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INGREDIENTI:
  • 1 Kg di olive nere
  • 2 spicchi d’aglio
  • scorza (solo la parte arancione) di mezza arancia non trattata
  • ½ bicchiere di olio extravergine di oliva
  • Sale

 

PREPARAZIONE:

Mettete le olive nere a essiccare in un sacchettino di stoffa, e appendetelo vicino ad una fonte di calore (un tempo si metteva vicino al fuoco del camino). Tenetelo così per almeno 8 giorni, quindi ponete le olive in una terrina e versatevi sopra acqua bollente. Lasciatele così per un paio d’ore, quindi scolatele e asciugatele. Condite con aglio e buccia d’arancia tritati, olio e sale. Mescolate bene e riponete in un vasetto di vetro. Si possono conservare anche per un mese.

 

Questa preparazione è diffusa in tutta l’Umbria.

 

Per gentile concessione di Calzetti-Mariucci Editore

I fruscianti cipressi di Villa Capelletti, allineati come ligi soldati, tracciano linee verdi e odorose che, qui in Umbria, siamo abituati ad associare alle antiche dimore signorili. Emblemi di un’antica aristocrazia che, celata dall’ombrosa frescura, ne proteggono ancora i più intimi segreti.

 

Già custode di una collezione ferromodellistica che, per ricchezza di esemplari e per rigore è un unicum in Italia, e del Museo delle tradizioni popolari e delle arti contadine, oggi il complesso rinascimentale di Villa Capelletti, in località Garavelle, accoglie anche un museo straordinario non solo per le sue caratteristiche, ma anche per la sua collocazione in una regione come l’Umbria, notoriamente priva dello sbocco sul mare. Un Museo Malacologico.

malakos umbria

Il tesoro nascosto

Malakos si compone di circa seimila esemplari, di cui però ne sono esposti “solo” tremila: il vero tesoro si trova nei cassetti delle luminose teche che affollano i corridoi, disposte in modo da formare dei percorsi tematici che suscitano esclamazioni di meraviglia non solo ai bambini, ma anche agli adulti, affascinati dalle delicate architetture adagiate sul quarzo blu delle teche.

museo conchiglie umbria

La barriera corallina ricostruita

Ad accogliere il visitatore, l’antro che capirò costituire la punta di diamante dell’intera mostra: in questa profonda insenatura che si apre sul corridoio principale della villa, è stata ricreata una barriera corallina. Si tratta del contenuto di uno dei tre container, sequestrati dal Corpo Forestale dello Stato, destinati al commercio illegale di souvenir. Conteneva esemplari di corallo azzurro, quel raro Heliopora coerulea a forma di ventaglio, tartarughe imbalsamate, crostacei e tutti meravigliosi esseri che popolano il reef. Si è cercato di disporli ricreando fedelmente i livelli presenti in natura, trasformando un danno irreparabile in un’occasione di apprendimento. Nell’osservare quella variegata distesa di forme e architetture, è difficile non sentirsi in apprensione: un intero atollo è stato praticamente estirpato, la sua ecovarietà distrutta. Nonostante il pregevole sforzo dei curatori – Gianluigi Bini, Debora Nucci e Giacomo Rettori –  c’è come una patina di morte che non permette di capire davvero la ricchezza incommensurabile della barriera corallina: tutti i colori, infatti, si sono persi, tutto è ammantato da una specie di opacità, con qualche smunta punta cromatica – rosso, blu, marrone. Il risultato di un atto scellerato compiuto da contrabbandieri senza scrupoli.

