nella zona del lago Trasimeno, umbricelli a Perugia per la loro somiglianza con i lombrichi, o ancora brigoli, lombrichelli o ciriole โ€“ sono degli spaghetti piuttosto tozzi e grossolani, con una circonferenza di 3-4 millimetri e una lunghezza di circa 25 centimetri, arrotolati a mano sulla spianatoia. Come afferma il detto, nel momento in cuiย si stende la sfoglia, non bisogna assottigliarla in maniera eccessiva; si starร  attenti allo spessore solo in un secondo momento, quando col coltello la si taglierร  nel senso della lunghezza.
La cottura degli strangozzi deve avvenire in abbondante acqua, e bisogna star pronti a ripescarli nel momento esatto in cui vengono a galla.Vengono conditi con sughi al ragรน, con tartufo, con parmigiano o con le verdure.ย 
Senza dubbio, la preparazione piรน caratteristica รจ quella che tiene alto il nome di Spoleto – โ€œalla spoletinaโ€ appunto – in cui vengono esaltati dal gusto del pomodoro, del prezzemolo e dal peperoncino piccante.

Una bagarre linguistica

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Ciรฒ che รจ curioso, รจ che gli strangozziย per questa loro assonanza col verbo โ€œstrangolareโ€-vengano spesso confusi con gli strozzapreti, altra preparazione ottenuta dallo stesso semplice impasto di acqua e farina.

Sebbene i nomi vengano spesso usati in maniera intercambiabile, gli strozzapreti hanno una formato ben diverso dagli strangozzi (e dai loro omologhi): sono piรน corti e si presentano come delle listarelle di sfoglia arrotolate su sรฉ stesse, la cui forma assomiglia alle stringhe delle scarpe, un tempo fatte di tenace cuoio arricciato.

Qualcuno doveva pur finire per strozzarsi

La leggenda vuole che i rivoltosi anticlericali usassero le suddette stringhe per strangolare, ai tempi del dominio dello Stato Pontificio, gli ecclesiastici di passaggio. Non sembra un’ipotesi troppo remota, se consideriamo la continua lotta dei perugini contro l’ingerenza dello Stato Pontificio: episodi come la Guerra del Sale del 1540 o l’acceso anticlericalismo ottocentesco sfociato nelle Stragi di Perugia, ci fanno ben comprendere lo scarso amore della popolazione verso i prelati. Questi ultimi, infatti, oltre a riscuotere i tributi, erano notoriamente dei golosoni, sempre pronti a scroccare pasti alla povera gente.ย 

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Un’altra interpretazione vuole che gli strozzapreti fossero cosรฌ chiamati perchรฉ le massaie, costrette a dimezzare le porzioni ai loro cari per fare quella dei prelati, augurassero loro di strozzarsi con quello che mangiavano. Una variante รจ quella che vede le donne di casa maledire i preti per aver loro sottratto le uova come tributo, costringendole a fare una pasta โ€œpoveraโ€, composta solo di acqua e farina.
Un’ulteriore interpretazione โ€“ e conferma dello spropositato appetito della Curia – ci รจ data dal poeta Giuseppe Gioacchino Belli, maestro del vernacolo romanesco:

 

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Nun pรฒi crede che ppranzo che cciร  ffatto ย 
Quelโ€™accidente de Padron Cammillo. ย 
Un pranzo, chโ€™รจ impossibbile de dรญllo: ย 
Ma un pranzo, un pranzo da restacce matto. ย 
Quello perantro cโ€™ha mmesso er ziggillo ย 
A ttutto er rimanente de lo ssciatto, ย 
รˆ stato, guarda a mmรฉ, ttanto de piatto ย 
De strozzapreti cotti cor zughillo. ย 
Ma a pproposito cqui de strozzapreti: ย 
Io nun pozzo capรญ ppe cche rraggione ย 
Sโ€™abbi da dรญ cche strozzino li preti: ย 
Quanno oggni prete รจ un sscioto de cristiano ย 
Da iggnottisse magara in un boccone ย 
Er zor Pavolo Bbionni sano sano.ย 

(G.G. Belli, La Scampaggnata)ย 

 

 

 

Sembra dunque che l’eco degli stomaci affamati dei prelati si fosse propagata fino a Roma: il loro appetito era talmente smisurato da superare persino la difficoltร  che la particolare forma degli strozzapreti donava all’atto di mangiarli. Altro che strozzarsi: ci vuole ben altro che una zuppiera di strozzapreti per far passare l’appetito ad un religioso!

Un piatto sostanzioso

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Oggi, sebbene gli strozzapreti vengano prodotti a livello industriale, la lavorazione attuata con una trafila in bronzo li rende ruvidi come quelli fatti in casa, permettendo il completo assorbimento dei condimenti con cui vengono serviti. Tra le sinuositร  del suo profilo, infatti, i sughi si depositano e lรฌ restano, donando al palato una piacevole sensazione di consistenza e corpositร , cosรฌ come sono tutte le paste dal sapore antico.