 

Guardiani di biodiversità

Scatto una foto a due dei curatori presenti – la biologa Debora Nucci e il Professor

Gianluigi Bini –  proprio lì davanti. Si pongono come i guardiani che sono: protettori e custodi della biodiversità del nostro Pianeta, un tesoro unico e vulnerabile. Emblematica è stata infatti la visita dei principi giapponesi, portavoci di una cultura in cui le conchiglie sono addirittura parte del tesoro reale.

gianluigi bini debora nucci

Debora Nucci e Gianluigi Bini

Tuttavia è difficile immaginarsi questo luogo tranquillo in fermento per i Reali giapponesi. Oggi la villa è avvolta da un’atmosfera distesa, di profonda quiete. Quasi a farmi assaporare meglio ciò che vedo. Posso addirittura soffermarmi a parlare con Gianluigi Bini, curatore della mostra, naturalista, biologo marino e paleo-antropologo, ma, prima di tutto, grande avventuriero. Animato da un’insaziabile curiosità, lo studioso ha infatti viaggiato in lungo e in largo per il mondo fino ad approdare sulle coste filippine, dove ha scoperto un gasteropode ancora sconosciuto alla scienza. L’ha chiamato Cinguloterebra binii, donando metà del suo nome nel battesimo di un nuovo esemplare.

L’esposizione

Il Professore mi racconta del suo viaggiare, come pure degli innumerevoli pericoli in cui uno studioso – specie in alcune parti della Terra – può incorrere: le mangrovie, per esempio, sono inestricabili labirinti in cui è facile perdersi, mentre i corsi dei fiumi possono essere infestati da alcune specie di squali che ne risalgono il corso. Stiamo parlando di tutte quelle zone interstiziali, poste tra ecosistemi diversi, che nascondono insidie di ogni genere, come serpenti e molluschi velenosi.

Esperienze che si riflettono nella scelta di allestire non solo un’area biologica – dove si potranno scoprire le caratteristiche che permettono il riconoscimento e la classificazione delle conchiglie, come l’architettura che ne caratterizza la specie, il motivo per cui sono colorate, come si riproducono e quali sono le deformazioni a cui possono andare incontro a causa dell’inquinamento – ma anche di un’area biogeografica, organizzata in modo da mostrare la varietà delle diverse zone del Pianeta, compresi gli abissi o le suddette zone “ibride”, poste tra mare e terraferma. Non mancano incursioni nella Preistoria, con esemplari fossili che lasciano intravedere le innumerevoli forme in cui quegli esseri, divenuti blocchi litici, si sarebbero evoluti.

Una storia antica

Approfittando della disponibilità dei curatori, azzardo poi la domanda che mi frulla in testa da quando ho saputo della mostra.
«Perché allestire una collezione del genere proprio in Umbria, considerando che l’ultima volta che la regione ha visto il mare è stata millenni fa?»
È proprio a quell’antico mare preistorico che fa riferimento Gianluigi Bini, rispondendomi: «Quando sono tornato in Italia, mi sono trovato a Città di Castello (il Curatore è di origini toscane, ndr) e qui, in questo luogo tranquillo, sono rimasto. Qui, dove il mare, un tempo, ricopriva tutto.»
È una storia antica, questa. Una storia che l’Umbria custodisce nelle viscere delle sue montagne, che a volte eruttano rosse ammoniti o conchiglie dal biancore osseo. Una storia che, adesso, è custodita anche nella pancia tifernate di Malakos.

 


Onlus Malakos – Museo Malacologico
Villa Capelletti | Località Garavelle
Città di Castello, Perugia
Tel  075 855.2119/331 130.5657
www.malakos.it
info@malakos.it.

Per scoprire le innumerevoli iniziative dedicate ai bambini, visita la pagina Facebook.
Orari: tutte le mattine dalle 10.00 alle 12.00 (senza prenotazione) | tutti i pomeriggi su chiamata | Lunedì chiuso

 

 

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Sì, era umbro Pino Lancetti, potremmo dire un umbro DOC, di quelli che nel mondo hanno lasciato un’impronta indelebile e di cui l’Umbria può essere davvero fiera.

Lancetti

Pino Lancetti con le sorelle, Vanda, Lorena ed Edda

 

Nacque a Bastia Umbra il 27 novembre 1928; qui trascorse la sua giovinezza e già da allora era evidente quell’animo gentile e quell’indole artistica, doti che lo portarono a intraprendere la carriera di disegnatore di moda e che lo videro per molti anni protagonista assoluto a livello internazionale. Recuperiamo perle preziose della vita di Lancetti dalla monografia che gli dedicò nel 2007, anno della sua morte, la professoressa Edda Vetturini, sua ex insegnante e grande sostenitrice, in un’edizione speciale del «Il Giornale di Bastia» edito dalla Pro Loco di Bastia Umbra.
Da lei apprendiamo come il giovane Pino non amasse frequentare la piazza insieme ai suoi coetanei, ma preferisse disegnare schizzi su quell’album da disegno da cui difficilmente si separava e come, già da allora, nei suoi lavori si intravedessero fantasia e talento straordinari.
Frequentò l’Accademia di Belle Arti di Perugia, e dopo un primo periodo trascorso ancora in Umbria in cui si dedicò all’attività di disegnatore, prima nel campo della ceramica, poi nel settore artistico della Perugina, nel 1954 si trasferì a Roma.

Da sarto umbro a re dell’alta moda

Qui aprì un suo laboratorio in via Margutta e lentamente iniziò a crearsi una certa fama nei salotti importanti della Capitale, che gli permise di realizzare la sua prima collezione per la principessa Lola Giovannelli. I suoi lavori ebbero il plauso della più grande giornalista di moda italiana, Irene Brin, e da lì in avanti iniziò la sua importante carriera di disegnatore d’alta moda.
L’arte fu la sua musa ispiratrice, in particolare la pittura, e ai pittori sono orientate le sue più celebri collezioni: la prima, successo del 1956, influenzata da Modigliani; nel 1977 la collezione Italian Style Rinascimento suggerita dalle stanze di Raffaello, fino alla realizzazione di veri capolavori d’arte con il lancio nel 1984 della Sophisticated Lady, stoffe impreziosite da disegni che raccontano le profonde suggestioni degli artisti che più aveva amato e che maggiormente lo avevano guidato: Cimabue, Giotto, Picasso, Matisse, Kandinskij, Modigliani.

 

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Collezione di Alta Moda primavera/estate, 1986

Il sarto pittore

Più che abiti, queste creazioni erano vere opere d’arte, da esporre più che da indossare, e non a caso a Lancetti venne attribuito dalla stampa specializzata l’appellativo di sarto pittore”. Quel sarto pittore che nel 1986, per i 25 anni di alta moda, presentò a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia, una stupenda collezione in onore di Picasso, in contemporanea con una mostra presentata dal grande pittore nel suo ultimo periodo artistico: «I modelli di Arlecchino suscitano la stessa attenzione di quelli dell’artista spagnolo unendo, dipinto e Moda, in un armonico connubio all’insegna dell’Arte».[1]

 

Tradizione e innovazione: la versatilità di Lancetti

La moda di Lancetti era una moda raffinata, preziosa, gli abiti erano spesso ornati da ricami sapienti, decorati da pietre, cristalli, paillettes. Ogni capo era un’opera unica e irripetibile, da ammirare proprio come i dipinti amati dall’artista e da cui traeva ispirazione.
Famosi in tutto il mondo divennero i suoi foulard, veri e propri quadri con tanto di cornice monocolore, che rappresentarono un simbolo di eleganza e raffinatezza fra gli anni Settanta e Novanta.
Pino Lancetti fu un artista poliedrico, lavorò per il cinema (nel ’79 creò i costumi per il film La luna di Bernardo Bertolucci), fu artefice di profonde trasformazioni frutto di uno studio costante e di un’accurata ricerca: creatività sì, ma senza improvvisazione.
Accanto all’abito-opera d’arte, lo stilista intuì la necessità di cambiamento nella moda femminile, in linea con l’emancipazione che stava vivendo la donna negli anni Settanta. Da qui l’esigenza di creare una moda veloce, pratica, facile da indossare: nacque così il prêt-à-porter che gli valse il Premio Speciale della Stampa Italiana.
Lancetti fu in effetti uno stilista molto amato dalla stampa, italiana e estera, e molti furono i premi e i riconoscimenti ufficiali che ebbe durante la sua carriera: da Cavaliere della Repubblica alla Nomination in Who’s in Italy 1997, dal Baiocco d’oro del Comune di Perugia, all’Oscar alla Carriera dalla Camera nazionale della Moda. Solo per citarne alcuni. Nel 2001 il Presidente Ciampi lo nominò Grande Ufficiale al merito della Repubblica.
Fra le numerose mostre celebrative a lui dedicate, vogliamo ricordare quella allestita nella sua regione: nel 1999 nella Sala Cannoniera della Rocca Paolina vennero esposti cento capolavori d’alta moda facenti parte della collezione privata dell’artista.

 

Collezione primavera/estate, 1986

Il tributo della sua città

A dieci anni dalla scomparsa di Pino Lancetti, Bastia Umbra, che dopo la sua morte accolse il feretro del suo concittadino in un commosso abbraccio, ha voluto intitolargli la piazzetta adiacente alla Chiesa di San Rocco. In mezzo al piccolo Largo Pino Lancetti, egli osserva con la sua aria elegante e vagamente malinconica, quelle strade che tante volte lo videro passeggiare portando sottobraccio il suo inseparabile album da disegno.

 

[1]E. Vetturini, Lancetti. Il Re dell’Alta Moda, edizione speciale de «Il Giornale di Bastia», Pro Loco di Bastia Umbra, novembre 2007.

 


Fonti:

E. Vetturini, Lancetti. Il Re dell’Alta Moda, edizione speciale de «Il Giornale di Bastia», Pro Loco di Bastia Umbra, novembre 2007. La pubblicazione è stata gentilmente messa a disposizione da Vanda Lancetti, sorella di Pino.

 

 

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INGREDIENTI:
  • 4 fette di pane casereccio
  • 2 spicchi d’aglio
  • ½ bicchiere d’olio extravergine d’oliva
  • sale

 

PREPARAZIONE: 

Fate tostare o meglio, se vi è possibile, abbrustolire in graticola, le fette di pane. Sbucciate l’aglio, tagliate gli spicchi a metà nel senso della lunghezza e strofinateli dalla parte tagliata sulle fette di pane. Salate, irrorate con l’olio e portate in tavola.

 

La bruschetta è nata nei mulini, quando durante la molinatura delle olive sgorgava l’olio nuovo. Preparazione comune alle cucine dell’Italia centrale, ora si usa durante tutto l’anno. Alla bruschetta base, con il semplice filo d’olio, se ne sono affiancate molte altre che con essa hanno poco a che fare, tranne forse quella al pomodoro. Era abitudine in campagna, soprattutto per le merende dei bambini, preparare fette di pane abbrustolito sulle quali si “strusciava” un pezzo di pomodoro. 

 

 

 

Per gentile concessione di Calzetti-Mariucci Editori

 

«Appena arrivo a Citerna mi chiedo che cosa ci sono venuto a fare. Poi, dopo un paio di giorni, riprendo il ritmo umano di questi luoghi e non me ne vorrei più andare.» 

Giornalista, autore televisivo e radiofonico per Rai e La7, responsabile editoriale per Stream e dirigente cinema per Tele+, il tutto guidato da un’unica passione: il cinema. Alessandro Boschi, nato a Città di Castello, torna spesso in questi luoghi per ritrovare la dimensione umana che questa terra regala.

 

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Alessandro Boschi

Qual è il suo legame con l’Umbria, considerando che vive fuori da diverso tempo? 

Sicuramente è un legame anagrafico, essendo nato a Città di Castello e cresciuto a Citerna. In Umbria ho la mia famiglia e ho i ricordi legati alla mia infanzia. Ci torno spesso, soprattutto per ritrovare una dimensione più umana. A Roma o a Milano si perdono questi ritmi, tutto è più frenetico, ma il mio lavoro mi ha portato, per forza di cose, a lasciare l’Umbria.

Lei si occupa di cinema, crede che l’Umbria sia ben sfruttata in quest’ambito? 

Non è mal sfruttata, ma all’Umbria servirebbe una mappatura di tutte le attività legate al cinema perché, pur essendo piccola ne ha diverse e molto interessanti: penso ai festival di cinema, come ad esempio il Cdcinema di Città di Castello, di cui sono direttore artistico, o l’Umbria Film Festival di Montone. Servirebbero delle strutture che organizzino e mettano in contatto tra loro tutte le piccole realtà legate a questo mondo. Infine, la Film Commission dovrebbe essere ristrutturata e avere un peso maggiore, come avviene in altre regioni.

Da autore di programmi tivù e radiofonici, se l’Umbria fosse un suo programma come la valorizzerebbe?   

L’Umbria, la sua vocazione, penso a quella religiosa, l’ha individuata e la sfrutta bene. Servirebbero però delle contaminazioni esterne. Mi spiego meglio: mantenere le nostre tradizioni, ma farle guidare da una mente che viene da fuori, per togliere quel provincialismo che c’è e che non permette quel vero salto di qualità che all’Umbria servirebbe. La regione deve aprirsi di più e accettare le contaminazioni esterne, queste la possono solo che far crescere e migliorare.        

Lo stereotipo dell’essere chiusi lo ha mai avvertito, glielo hanno fatto mai notare? 

Certo che esiste, però devo dire che, a me non me lo hanno fatto mai notare. Perugia poi è ancora più chiusa: quando facevo l’università – sono stato qui per poco tempo – ho fatto pochissime amicizie con i perugini. L’Umbria, purtroppo, non ha aperture mentali, è una realtà troppo anacronistica. Serve una legittimazione sociale e occorre al più presto aprire gli occhi e integrarsi al meglio.

Tre parole per descrivere l’Umbria… 

Appetitosa, tranquilla e introversa.  

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione… 

Penso alla cartina geografica. Al fatto che l’Umbria è l’unica regione italiana che non ha sbocchi né sul mare né su altri Paesi, è chiusa e circondata da altre regioni. Forse la sua chiusura può derivare anche da questo.    

 

 

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Bettona appartiene al Club de
I Borghi Più Belli d’Italia

 


Unico insediamento etrusco sulla riva sinistra del Tevere umbro, Bettona sorge a 365 metri sopra il livello del mare, su di un colle che delinea l’estrema propaggine di un sistema di alture che si distacca dai Monti Martani. Ringhiera sull’Umbria, ne domina la pianeggiante vallata sottostante, si apre sulle città che la contornano e sulle montagne dell’Appennino umbro-marchigiano che, lontane, la sovrastano a semicerchio.

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Interno del Museo di Bettona

 

Le sue antiche origini umbro-etrusche, i numerosi reperti archeologici e le mura ben conservate, fanno di Bettona un luogo ricco di pregevoli testimonianze storico-artistiche, un museo diffuso che si dilata e si amplia su tutto il territorio. I suoi palazzetti, un tempo splendide residenze, gli scorci mozzafiato, le chiese e gli oratori finemente adornati, e il museo comunale, si impongono come meta obbligata per turisti, studiosi e appassionati.

Il Museo

Situato in Piazza Cavour, il Museo della Città di Bettona si colloca sulla contingenza di Palazzo del Podestà e Palazzo Biancalana. Il primo fu edificato nel 1371 nell’ambito della ricostruzione della città ordinata dal cardinale e legato pontificio Egidio Albornoz; il secondo, fu costruito in stile neoclassico su progetto dello stesso proprietario Francesco Biancalana dopo la seconda metà del XIX secolo.

 

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Testa marmorea di Afrodite, II sec. d.C, Museo di Bettona, sezione archeologica

 

La collezione, profondamente radicata alla storia locale, include due distinte sezioni, entrambe di gran pregio: una archeologica e una pittorica.
La sezione archeologica del Museo dà inizio al percorso espositivo, fornendo testimonianza delle origini del territorio. Include manufatti etruschi, un numero consistente di terrecotte architettoniche, cippi funerari e di confine, ceramiche, opere scultoree del periodo tardo-ellenistico e marmi di epoca romana.
Tra i pezzi più considerevoli della collezione figura una magnifica testa marmorea di Afrodite risalente alla media Età Imperiale, rinvenuta nel 1884 nei terreni agricoli di proprietà dalla famiglia Bianconi; trafugata nel 1987, venne ritrovata a New York nel 2001.
Gli ori e gli altri reperti rinvenuti nella tomba del Colle, camera sepolcrale scoperta nel 1913, sono invece esposti al Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria di Perugia.
I lavori di rifacimento della pavimentazione di Piazza Cavour hanno portato alla luce un antico pozzo monumentale risalente alla fine del XV secolo; si tratta di una struttura a pianta circolare in conci di pietra arenaria squadrati. Interessanti anche i resti di murature interrate e un tratto viario basolato di epoca romana.

La Pinacoteca

La Pinacoteca Comunale occupa, invece, il trecentesco palazzo del Podestà e alcuni ambienti della residenza della famiglia Biancalana.
La raccolta, costituitasi a partire dal 1904, comprende materiale di vario genere e strettamente aderente alla storia locale. La Pinacoteca ospita una sessantina di opere, in gran parte pittoriche. Si segnalano il Sant’Antonio di Padova e la Madonna della Misericordia con i santi Stefano, Girolamo e committenti di Pietro Vannucci detto “Il Perugino”, due preziosi corali miniati trecenteschi, il San Michele arcangelo di Fiorenzo di Lorenzo, un crocifisso in legno policromo attribuito ad Agostino di Duccio, la monumentale pala d’altare con la Madonna in gloria e santi di Jacopo Siculo, un tabernacolo con Cristo ed Evangelisti attribuito a Domínikos Theotokópoulos meglio noto come El Greco”, i Santi Pietro e Paolo di Giuseppe Ribera detto “Lo Spagnoletto”, una terracotta invetriata a tutto tondo raffigurante Sant’Antonio di Padova riconducibile all’ambiente dei Della Robbia, ed una meravigliosa tavola con l’Adorazione dei pastori dell’artista assisiate Dono Doni, restaurata in tempi record a seguito dell’evento sismico dell’ottobre 2016. L’intervento, finanziato dalla Galleria degli Uffizi, è stato condotto intramoenia, tramite la creazione di un vero e proprio laboratorio di restauro visibile e fruibile da tutti gli utenti.
All’interno del Museo, sono inoltre attivi servizi educativi con un’offerta didattica di qualità in grado di coniugare il rigore artistico delle collezioni ad un’atmosfera ludico-creativa. Arte, gioco e creatività per comunicare alle nuove generazioni l’importanza che l’arte ha nello sviluppo sociale e antropologico di ognuno.

 

Pinacoteca Comunale

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In vista del venticinquesimo anno di gemellaggio con la città posta sulla costa occidentale degli Stati Uniti, AboutUmbria incontra Michele Fioroni, Assessore del Comune di Perugia al marketing territoriale, arredo urbano, sviluppo economico e progettazione europea, pronto a fare rotta proprio verso Seattle. 

Assessore Michele Fioroni

L’Assessore Michele Fioroni

 

Una qualifica che parla da sé quella dell’Assessore, e che gli permette di fare alcune brillanti osservazioni sulla promozione di un luogo come l’Umbria. Parlare di territorio e bellezze da scoprire ci viene naturale, soprattutto nel momento in cui il pretesto è un progetto editoriale bilingue che aspira a far conoscere anche all’estero l’immagine non stereotipata di una regione come la nostra.

L’Assessore concorda con noi nell’identificare come chiave di volta dell’intera operazione una comunicazione di qualità. Stiamo parlando non solo della bellezza estetica del prodotto, data dalla finezza della carta e dal progetto grafico e fotografico, ma anche del valore dei contenuti, conferito principalmente dalla fondatezza delle informazioni riportate e dall’originalità adottata nel presentarle.
Secondo Ferroni, «sebbene AboutUmbria abbia un supporto tradizionale, è un prodotto editoriale qualitativamente alto che mancava. La vera sfida – prosegue l’Assessore – sta nel replicare la stessa qualità anche su altri canali, come l’online, che è diretto a un pubblico più vasto e che richiede un minore investimento.» Un mezzo del tutto complementare quindi, che non richiede la mera presenza, ma un’elevata visibilità. E questo noi di AboutUmbria lo sappiamo bene, perché la nostra offerta comunicativa si completa con il nostro magazine online, bilingue anch’esso, costantemente aggiornato e sincronizzato con i maggiori social network. È chiaro ormai che è la rete a decretare la fama o la gogna di determinate mete turistiche. L’Assessore ci fa l’esempio di Cracovia, che fino a qualche anno fa non era particolarmente gettonata, ma poi, grazie alle compagnie low cost e ai social media, è diventata improvvisamente desiderabile.

 

 

Bisogna far sì, dunque, che la rete consacri l’Umbria come meta altamente desiderabile, e per farlo serve un buon piano di comunicazione, supportato – laddove possibile – da una presenza in loco.
E quale migliore occasione di un gemellaggio? L’Assessore Fioroni sostiene che bisognerebbe sfruttare tali momenti di incontro per dare notorietà al nome Umbria, puntando anche sulla meraviglia visiva che tale Regione è capace di offrire. Perugia, in particolar modo, vedrebbe aumentare il prestigio del proprio nome, soprattutto perché beneficerebbe delle somiglianze che la legano alla lontana Seattle. Entrambe infatti hanno una lunga tradizione musicale –l’una col jazz, l’altra con il grunge – e il capoluogo umbro, grazie alla fibra ottica, aspira a diventare ultratecnologico, avvicinandosi sempre di più alla gemella statunitense.

AboutUmbria, volando oltreoceano, intende dare il supporto comunicativo che tale operazione necessita. Non possiamo quindi che augurare all’Assessore un buon viaggio, sperando che l’Umbria incanti Seattle come ha incantato noi.

Le soffitte nascondono sempre grandi segreti. A volte basta alzare lo sguardo e salire, per scoprire dei tesori nascosti. La chiesa di San Domenico è ben nota, ma cosa si nasconde nel suo sottotetto 

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Sottotetto di San Domenico, foto per gentile concessione dell’ingegner Polidori

Un tesoro nascosto

In pochi si sono avventurati fin lassù, ma oggi vi portiamo in quelle stanze, grazie all’ingegnere Alessandro Polidori che, insieme all’architetto Giulio Ser-Giacomi, si sta occupando della valorizzazione di questo importante lungo di Perugia. Un luogo che vi permetterà non solo di camminare sulla storia, ma anche di godere di un panorama mozzafiato.
«Le soffitte di San Domenico sono un ambiente molto particolare e pieno di elementi di storia dell’architettura e della città, ognuno dei quali meriterebbe attente osservazioni e riflessioni. – spiega l’ingegnere Polidori –  Ogni singola pietra ha qualcosa da raccontare. Non solo c’è il  bel panorama che si vede dalla cima della torre campanaria, ma salire e camminare sopra l’estradosso delle volte fa capire quanto potesse essere maestosa e grandiosa la chiesa trecentesca.» Le volte che si ammirano oggi sono state realizzate a metà del Seicento dall’architetto Carlo Maderno che le ricostruì dopo il crollo delle primitive volte gotiche, proprio come noi le vediamo oggi, a eccezione delle cappelle laterali, aggiunte nel Settecento, e della parte absidale della chiesa che non era crollata: il coro e le quattro cappelle laterali.
«Il sottotetto di San Domenico cela i segni di queste modifiche. – prosegue l’ingegnere – Visitandoli si possono osservare gli antichi pilastri medioevali emergere delle attuali volte, la straordinaria fattezza dei capitelli e le aperture che un tempo garantivano la luce naturale in maniera diretta all’interno della basilica.»

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Cortile di San Domenico, foto per gentile concessione dell’ingegner Polidori

Il progetto di valorizzazione

Per far si che tutto questo sia visibile al pubblico c’è un progetto in via di elaborazione, che prevede la creazione di tre possibili percorsi di visita. «Si parte con il tour della basilica, si passa poi alla sacrestia, dopo aver ammirato le ricostruzioni dell’impianto trecentesco dagli acquerelli di Ugo Tarchi e, grazie alle intercapedini murarie, si sale verso la quota dei sottotetti. – illustra Polidori – Al di sopra delle volte i percorsi si districano tra le volte delle due navate laterali, la volta della navata centrale, quella del coro, delle cappelle absidali, della sacrestia per poi salire piano dopo piano fino alla quota del quinto livello del campanile: vera e propria terrazza panoramica con affaccio sulle vallate umbre ai piedi delle colline di Perugia e una veduta insolita e bellissima del centro storico di Perugia.»
L’idea della valorizzazione e della visibilità delle soffitte e del campanile è stata un’unione di varie proposte e ha visto lavorare insieme dapprima i frati,  in particolare P. Mario Gallian, dai primi anni Novanta, con l’architetto Giulio Ser-Giacomi e con il Centro Culturale San Tommaso D’Aquino; poi gli architetti Ser-Giacomi e Maria Carmela Frate, curatori dei lavori di restauro dopo il terremoto del 1997 e ultima proposta ha visto l’impegno dell’ingegnere Alessandro Polidori con l’aiuto e consulenza sempre dell’architetto Ser-Giacomi. Sono quindi più di venti anni che San Domenico è oggetto di progetti per la sua valorizzazione.
«È  stata avanzata la proposta di creare un percorso museale nei sottotetti – conclude Polidori – per mostrare il vero “cuore” della basilica e permettere ai visitatori di raggiungere il punto più alto del campanile per godere di un panorama a 360 gradi su Perugia. Per fare questo sono necessari ulteriori interventi che rendano questi luoghi sicuri e idonei per l’apertura al pubblico, in modo che le visite possano essere svolte in totale sicurezza e accessibili a tutti.»

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Soffitta della basilica di San Domenico, foto per gentile concessione dell’ingegner Polidori

Luogo invisibile

Per ora, infatti, la visita al pubblico è consentita solo in occasione di eventi speciali, che danno la possibilità a tutti di ammirare palazzi, torri, soffitte, luoghi di culto e siti di archeologia industriale chiusi al grande pubblico. Tra questi appunto le soffitte dell’imponente chiesa di San Domenico, spazi segreti nati quasi per caso da una ristrutturazione del Seicento che conservano le tracce della originaria chiesa gotica.

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INGREDIENTI
  • 500 g di farina
  • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
  • 1 cucchiaio di zucchero
  • mosto fresco d’uva bianca
  • ½ panetto di lievito di birra
  • 1 pizzico di sale

 

PREPARAZIONE

Versate la farina a fontana sulla spianatoia, fate sciogliere il lievito in poca acqua tiepida, impastatelo con un po’ di farina, ponetelo al centro della fontana e coprite con altra farina. Lasciate lievitare lontano da correnti d’aria per mezz’ora, quindi impastate con l’olio, un pizzico di sale e mosto in quantità sufficiente ad ottenere un impasto morbido ma consistente. Formate tanti bastoncini e ricavate da ognuno di essi delle ciambelle. Disponete le ciambelle distanziate tra di loro su una placca da forno unta, infornate a 180° circa e fate cuocere per 35-40 minuti.

 

I biscotti al mosto erano tipici del periodo della vendemmia in tutta l’Umbria. Nell’Umbria del Sud, con un impasto più o meno simile, preparavano il pane di mosto.

 

 

Per gentile concessione di Calzetti-Mariucci Editori

 

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